“Ai miei figli”
 Silvio Costigliolo, pilota del 4° Stormo

Caro com.te Fulvio Chianese,

                                ti affido i ricordi di mio padre, scomparso prematuramente in Argentina quando avevo
                                solamente 15 anni, e colgo l’occasione per esprimere profonda riconoscenza a te ed a
                                Furio Anderle per l’ammirevole pazienza e tenacia con cui avete raccolto ricordi e
                                testimonianze di coloro che furono pionieri ed esempio per noi che abbiamo seguito il
                                solco da loro tracciato.

                                Eugenio Costigliolo
                                com.te di Boeing 747 della Aerolinas Argentinas

Nella foto: Il com.te Eugenio e Furio Costigliolo a bordo di un Boeing 747-400

Questa pubblicazione curata dalla “Associazione 4° Stormo” fa parte della  collana “Ali nella Storia” che vuol mantenere vivo il ricordo di un Reparto, dei suoi uomini e di un aeroporto che hanno lasciato una importante testimonianza della Storia dell’Aviazione Italiana. Fulvio Chianese, Carlo d’Agostino e Roberto Rossetti, si sono occupati della revisione dei diari e dei ricordi messi a disposizione dai figli di Silvio Costigliolo, Furio ed Eugenio.
  

“… Lo scomparso, se la sua memoria viene venerata, è più presente e forte del vivo”
Antoine de Saint-Exupèry, “Citadella”.

Su invito e con la collaborazione dell’Associazione 4° Stormo ho riordinato i diari, le foto, i documenti ed i racconti di mio padre Silvio per pubblicare questo libro della sua vita aviatoria. Mio fratello Furio, piu’ anziano di me, ha avuto la fortuna di essere già’ grandicello negli anni in cui nostro padre viveva i meravigliosi anni di Gorizia e pertanto i suoi ricordi sono stati indispensabili. Furio inoltre ha custodito con grande cura le foto ed i documenti che lui stesso ha restaurato e catalogato; a lui va tutta la mia riconoscenza. Per approfondire alcuni dettagli storici ho incontrato e ascoltato i pochi piloti della Regia Aeronautica sopravissuti che vissero gli anni di Gorizia: Giuseppe Ruzzin, Guglielmo Biffani, Giuseppe Biron e Raffaele Chianese. Li ringrazio per le loro testimonianze che sono un contributo alla storia dell’4º Stormo. Nella stesura del libro mi hanno guidato gli insegnamenti di Enrique Jardiel Poncela, autore che mio padre stimava molto e che soleva affermare: “Storia è quello che e’ stato scritto, ma non sappiamo se è quello che realmente è successo …”. Mio padre era convinto che nel nuovo scacchiere europeo, esistesse la possibilitá dello scoppio di una 3a Guerra Mondiale, questa volta tra Est ed Ovest, e lo preoccupava l’idea che la sua famiglia potesse venir coinvolta. Aveva un fratello, Eugenio, pianista e direttore dell’orchestra del Conte Grande che sposo’ una giovane argentina e si trasferi’ a Buenos Aires cosi’, quando nel 1947 la ditta Karto gli offre la rappresentanza a Buenos Aires, raggiunge il fratello in Argentina, assieme a mia madre ed a mio fratello Furio. Nel 1949, ad un anno del suo arrivo, nasce il suo secondo figlio, il sottoscritto, e lui si reca al Consolato affinche’ io sia registrato al Comune di Genova, assicurandomi cosi’ la cittadinanza italiana. Nonostante l’impegno per ricostruire una vita completamente diversa da quella di qualche anno prima, Silvio Costigliolo trova il tempo per interessarsi alla storia, all’arte, alla letteratura. Negli scaffali della sua biblioteca trovano posto le opere di Papini, Churchill, Chesterton, Woodehouse, Peyrefitte, Rosseau, Hemingway, Steinbeck. Si commuove al ricordo dell’Italia e della sua Genova, senza peró perdere il suo carattere affabile. Scherzando amava dire che, da aviatore, parlava con il Padre Eterno “come tra vecchi colleghi del Cielo”, e che non poteva ancora “partire” perche’ doveva prima addestrare il suo secondogenito. Della sua Patria conserva le tradizioni e la lingua, pur rispettoso dell’Argentina. Quando nel 1951 un giornale italiano pubblica un articolo oltraggioso nei confronti dell’Argentina e del suo Governo, prende carta e penna e scrive al direttore “ … il suo articolo merita una risposta da chi come me ha servito la Patria per 16 anni, in pace e in guerra ed ha imparato ad amare e rispettare anche la Patria degli altri …”. Pur evitando di parlare della guerra, ricordava spesso Gorizia, il suo “Quarto Stormo”, i suoi piu’ cari amici, Avvico, Chianese, Renzi, Romandini, Ruzzin, Salvi, Sozzi e “Beppi” Biron. Aveva una grande devozione per il Duca d’Aosta e ricordava con simpatia il Colonnello Retinó, di cui imitava la sua voce nasale. Non volle mai piú volare anche se fissava sempre con nostalgia ogni aereo che solcava il cielo. Suo nipote Enrique, il secondo pilota della saga Costigliolo, racconta di lui: “Non riuscivo a spiegarmi perché non accettó mai i miei inviti di venire in volo. Un giorno intuii l’enorme vuoto che gli lascio’ la separazione dall’Italia e dal volo ed i ricordi degli anni belli di Gorizia. Aveva il timore che si potesse risvegliare in lui la passione del volo, la nostalgia di quello che aveva perduto per sempre, il timore di riaccendere una fiamma che poi sarebbe stato doloroso spegnere!”. Silvio Costigliolo decolla per il suo ultimo volo il 18 Novembre 1964 e per questa “missione” ha voluto indossare la sua divisa grigio-azzurra dell’Aeronautica Italiana, conservata amorevolmente per questo giorno! Purtroppo la sorte ha voluto che non potesse essere presente a quello che lui aveva tanto desiderato per me, nel 1971 , terminata l’Accademia  da Tenente Pilota della “Fuerza Aérea Argentina” intrapresi la carriera di mio padre. Mi congedai tre anni prima della Guerra delle Malvinas per continuare a volare con gli aerei di linea ed oggi, Comandante Controllore di Aerolineas Argentinas, sono in procinto di concludere la mia carriera di pilota. Questo e’ il piu’ grande regalo che potevo fare a mio padre! Colgo l’occasione per ringraziare la “Fondazione della Cassa di Risparmio di Gorizia”, il cui contributo e’ stato determinante per la pubblicazione del libro e per esprimere profonda riconoscenza all’Associazione 4° Stormo che ha raccolto, con ammirevole pazienza, una mole non indifferente di testimonianze di coloro che furono pionieri ed esempio per chi, come me, ha seguito il solco da loro tracciato. Questo libro vuol essere un omaggio a “tutti” gli aviatori, anche quelli contro i quali i nostri genitori hanno combattuto. Un particolare ringraziamento al Comandante Fulvio Chianese, il cui padre ed il mio nel 1930 furono assegnati alla 90^ Squadriglia del 1° Stormo di Campoformido e che nel settembre del 1931 condivisero la stessa cameretta della “Palazzina Avieri”, dopo il trasferimento a Gorizia con altri 65 piloti per costituire il 4° Stormo Caccia. Solamente pochi anni fa ho incontrato Fulvio Chianese ed abbiamo scoperto di aver intrapreso la stessa carriera di piloti, lui in Italia ed io in Argentina. Eugenio Costigliolo – Buenos Aires, aprile 2009
  

L’Aeronautica moderna è l’arte di condurre un mezzo aereo da A a B, utilizzando radioassistenze basate a terra e tante altre diavolerie come l’NDB, l’ILS, il VOR, il TACAN, il Radar, Apparati Radio, Computer ecc. Nell’esercitarla occorre che il pilota abbia memorizzato procedure, informazioni e quant’altro. Il suo volo è pregno di tecnicismo ma privo dell’ebbrezza che si provava sugli aerei degli anni ’30,  fatti di fusoliere, longheroni e centine di legno e sui quali i piloti volteggiavano senza necessitare di tanti strumenti perché sentivano l’aereo col “sedere”. Tra i tanti ragazzi che seguirono i fatti della prima Guerra Mondiale, i fasti degli aviatori come Francesco Baracca e di coloro che seguirono, in Costigliolo  esplose l’entusiasmo per l’Aviazione e per il Volo. La sua fermezza di propositi, lo portera’ ad abbandonare i famigliari sino a concorrere, senza il loro consenso, ad un corso di pilotaggio dell’Aeronautica Militare. E’ tale la sua caparbietà nel voler entrare subito in Aeronautica, che rinuncia alla vocazione di divenire Ufficiale, optando per il Corso Sottufficiali, pur di essere pilota. Alle scuole di pilotaggio di Cameri per il primo brevetto e ad Ghedi per il brevetto Militare, dimostra una spiccata capacità nel volo e viene designato alla specialità Caccia. Viene assegnato al 1° Stormo di Campoformido, culla dell’acrobazia dove, affidato ai migliori manici, si affina nell’arte del Volo. Successivamente fa parte di quei piloti che vanno costituire il 4° Stormo a Gorizia. Vola come gregario in pattuglia condotta dal Comandante S.A.R. il Duca d’Aosta Amedeo di Savoia dal quale riceve un ambito elogio. Quando si tratta di difendere la Patria, Silvio, alla richiesta di volontari per una missione segreta, non si tira indietro e partecipa alla Guerra Civile in Spagna, comportandosi valorosamente. Abbatte quattro velivoli avversari meritando due Medaglie d’Argento e una di bronzo al Valor Militare. Rientrato in Patria, viene assegnato ancora al 4° Stormo, partecipa alle più applaudite ed importanti manifestazioni acrobatiche, mette su famiglia con una ragazza udinese dalla quale avra’  un primo figlio, Furio. Desideroso di elevarsi alla condizione di Ufficiale, viene ammmesso all’Accademia Aeronautica e si trova con i due suoi più intimi amici: Avvico e Biron. Supera gli esami e ne esce Sottotenente in s.p.e. Fuori dai cancelli dell’Accademia, si trova nella 393ª Squadriglia in Albania e dopo in Africa Settentrionale Italiana, impiegato in bombardamenti a tuffo e in scorte convogli. Ancora a Gorizia, sotto il comando di Ernesto Botto e’ impegnato come istruttore di volo dei piloti che vanno ad alimentare le nostre perdite nei vari fronti. Quì lo sorprende  l’8 settembre, la giornata più luttuosa della Storia d’Italia. Sollecitato dal bando di Botto aderisce all’Aeronautica Repubblicana ma non viene impiegato in servizio operativo. Trovandosi davanti alla drammatica decisione se obbedire all’ordine impartito dai tedeschi di eliminare alcuni prigionieri partigiani, si ribella dicendo: “Io non uccido italiani”. Silvio Costigliolo, pilota combattente di due guerre, pluridecorato, figura d’uomo integerrimo, lottò per l’Italia, rifiutando d’eseguire ordini criminali. Rimarra’ nel ricordo della consorte, dei figli e del suo amato 4° Stormo. Giuseppe Ruzzin. (pochi giorni dopo aver scritto questa prefazione, Giuseppe Ruzzin e’ deceduto)

Le origini
Mio padre, Andrea Costigliolo, e’ nato nel 1879 a San Martino in Struppa, ora Quartiere di Genova, ma all’epoca Comune autonomo, situato sulla sponda settentrionale della Val Bisagno e composto da tre borghi, San Cosimo, San Siro e San Martino, quest’ultimo in posizione più alta, ai piedi dei percorsi per l’Alpe Sisa. I cognomi locali piu’ diffusi hanno origine nel tardo Cinquecento e sono quelli di Bazzurro (deformazione di “basura”, strega) e di Costigliolo, quest’ultimo ricorda il termine dato alle coste rocciose del monte, lo si trova esclusivamente nel Genovese ed è piuttosto raro. A San Martino c’é una chiesa che dà nome al paese e secondo una leggenda dell’ottocento, un Costigliolo che aveva l’incarico di suonare la campana, distrattosi, non lasciò la ruota in tempo e fu scaraventato fuori del campanile. A Struppa si diceva che quel primo “volo” fu un segno premonitore della mia vocazione “aeronautica”. Mio padre, con l’aiuto del prete del paese, riusci’ a frequentare la scuola e successivamente ad impiegarsi al Dazio di Genova. Riconoscente del destino che gli permetteva di indossare giacca e cravatta quando si recava in ufficio, non scordava la sorte dei suoi coetanei ed amici d’infanzia che invece facevano i “Camalli” al porto. Il 23 giugno 1909 nasce a Genova il suo primogenito, il sottoscritto. Mi diplomo a diciotto anni, spronato da mio padre che voleva a tutti i costi che divenissi ragioniere per garantirmi un futuro “agiato” ma quando finalmente i sacrifici e gli sforzi di mio padre sembrano dare i frutti tanto agognati, ci ripenso: non me la sento di diventare un ”colletto bianco” e passare tutto il resto della mia vita davanti ad una scrivania. Le imprese di Lindbergh, De Pinedo e D’Annunzio sono sulla bocca di tutti e mi fanno sognare una vita piú appassionante della noia infinita della contabilitá con i suoi registri, bilanci e inventari. L’emozione provata nella visita alla SITAR a San Remo, una Società che sta effettuando voli di propaganda nelle varie città costiere liguri, e la vista della fusoliera, priva di ali, dell’idrovolante Siai S.16 ter “Gennariello” di De Pinedo, protagonista del raid del 1925 in Giappone attraverso vari continenti, sono la molla che fa scattare in me la decisione. Cosí, quando esce un bando di concorso per Allievi Ufficiali di Complemento della Regia Aeronautica, decido di rivelare a mio padre la mia volonta’. A tavola, alla fine della cena, poso il tovagliolo e con voce non molto ferma gli dico “Babbo, ho pensato a lungo, avrei l’intenzione di fare il pilota …” lui sbianca in volto, guarda mia madre, rimane qualche secondo in silenzio “Scusa? … non ho capito bene, vuoi ripetere?” e’ serio in viso e gli occhi hanno cambiato espressione “Un amico mi ha detto che c’e’ un corso per Ufficiali piloti e vorrei parteciparvi” rispondo, lui rimane ancora qualche secondo senza proferire parola, il suo volto diventa sempre piu’ rosso e poi esplode “Tu sei pazzo!” strilla “hai davanti a te una carriera sicura e vuoi rovinare tutto? Mi sono sacrificato, ho sudato sette camicie per farti studiare e tu cosi’ mi ripaghi? Vuoi arruolarti per andare con quei pazzi volanti non firmeró mai la tua sentenza di morte!”. Mia madre non apre bocca e sembra pure lei sconvolta. Allora la maggiore eta’ si raggiungeva a 21 anni e se l’allievo era minorenne per essere ammesso alle selezioni per il corso di volo era necessaria l’autorizzazione dei genitori. Ero deciso della scelta fatta e nemmeno le preghiere di mia madre mi fecero cambiare idea cosi, dopo alcuni giorni trascorsi in modo burrascoso, mi preparo per il mio primo volo … da casa. Metto in una valigetta le mie poche cose e, un mattino, tra i pianti di mia madre Emilia, lascio la casa paterna. Trovo ospitalita’ da una amica e trascorro il resto dell’anno a lavorare e risparmiare per poter intraprendere finalmente la strada che ormai per me e’ irrinunciabile. Povero Babbo, si era sacrificato tanto per garantirmi un avvenire sicuro e povera Mamma che si alzava alle cinque del mattino per arrotondare i magri introiti familiari andando a fare le pulizie nel vicinato. Convinti entrambi che la sicurezza del un lavoro d’ufficio fosse il massimo dell’aspirazione per un giovane, non riuscivano proprio a capacitarsi che la passione potesse superare la ragione.

Alla Scuola di Volo di Cameri
Senza il consenso dei genitori, sono costretto a rinunciare al sogno di partecipare al Corso Ufficiali Piloti ma con un “sotterfugio” pur minorenne ” riesco ad essere ammesso alle selezioni per il Corso Sottufficiali Piloti. Gli esami per diventare piloti sono severi e bisogna superare una meticolosa visita medica presso un’Istituto di Medicina Legale dell’Aeronautica. Fino all’ultimo sono terrorizzato dall’idea di non superare gli esami medici, molti vengono esonerati mentre io sono uno dei pochi fortunati ammessi al Corso Piloti. Mi sembra quasi di sognare, vedo il mondo con occhi diversi, sono ottimista e comincio a pensare che … “ce la posso fare!”. Mi viene consegnato un “foglio di viaggio” ed un anticipo di cinquanta lire con l’ordine di presentarmi per l’arruolamento alla Scuola di Volo di Cameri, dove giungo nel febbraio del 1929. Il campo di Cameri, nato nel 1908, sara’ successivamente utilizzato dalla Società Gabardini per costituirvi la “Scuola Italiana di Aviazione di Cameri”, una prestigiosa Scuola di Volo che ha contribuito a sfornare molti piloti durante la Grande Guerra (oltre 700 solo nel 1917). La Scuola e’ ben conosciuta a livello internazionale come la piu’ grande al mondo ed e’ intitolata a  Silvio e Natale Palli in onore dei due fratelli qui brevettati e distintisi nelle azioni della Grande Guerra: Natale, della 84ª Squadriglia Serenissima, fu il pilota di D’Annunzio del volo su Vienna. Nell’ingresso e negli uffici fanno bella mostra le foto di D’Annunzio e di altri piloti che con la divisa del Regio Esercito spiccano alle pareti, facendomi sentire orgoglioso di aver superato questa prima prova. La Scuola e’ comandata dal Ten. Col. Ferroni che tiene un discorso di benvenuto, non lo rivedremo piu’ se non il giorno in cui verranno consegnati i brevetti ai pochi “sopravvissuti” alle selezioni. L’Ufficiale di Sorveglianza e’  il Ten. Demetrio Turinetti-Del Piero, Marchese di Priero e di Pancalieri, un nobile di Cuneo che in tal veste appone la firma sui Libretti di Volo per la convalida. Ai bordi del campo ci sono ancora le vecchie strutture della fabbrica di aeroplani Gabardini, divenuta poi la ditta C.A.N.S.A. Costruzioni Aeronautiche Novaresi S.A. Qualche giorno dopo l’assegnazione dei posti letto nelle camerate riceviamo il vestiario: la divisa d’uscita in panno grigio azzurro con bustina e le scomode fasce mollettiere che si arrotolano dalla caviglia al ginocchio (quanta fatica per avvolgerle!), la divisa di fatica di olonetta, una ruvida tela di cotone e la combinazione di volo, quest’ultima composta da due tute, guanti foderati, occhialoni e caschetto di volo. Il caschetto, in pelle e sughero, non da’ l’impressione di essere il massimo della tecnologia ma risultera’ provvidenziale in uno dei primi miei decolli da solista. Iniziamo subito con le basi dell’inquadramento militare: per piú di un mese sfiliamo e marciamo, con moschetto e senza moschetto e, naturalmente bisogna anche cantare. Si canta  tutto il giorno andando avanti e indietro per l’aeroporto, sbirciando gli aeroplani che decollano o atterrano con a bordo gli allievi dei corsi precedenti al nostro. Gli allievi dei primi corsi sono incaricati del nostro inquadramento, ci chiamano “scamorze” e ci fanno marciare e cantare “per rinsaldare il nostro spirito cameratesco”, cosi’ dicono. Sono canzoni dalle parole semplici ma le cantiamo con passione:
“L’occhio vivo e sognator
“La vision sempre nel cuor,
“della Patria e della Mamma
“sono questi gli aviator …
“Vien sbandato l’aeroplan
“che i comandi tiene in man
“e il velivolo lassú
“come un bolide vien giú …
“Cade l’aviator
“tra le vampe micidiali del motor
“dalla Mamma lontano egli muor
“ma sotto l’ala tricolor”
Le parole non sono molto incoraggianti per noi che abbiamo deciso di intraprendere questa carriera ma siamo giovani e non ci facciamo caso, ma non tralasciamo gli scongiuri di rito. Trascorsi quaranta giorni di vita da “fante” si comincia a volare, almeno cosi’ speravamo noi. Invece si inizia prendendo confidenza con l’uso del motore e con le manovre di rullaggio su vecchie carcasse di aeroplani della Gabardini. I movimenti a terra con i velivoli che hanno il ruotino o il pattino in coda, richiedono un certo impegno; le “imbardate” sono frequenti. Ai Gabardini sono stati applicati dei pattini dotati di ruotini anteriori per evitare le “cappottate”, al motore inoltre e’ stata opportunamente limitata la potenza a soli 35 HP, in modo che questa specie d’apparecchio, soprannominato da noi allievi, “Checca” o “Tartaruga”, non sia in grado di staccarsi da terra, ma solo di correre avanti e indietro lungo il campo di volo. Sembriamo dei “tacchini” che corrono nel pollaio e cosi’ “razzoliamo” per l’aeroporto per cinque interminabili ore; sono tutti rullaggi molto brevi, della durata ciascuno di dieci minuti. Negli ultimi due rullaggi ci permettono addirittura di staccarci dal suolo, a due metri da terra per pochi secondi; li chiamano “Retto volo”! Non ne possiamo piu’! Cinque ore e’ un tempo interminabile anche per dei sprovveduti ragazzi che non hanno mai visto un aereo. Finalmente inizia l’istruzione di volo vera e propria. I velivoli utilizzati sono i Gabardini G51 equipaggiati con tre diversi motori, Le Rhone di 80, 110 e 120 HP, per le versioni “mono” e “biposto”. Anche queste lezioni sono molto brevi, durano mediamente dieci minuti e consistono in un paio di giri intorno al campo durante i quali l’istruttore, seduto nell’abitacolo posteriore, strillando per superare il rumore del motore ed intervenendo bruscamente sui “doppi” comandi, tenta di trasmetterci le tecniche del volo. L’aeroporto e’ un grande spiazzo d’erba, un campo spianato davanti agli hangar, dove gli aerei atterrano e decollano affiancati, nella direzione da cui spira il vento: non ci sono piste ma si riconoscono le zone di atterraggio dove l’erba e’ piu’ rada e la direzione è indicata da una T bianca sul terreno. I decolli e gli atterraggi degli allievi si susseguono giorno dopo giorno, l’apprendimento non progredisce per tutti con lo stesso ritmo e cominciano i primi esoneri. Non sempre l’insuccesso e’ da addebitare all’allievo, non esiste uno standard nell’addestramento, nascera’ solo negli anni del dopo guerra, e cosi’ a volte l’incapacita’ degli istruttori nel trasmettere le tecniche del volo e la propria esperienza, comportano l’allontanamento dell’allievo. L’attivita’ della Scuola e’ intensa, il numero degli allievi e’ elevato e, se a questo si aggiungono le condizioni meteo non favorevoli, capita di dover rimanere a terra a lungo per attendere il proprio turno di volo. Finalmente, dopo quattro mesi e sette ore di volo a doppio comando, viene il momento sognato di ogni allievo pilota, quello del decollo “da solo”. Il 15 luglio 1929 mio sul libretto, con bella calligrafia, accanto alla data, registro l’ora di decollo, di atterraggio, il tempo di volo di 14 minuti e la tanto attesa parola “Decollo”. Dopo undici ore di volo sul Gabardini, effettuo la transizione su altri velivoli, Macchi–Hanriot HD-1 e Spad XIII, residuati bellici della 1^ Guerra Mondiale. L’addestramento carente di quegli anni e la non eccessiva affidabilità dei velivoli, sommati all’inesperienza degli allievi, comportano un elevato numero incidenti. Sono frequenti le cappottate a terra dovute a imbardate ed a maldestri atterraggi che si concludono con una “scassata”, danni al motore ed alla struttura. A volte pero’ finisce peggio perche’, dopo la cappottata, il velivolo si incendia e le conseguenze per il pilota sono drammatiche. A tre giorni dal decollo da solo sul Macchi – Hanriot HD-1, anch’io provo sulla mia pelle la prima cappottata che si risolve fortunatamente senza conseguenze grazie alla bassa velocitá ed al goffo caschetto di sughero che indosso: i danni sono più morali che materiali. Durante la mia permanenza alla Scuola, si verificano anche incidenti piu’ seri come alcune piantate di motore che costringono ad atterraggi fuori campo ed alcune “viti” per manovre scorrette a bassa velocita’ e bassa quota. Due allievi, Vigoraro e Marangoni, ne sono coinvolti e perdono entrambi la vita. Le prove ufficiali per il conseguimento del brevetto prevedono alcune manovre di precisione che hanno lo scopo di valutare la preparazione dell’allievo: sono l’ “otto” ed il “rettangolo”. E’ prevista anche una prova di navigazione, con l’atterraggio su un aeroporto diverso da quello di partenza ed una prova di “quota ufficiale”, documentata da un barografo appeso al collo che registra la salita ad una quota assegnata alla quale l’allievo deve effettuare degli “otto”, cui segue una discesa a rateo costante fino all’atterraggio. Per effettuare le prove d’esame mi viene assegnato uno Spad XIII, debbo salire fino a 5.000 metri, impiego poco piú d’un ora per eseguire tutte le manovre previste. Le prove ufficiali si concludono positivamente il 13 dicembre del 1929 col volo di navigazione. Superati tutti gli esami, mi viene consegnato l’agognato Brevetto di Pilota Militare: lo spettro di dover fare il ragioniere dietro ad una scrivania e’ finalmente svanito per me.

La Specialita’ Caccia – Ghedi e Campoformido
Ottengo la nomina a 1º Aviere Pilota e vengo assegnato alla Caccia, la specialita’ piu’ ambita, riservata ai migliori del corso. Dopo una cerimonia per la consegna dell’aquila con la “corona”, alla presenza del Comandante della Scuola e degli istruttori, nel gennaio del 1930, sono convocato nell’ufficio Comando dove mi comunicano che devo presentarmi alla 2^ Squadriglia di Allenamento Caccia di Ghedi (Brescia), comandata dal Capitano Arrigoni. L’aeroporto di Ghedi durante la 1^ guerra mondiale ospitava il 1° Raggruppamento Caccia, trasformato nel 1924 in 1° Stormo Caccia, trasferitosi successivamente a Lonate Pozzolo. A Ghedi rimase una Squadriglia della Scuola Caccia del 1° Stormo alla quale, tre anni prima del mio arrivo, era stata affiancata un’altra Squadriglia. Il 14 gennaio effettuo il mio primo volo su C.R. 20 a doppio comando e, successivamente vengo abilitato su altri velivoli, Nieuport – Macchi Ni 29, Fiat C.R. 1, e C.R. 20. Di quest’ultimo si diceva che “voleva vedere il pilota in viso” per il maggiore impegno che richiedeva. Il motore con i suoi 410 cavalli e la sua grande elica, comporta un continuo controllo sulla pedaliera al variare della potenza. Il Capo Pilota, il responsabile dell’addestramento, e’ il Ten. Ivo De Wittemberski, un aviatore di grande esperienza che nel 1932 sara’ inviato alla “Blind Flight School” della Royal Air Force, presso l’aeroporto di Hamble, Southhampton per un corso sulle nuove tecniche del volo senza visibilita’. Poco dopo il conseguimento del brevetto di pilota militare, con la nomina a Sergente vengo assegnato alla base di Campoformido, in forza alla 96a Squadriglia, comandata dal capitano Angelo Reali. La 96^ era conosciuta come “Le vedette” ed assieme alla 73a ed alla 97a, fa parte del IX Gruppo Caccia del 1° Stormo, costituito nel 1928 ad Aviano e comandato dal Maggiore Umberto Gelmetti. Campoformido, in provincia di Udine, durante la 1^ Guerra Mondiale era l’aeroporto delle squadriglie di Ricognizione e Caccia che operavano sul fronte controllato dalla 2^ e 3^ Armata. Finita la guerra, nel  1923, diventa sede del VI Gruppo Caccia con la 76^ Squadriglia Hanriot e 72 ^ Squadriglia Spad. Nel 1927 vi si insedia 1° Stormo Caccia. Agli inizi del 1930 Campoformido, si afferma come uno dei più importanti campi di volo della Regia Aeronautica, esservi destinati e’ per i piloti un vanto perche’ lo si considera giustamente la “scuola” dell’acrobazia collettiva in formazione, unica in Italia e fra le poche, se non la prima al mondo. Il 1º Stormo e’ comandato dal Ten. Col. Rino Corso Fougier che, con l’aiuto di Balbo, e’ riuscito a convincere le massime gerarchie dello Stato Maggiore dell’importanza dell’acrobazia individuale e collettiva nella formazione dei piloti da Caccia. Al 1º Stormo affluiscono i migliori piloti assegnati dalle scuole di Volo Avanzato che il Col. Fougier sceglieva non solo sulla base delle schede personali ma anche dopo un attento “esame” delle attitudini da parte del Sergente Maggiore Fruet. Uomo di fiducia di Fougier, Fruet visitava discretamente le Scuole intrattenendosi con gli istruttori e osservando i giovani allievi. Dopo le “trasferte” di Fruet, Fougier faceva le richieste nominative dei “pivelli” che venivano assegnati ad Aviano e Campoformido per essere affinati dai manici dell’epoca, piloti della taglia di Brizzolari, Cancellier, Citi, Colombi, De Bernardi, Diamare, e lo stesso Fruet, che avevano l’incarico di esaltare le doti di volo degli allievi ma anche di raffreddare gli spiriti dei più irrequieti. Distintivo dello Stormo e’ l’arciere alato che risale all’epoca del “Battaglione Aviatori”, quindi anteriore alla costituzione della Regia Aeronautica. Il motto “Incocca, tende, scaglia” pare sia dovuto ad un’idea di D’Annunzio, certo è che deriva dall’opera dannunziana “La Nave”. Finalmente, il 3 febbraio, effettuo con un C.R. 20 bis il mio primo volo di 45 minuti in pattuglia, all’inizio non e’ per nulla facile seguire l’altro aereo che tuttavia mi facilita il compito eseguendo manovre ampie e lente, ma poi prendo la mano, la fiducia aumenta mentre diminuisce la distanza che ci separa. La mia ala e’ sempre piu’ vicina alla sua. Da quel momento inizia per me un’intensa attività operativa che non avrei mai immaginato: voli in coppia, in pattuglia, acrobazia individuale ed in pattuglia, tiro al palloncino, uso della fotomitragliatrice nella finta caccia, esercitazioni di Gruppo e Brigata. Con l’intensificarsi dell’attivita’ aumenta anche l’affiatamento tra i piloti e sono frequenti le cene o i veglioni alle quali partecipano tutte le Squadriglie. Il locale abituale e’ il ristorante “Boschetti” a Tricesimo dove le cene si concludono con brindisi e cori che rinsaldano lo spirito di corpo.
“E gira, gira l’elica, romba il motor
questa é la bella vita
la vita bella dell’ aviator”
“Fanteria, arma elegante
ogni soldato … un elefante!
“Mamma mia che spuzza c’é nella via
Forse é passata la Cavalleria!”
“Della Marina ce ne freghiamo
Tanto dall’alto la bombardiamo”
“E se lá sopra, trovi la morte
Girale intorno … fagli la corte!”

Le tradizioni di Campoformido
La fama di Campoformido e’ legata a Fougier, il Comandante che spronava i suoi piloti a dare il massimo nell’acrobazia per raggiungere un elevato grado di perfezione e padronanza della “macchina” che si traduceva, secondo la sua teoria, nel formare degli eccellenti “piloti da Caccia”.  Di lui si raccontava a Campoformido che, ad un suo subalterno che gli ricordava le frequenti denunce dei carabinieri nei confronti dei suoi piloti piu’ spericolati, per l’abitudine di passare sovente sotto le arcate dei ponti, avesse risposto: “Non si può trattare come degli scolaretti coloro che devono diventare i migliori piloti da Caccia. Dica piuttosto ai Carabinieri di controllare periodicamente che dai ponti non pendano dei cavi!”. Il riferimento di Fougier ai “cavi che pendono dai ponti” non era casuale, proprio per quest’ultimi aveva perso la vita uno dei piloti piu’ brillanti piloti del 1° Stormo, il Serg.Tommaso Diamare. Il 18 gennaio 1932, una pattuglia condotta dal ten. Ernesto Sanzin rientra a Campoformido dopo aver effettuato le esercitazioni di tiro al poligono di Vivaro, giunti all’altezza di Sequals, Diamare si stacca dalla formazione, passa sotto l’arcata centrale, la piu’ larga delle tre del ponte di Sequals, risale e con una virata torna indietro lungo il letto del torrente Meduna per passare sotto l’arcata di destra, di luce alquanto ridotta rispetto a quella centrale. Fatalita’ vuole che un sottile cavo di una linea telefonica penda dall’arcata e agganci il compensatore fisso che sporge di una ventina di centimetri sopra gli alettoni e, spostandolo, comanda una violenta ed incontrollabile rotazione del velivolo che si schianta sulla sponda sopraelevata di destra. Diamare, dotato di innegabili doti professionali, ha rappresentato lo Stormo in numerosi meeting all’estero, con la Pattuglia Acrobatica del ten. Ariosto Neri. Le ripercussioni dell’incidente pesarono significativamente sul 1° Stormo. A Roma lo Stato Maggiore, che non apprezzava l’operato Fougier, punira’ piu’ tardi gli “acrobati” dello Stormo, costituendo a Bresso il Nucleo Alta Acrobazia e negando a Campoformido il titolo di rappresentanza fino a quel momento detenuto. Diamare aveva un’eccezionale padronanza del velivolo, con il suo CR20 era solito puntare gli hangar scendendo a poco piu’ di un metro da terra per poi cabrare e sfiorare la sommita’ delle costruzioni. Con l’aereo in salita effettuava tre quarti di tonneau che terminava alla velocita’ minima e poi, abbassando il muso, dando “manico a sinistra e pedale a destra”, in scivolata d’ala, virava di 180° sorvolando nuovamente l’hangar.

Il 4° Stormo si insedia a Gorizia
Da un po’ di tempo a Campoformido non si fa che parlare delle “Grandi Manovre dell’Armata Aerea” previste nell’ultima decade di agosto. Interesseranno gli aeroporti del Nord con partenza da Ferrara dove, alla presenza delle massime autorita’, si raduneranno oltre 900 velivoli. A partire dal 2 giugno iniziamo cosi’ad allenarci con i CR20 effettuando diversi raid su Gorizia, Trieste, Aviano, Ferrara, Padova. Dopo alcune esercitazioni in formazioni di Brigata, il 24 agosto, alle 06.30, decolliamo con tutto il IX Gruppo per l’aeroporto di fortuna di Modena da dove hanno inizio le “Manovre” che coinvolgono i cieli di Milano, La Spezia, Firenze, Bologna ed infine di Ferrara. Il 31 agosto, proprio a Ferrara atterrano tutti i Reparti che hanno partecipato alle Manovre ed il 3 settembre veniamo passati in rassegna dal Re Vittorio Emanuele III. La mia Squadriglia, la 96^, insieme al IX Gruppo rientra alla base di Campoformido mentre il X Gruppo che era dislocato ad Aviano, si insedia fin dal 10 settembre a Merna (Gorizia) sull’aeroporto “Egidio Grego”. A tutti noi viene concesso un periodo di licenza e cosi’ un pomeriggio mi reco a Udine, al cinema “Eden”, per assistere alla proiezione di un film e qui conosco una giovane e carina maestra, Delia Gianola, che diverrà mia moglie. Il 28 settembre giunge a tutto il IX Gruppo l’ordine di trasferirci a Merna, dove e’ gia’ dislocato il X Gruppo, per costituire insieme e in forma definitiva il 4° Stormo, nato inizialmente per far fronte alle “Grandi Manovre dell’Armata Aerea”. Il mattino del 28 tutti i C.R. 20 del IX Gruppo, comandato dal Magg. Gelmetti, sono allineati sul piazzale di Campoformido, i motoristi li hanno già’ controllati, riforniti di carburante e riscaldati. Viene dato ordine ai i piloti delle tre Squadriglie, la  73^, 96^ e 97^, di salire a bordo ed avviare i motori: alle 09.35 decollo con la mia Squadriglia alla volta di Gorizia che raggiungiamo dopo 20 minuti di volo. L’aeroporto di Merna e’ facilmente identificabile, in prossimita’ del Carso, nella vallata del Vipacco, subito dopo l’Isonzo e la ferrovia. Sul lato Nord ci sono gli hangar della Ricognizione Aerea con tre Squadriglie di Ro 1 della 116^, 41^ e 38^ Squadriglia, appartenenti al 21° Stormo, mentre a Sud ci sono tre enormi hangar, i nostri. Questi tre hangar “Lancini” ospitavano fino a poco prima il 44º Gruppo da “Bombardamento Diurno” del 14º Stormo con velivoli Fiat BR 2 e Caproni Ca 73, vecchi bombardieri che hanno dovuto “sloggiare” per fare posto a noi. Quando atterriamo ci vengono incontro gli specialisti ed i piloti del X Gruppo (84^, 90^ e 91^ Squadriglia) che sono a Merna già’ da diversi giorni. Al IX Gruppo viene assegnato l’hangar ad Est, vicino alla strada statale (73^ e 96^ Squadriglia) e ”mezzo” hangar centrale (97^ Squadriglia). Sono arrivati improvvisamente a Gorizia circa 250 militari tra Ufficiali, Sottufficiali e Avieri. Assieme ai famigliari di coloro che sono coniugati, rappresentano un numero considerevole per una piccola cittadina come questa che non si e’ ancora ripresa dalle ferite della Grande Guerra. L’aeroporto non e’ del tutto pronto per ospitare i nuovi arrivati, le palazzine Ufficiali e Sottufficiali sono ancora da costruire, lo saranno tra qualche anno rispettivamente sul lato opposto della strada statale e dietro l’hangar della Ricognizione. Gli Ufficiali sono sistemati in gran parte in citta’ mentre noi veniamo alloggiati nella Palazzina Avieri, ad un centinaio di metri dall’ingresso dell’aeroporto in direzione di Gorizia. E’ una costruzione molto elegante di tre piani, costruita nel 1926, piu’ che sufficiente per ospitare il personale della Ricognizione e Bombardieri ma diventata piuttosto affollata con la nostra presenza. Mi viene assegnata una cameretta con tre letti assieme ai Serg. Chianese e Castelletti, entrambi della mia stessa Squadriglia. Il nostro Gruppo, il IX, porta a Gorizia lo spirito ereditato da Fougier che influenza anche i colleghi della 84^ e 91^ provenienti dal VII Gruppo Caccia Autonomo di  Ciampino Sud e della 90^ proveniente dal XVII Gruppo. Cominciamo subito con gli allenamenti all’acrobazia e alla formazione e non mancano gli sfotto’ con i piloti della Ricognizione che noi “cacciatori” chiamiamo scherzosamente “tranvieri” per il loro modo di volare lento e tranquillo. Considerando il numero di velivoli dislocati sull’aeroporto di Merna, quasi un centinaio, tra Caccia e Ricognizione, il traffico e’ intenso e deve essere opportunamente regolamentato. A noi e’ assegnato il lato Sud dell’aeroporto mentre i velivoli della Ricognizione operano sul lato Nord. In prossimita’ dell’hangar della 91^ Squadriglia ed a quello della Ricognizione, di fronte all’Officina Automezzi, sono in funzione due “torri” sulle quali un aviere e’ addetto ad autorizzare i decolli con dei segnalatori visivi. La presenza sull’aeroporto di Merna di uno Stormo da Caccia e un Gruppo da Ricognizione comporta inevitabilmente frequenti incidenti e molti si concludono tragicamente. Diversi aerei finiscono anche sulla citta’ ed alcuni piloti atterrano con il paracadute sui tetti delle case o nei giardini. Coloro che sono coinvolti negli incidenti mortali finiscono nella cappella mortuaria dell’ospedale militare di via Ristori, da li partono i funerali che, dopo le celebrazioni funebri nella chiesa di S. Giusto, terminano di solito alla Stazione ferroviaria da dove la salma torna al paese d’origine. Il 10 ottobre 1931, la costituzione dello Stormo assume carattere definitivo, ci chiameremo “4° Stormo Caccia Terrestre”.  Il nostro distintivo voluto dal Col. Porro, rappresenta un uomo alato armato di gladio, lo portiamo sulla tuta di volo ed è disegnato anche nell’ingresso dell’ Ufficio Comando di Stormo ma  non l’ho mai visto su alcun aereo, tranne quello del Comandante di Stormo. Fra le Squadriglie dello Stormo, la 91^ e’ chiamata anche “degli Assi” perché e’ la stessa di Baracca, Ruffo di Calabria, Piccio, Olivari e Ranza, tutti assi della prima guerra mondiale. Nel rispetto di questa eredita’ lasciata dai “grandi” piloti della 1^ Guerra Mondiale, nel 1932 i Gruppi adottano come simbolo il cavallino rampante: nero su sfondo bianco per il X Gruppo e bianco su sfondo nero per il IX Gruppo. I due cavallini vanno a sostituire l’uomo alato sulle tute di volo e sono dipinti anche sui velivoli, non senza l’autorizzazione del Ministero sollecitata dallo stesso Duca d’Aosta.

Il volo al 4° Stormo
Noi di Gorizia non vogliamo essere da meno dei compagni di Campoformido ed i Comandanti di Gruppo e di Stormo spesso chiudono un occhio quando qualche pilota che sembra avere piu’ “manico”, si esibisce sul campo. Gli specialisti sono i primi ad uscire dagli hangar per osservare l’acrobata di turno, sono divenuti degli “esperti” ed il loro giudizio e’ preso in considerazione anche dagli stessi piloti. La mia Squadriglia, la 96^, conosciuta come “Le vedette” ha per distintivo tre teste d’aquila sopra altrettante montagne, con il sole alle spalle. Il distintivo primeggia sul tabellone dei turni di volo che viene aggiornato ogni mattina ed e’ appeso all’ingresso dell’hangar. Comanda la Squadriglia il Cap. Armando Piragino, del corso Aquila, il primo corso dell’Accademia. Gli Ufficiali sono i Ten. Beneforti e Frulla mentre i colleghi Sottufficiali sono Cantelli, Avvico e Colombina. Poco dopo arriva in Squadriglia il S.Ten. Pezzé, un pilota eccezionale, un istruttore ed un acrobata la cui fama diverra’ un mito. Il trasferimento da Campoformido a Merna mi ha allontanato dalla mia fidanzata che abita alla periferia di Udine, in un edificio davanti un grande prato libero da ostacoli. Quando mi viene assegnata una missione di volo ad Ovest di Gorizia, al ritorno facevo un cenno al capoformazione e mi staccavo per fare una “puntata” sulla sua casa. Con un primo passaggio le davo il tempo di uscire poi, con una virata sfogata, rimettevo giu’ l’aereo puntando la casa a tutto motore ed alla massima velocita’. Al terzo passaggio a bassa velocita’, sporgevo il braccio e con le dita indicavo l’ora alla quale sarei arrivato a Udine. La prima volta che andai a salutarla, il futuro suocero si butto’ al suolo spaventatissimo, era convinto che l’aereo stesse precipitando sulla casa. Non ero l’unico “indisciplinato” della mia Squadriglia, anche l’amico Serg. Avvico, quando gli capitava l’occasione, non mancava di fare una puntata sulla casa della fidanzata Erna Jörg che abitava a Trieste. Alla fine del 1931 ho al mio attivo circa duecento ore di volo ed ho acquisito un buon grado di sicurezza e padronanza del velivolo. Ho raggiunto quella fase in cui certe manovre vengono eseguite istintivamente. Nel volo in formazione ad esempio, il gregario di destra deve ricordarsi la regola “virata a sinistra: manico e manetta indietro”  “virata a destra: manico e manetta avanti”: allora la cloche la chiamavamo “manico” ed il movimento della manetta del motore era invertito rispetto ad oggi. Il volo in formazione e l’acrobazia in pattuglia sono pane di tutti i giorni. Certamente ci starebbe bene la radio, installata inizialmente su tutti i velivoli ma poi eliminata perche’ pesante e poco affidabile, si vola aiutandosi con i segni convenzionali delle mani o con il movimento delle ali del Capopattuglia. Comunichiamo cosi’ con il linguaggio dei “muti”: nella pattuglia a tre, Piragino che la comanda, alza la mano sinistra e ci fa il segno del “cavatappi che ruota a destra”  che vuol dire “tonneau a destra”. La pattuglia e’ giá in formazione serrata, la mia testa e’ ben ferma e rivolta verso il Capopattuglia, … partiamo con il tonneau. Mentre comincio a girare di alettoni, con la cloche tengo alto il “muso”, aumento la potenza del motore e quando sono a coltello do piede sinistro per sostenere il muso. Piragino riduce leggermente il motore per aiutarmi e mentre siamo a testa in giu’, con la coda dell’occhio sbircio l’orizzonte, debbo star attento a non “scivolare” e spingo la cloche con la pedaliera al centro e do piede destro per sostenere il muso quando sono di nuovo a coltello. Sento Romandini che “smanetta” per non sfilarsi. Completato il tonneau, Piragino si gira per vedere se abbiamo mantenuto la nostra posizione, siamo ancora in formazione stretta. Piragino alza ancora la mano, con l’indice fa il segno di un cerchio, vuol dire “Proviamo un looping!”. Cominciamo con una picchiata per raggiungere la velocita’ necessaria e poi partiamo con il looping, tiro per stargli dietro e, man mano, che l’aereo alza il muso verso il cielo, debbo continuare a tirare la cloche verso la pancia mentre compenso l’effetto coppia col pedale destro. Siamo capovolti, le ali sono livellate, Piragino comincia a ridurre motore per non “staccarci”. Usciamo anche questa volta in perfetta formazione. Il Capopattuglia con l’indice indica l’orologio che ha sull’altro polso, vuol dire che e’ tardi, batte le ali e ci fa cenno di portarsi tutti “scalati” in ala destra. Debbo fare attenzione, sono il gregario di sinistra e parto per primo, tolgo un po’ di motore, mi abbasso e prendo il mio posto in formazione. Sembra una manovra semplice ma basta una piccola distrazione e ci si investe con le conseguenze immaginabili. Sorvoliamo l’aeroporto in formazione, Piragino si stacca e vira a sinistra per portarsi all’atterraggio, lo seguiamo ad intervalli di tre secondi l’uno dall’altro. Davanti a me il Capopattuglia sta toccando terra, giro il capo e vedo l’ultimo gregario in virata. Pochi secondi e sento frusciar l’erba sotto le ruote, qualche sobbalzo e sono davanti all’hangar della 96^. Piragino con la mano orizzontale davanti alla gola fa segno di chiudere i motori: il volo e’ finito! Slaccio le bretelle e sgancio il moschettone del paracadute, mentre scendo sento gli scricchiolii del motore che comincia a raffreddarsi. Il 10 gennaio del 1932  e’ il primo volo del nuovo anno, al pomeriggio mi viene ordinata una missione di addestramento al pattugliamento, allora si diceva di “polizia aerea”, con il S.Ten.Colla della 73^ Squadriglia. Dopo il decollo dirigiamo verso Udine, mentre siamo ad una quota di 2.500 metri, nei pressi di Cormons, improvvisamente il mio C.R. 20 subisce un gran scossone. Non capisco cosa sia successo, penso che sia esploso il motore, l’aereo si mette a ruotare in modo incontrollato, abbassando il muso. Non c’e’ molto tempo per pensare, bisogna lanciarsi. Slaccio le cinture, mi sollevo, metto i piedi sul seggiolino e mi spingo fuori. Appena uscito, a pochi metri dall’aereo, sento il paracadute che si sfila dalla sua custodia grazie alla fune che avevo agganciato con il moschettone alla paratia della cabina di pilotaggio, prima del decollo. Dopo circa due secondi sento il sordo rumore del paracadute che si apre e subito dopo le cinghie mi stringono il corpo. Mi guardo attorno, vedo il mio aereo che si sta avvitando, mi giro e faccio in tempo a vedere un aereo a pochi metri da terra che un attimo dopo impatta il terreno in posizione quasi verticale. Ora comprendo cosa e’ successo, devo essere entrato in collisione con il S.Ten.Colla. Mi guardo ancora in giro per cercare il suo paracadute: nulla! Un brivido mi corre lungo la schiena, ho un brutto presentimento. A terra ho la conferma: il S.Ten.Colla deve essere rimasto incastrato o ferito gravemente nell’impatto ed e’ precipitato con l’aereo. Prendo terra in un campo e vengo soccorso poco dopo dal proprietario del terreno che accorre insieme al figlio. Il corpo di Colla viene recuperato e trasportato all’obitorio presso l’ospedale militare di Gorizia, due giorni dopo si tengono le esequie solenni con la presenza di Ufficiali Superiori, colleghi e autorita’. Ho al mio attivo 200 ore di volo e questo e’ il mio primo incidente serio: devo la mia vita al “Salvator B” da me tante volte criticato per l’impaccio che comporta. Questo modello dorsale, senza cinghie inguinali, lo si deve al progetto del Capitano Prospero Freri ed e’ stato adottato da poco dalla Regia Aeronautica. Il mio lancio e’ il quinto da quando il paracadute e’ stato consegnato ai Reparti. Poco dopo ricevo un telegramma di congratulazioni proprio dal Capitano Freri che mi chiede anche una relazione dettagliata sull’accaduto e viene pubblicata la mia foto sui giornali per propagandare questo paracadute.

La seconda Giornata dell’Ala – 1932
Dalla fine del settembre dell’altro anno e’ iniziata la consegna al X Gruppo dei C.R. Asso, versione migliorata del C.R. 20 bis con un motore Isotta Fraschini piu’ potente di circa 50 HP, sono velivoli decisamente superiori al C.R. 20 e piu’ brillanti nelle acrobazie. Poco dopo anche il IX Gruppo riceve i C.R. Asso e cosi nel mese di febbraio effettuo anch’io il “passaggio” su questa macchina, poco dopo ci viene comunicato che il X Gruppo dovra’ partecipare alla 2^ Giornata dell’Ala, prevista a maggio, con i migliori piloti dello Stormo, cosa che richiede alcuni spostamenti fra le Squadriglie dei due Gruppi. Vengo provvisoriamente assegnato in forza alla 90^ Squadriglia assieme ai sergenti Attanasio, Avvico, Baccara, Bandini, Callegari e Chianese per partecipare a Roma alla “sfilata aerea” in occasione dei festeggiamenti della “Giornata dell’Ala – X Anno dell’Era Fascista”. Il 4º Stormo è alla sua prima “uscita” ufficiale e sfiliamo con 35 C.R. Asso condotti dal Ten.Col. Nicola Spadaccino. Effettuiamo quattro passaggi successivi sui Fori Imperiali, tutti in formazioni diverse. Dopo l’evento siamo ricevuti dalle Autorita’ del Governo e il Segretario dell’Aeronautica, Italo Balbo, ci consegna una medaglia d’argento.

S.A.R. Amedeo di Savoia Duca D’Aosta
Il 1° maggio del 1933 il Duca d’Aosta, assume il comando del 4° Stormo Caccia. Il Duca era a Gorizia fin dal 2 maggio 1932, quando il Re aveva autorizzato il suo passaggio dall’Artiglieria in Aviazione nel “Ruolo Naviganti, con il grado di Colonnello in Servizio Permanente Effettivo. L’11 giugno 1932 il Duca assumerà il Comando dell’aeroporto e del 21° Stormo di Ricognizione Terrestre. Il repentino sviluppo della Regia Aeronautica, dopo la stasi succeduta alla Prima Guerra Mondiale, a partire dagli anni ’30, ha comportato un sostanziale cambiamento nelle tradizioni dell’Arma che prediligeva Ufficiali provenienti dalla Cavalleria e di origine nobile, mentre oggi le selezioni dei piloti si basano principalmente su criteri di capacita’ professionale. L’ambiente dell’Aeronautica è piu’ consono all’indole del Duca d’Aosta, un uomo sportivo e poco formale che non amava le rigide tradizioni dell’Esercito, a sua detta, “catene”! Fin dal suo arrivo a Trieste e durante la sua permanenza al 4° Stormo, il Duca risiede a Miramare, uno splendido castello bianco sulla scogliera carsica del golfo triestino, voluto da Massimiliano d’Asburgo. Ogni giorno si reca a Gorizia con la sua Lancia Artena, spesso guidando personalmente e senza scorta, percorrendo il “Vallone” che collega Monfalcone a Gorizia, attraversando quei luoghi che furono tra i piu’ cruenti della Grande Guerra e dove sono ancora evidenti le testimonianze della tragedia con i cimiteri di guerra, le lapidi e le caverne scavate dai fanti. Il Comando d’aeroporto e’ situato nella palazzina accanto alla strada statale, con l’ufficio del Duca, dove solitamente si trattiene. Quando invece deve andare in volo si reca negli uffici dei Comandi di Squadriglia, al primo piano della cosiddetta “appendice” dell’hangar centrale del 4° Stormo, situata sul retro dello stesso, attraversando l’hangar tra gli specialisti impegnati nella manutenzione dei velivoli. E’ stato lui ad ordinare, con la sua consueta semplicita’ “nessuna formalita’!” e tutti continuano con il loro lavoro. E’ sempre pronto alla battuta e quando qualcuno gli si rivolge con ” Sua Altezza Reale” , risponde scherzosamente “Un metro e novantotto!”. Al 4° Stormo il Duca consegue l’abilitazione su CR. 20, CR. 30 e CR. 32, si addestra, come gli altri piloti del Reparto all’acrobazia, al volo in coppia ed in formazione. Ha a disposizione un velivolo “personale” che, oltre al guidone di Comandante di Stormo e lo stemma coi due pony a colori opposti, ha dovuto essere modificato, abbassando il sedile per adattarlo alla sua eccezionale statura. Uno degli specialisti addetti al velivolo e’ il Sergente motorista Vosca il quale racconta che un giorno, mentre aiuta il Duca a salire nell’abitacolo del suo aereo e sistemarsi le cinghie, lui indicando i Comandanti di Gruppo e di Squadriglia che da lontano seguono ogni suo movimento, gli sussurra “Guarda Vosca … i miei subalterni non si fidano di me come pilota, sono preoccupati per la mia incolumita’!”. Il prestigio del 4° Stormo, unico Reparto comandato da un’Altezza Reale e la fama che circonda i suoi piloti, fa di loro ospiti ambiti ai ricevimenti dei nobili del posto. Per diverso tempo e’ sulla bocca di tutti un piccolo incidente occorso in una sontuosa villa di una contessa che aveva invitato Ufficiali e Sottufficiali piloti dello Stormo in occasione di una ricorrenza. Qualche giorno prima gli invitati avevano discusso se fosse il caso di portare al ricevimento un certo Sergente non molto “conoscitore” del galateo ed alquanto sboccato nelle sue espressioni: si decise all’unanimita’ di invitarlo ma con la consegna di mantenersi in disparte e non aprire assolutamente bocca. Sfortunatamente, la contessa puntó proprio il Sergente e cominció a parlare con lui che annuiva con il capo mentre i suoi compagni lo fissavano preoccupati e gli facevano cenno di non rispondere. La contessa dopo un puntiglioso resoconto delle sue proprieta’, ville, terreni, servitu’ che stupivano il poveraccio, finí col raccontare che il mese prima aveva anche vinto una somma ingente alla lotteria! … Questo fu troppo per il povero Sergente che non riusci’ a trattenersi  -“ma che culo che ha, signora contessa!…”esclamò. Nella sala calo’ un gelido silenzio ed il Sergente si rese conto che l’aveva “combinata” e, rosso in faccia, cerco’ di rimediare “mi scusi, signora contessa, ho detto una puttanata …”. La presenza del Duca a Gorizia contribuisce ulteriormente a rafforzare lo spirito di corpo del 4° Stormo. I piloti hanno per lui una vera e propria devozione, per il suo animo nobile ma anche per la sua estrema semplicitá. Sceglieva i piloti con i quali volare in coppia e al termine della missione, quando scendeva dall’aereo, si intratteneva con il gregario ed aveva sempre un parola di ringraziamento. Anch’io vengo scelto per alcuni voli con il Duca quale gregario “sinistro” e lui, che aveva una memoria formidabile, quando mi incontrava mi si rivolgeva con “Ecco Costigliolo, il mio potente sinistro!”. Il Duca, dopo il Comando del 4° Stormo, assumera’ il Comando della III Brigata Aerea (1° e 4° Stormo) e infine della 1° Divisione Aerea “Aquila” (I e III Brigata Aerea). E’ stato una figura esemplare per i suoi piloti e per tutti coloro che lo hanno conosciuto.

Biron ed Avvico
Nel settembre del 1933, lo stesso mese in cui nasce il mio primo figlio, Furio, viene assegnato alla 96^ Squadriglia un giovane sergentino ancora diciottenne, Giuseppe Biron, presto soprannominato “Bepi”. Insieme all’amico Avvico, ho l’incarico di “svezzarlo” e fargli vedere cosa si intende per “acrobazia” a Gorizia. Tra noi nasce subito una profonda amicizia che durera’ tutta la vita. Il mio Gruppo, il IX, dopo essersi classificato al secondo posto nelle “Gare di Specialita’” del 1933, nell’anno successivo, le vince: e’ una grande soddisfazione. Le esercitazioni di tiro reale si svolgono al poligono di Furbara, alla presenza del Re e del Capo dello Stato, come riconoscimento ci viene conferito l’onore di fregiarci, per tutto l’anno del fascetto d’oro sull’aquila di pilota. Il 15 aprile del 1935 il Capitano Piragino chiama i sergenti Biron ed Avvico per  assegnargli una missione di allenamento in coppia nella zona di Trieste. Avvico, prima di salire a bordo, chiama in disparte Biron: “Quando arriviamo su Trieste” gli dice “tu mantieni i mille metri come ha detto il Capitano. Io scendo, faccio un paio di puntate sulla casa della mia ragazza e poi risalgo e ti raggiungo”. Sopra Trieste Avvico toglie motore inclina l’aereo a 90 gradi e con una “affondata” si dirige verso il “bersaglio”. Biron, rimasto da solo, non resiste alla tentazione di fare un “passaggio” basso su piazza Unita’. Un minuto dopo si “butta” giu’ anche lui, il C.R. Asso in discesa con il motore al massimo dei giri accelera subito, a un chilometro dalla piazza e’ già’ livellato, a qualche metro dall’acqua, velocissimo, molto piu’ basso degli edifici della piazza stessa. Biron dirige tra i due alti pennoni che sono all’inizio della piazza, quando l’aereo e’ a cento metri, tira violentemente la cloche per superarli in cabrata ma sbaglia di pochi centimetri e l’estremita’ della semiala inferiore viene danneggiata dalla punta del pennone di sinistra. Il C.R. Asso imbarda a sinistra, passa a poche decine di metri dal palazzo del Comune e da quello delle Assicurazioni Generali ma riesce ancora a volare; fortunatamente l’ala inferiore e’ molto meno “portante” di quella superiore, Biron deve compensare con cloche e pedaliera per mantenere l’aereo in linea di volo e riesce ad arrivare a Gorizia, dove atterra seguito da Avvico. Giunti davanti all’hangar, si forma subito un capannello di curiosi intorno all’aereo di Biron, la notizia si diffonde in un lampo anche perche’ nel frattempo da Trieste e’ giunta una telefonata del Prefetto: entrambi i piloti vengono messi agli arresti. Avvico si prende una “consegna” di diversi giorni in quanto Capopattuglia e pertanto responsabile, mentre a Biron tocca la punizione piu’ pesante: ritiro del brevetto, perdita del grado, rimborso allo Stato dei danni provocati, congedo immediato. Quando sembra non ci sia piu’ nulla da fare per il povero Bepi, il Capitano Moore riesce a interessare il Duca d’Aosta che si reca appositamente allo Stato Maggiore a Roma per convincere il Generale Pricolo a mitigare la pena che infine viene commutata in arresti, rimborso dei danni e trasferimento al 3° Stormo di Bresso.

Il “nulla osta” per il matrimonio di Renzi
Il regolamento militare prevede che non ci si possa sposare prima di aver compiuto trent’anni. Diversi di noi sono impazienti e non intendono sottostare a questa assurda regola e cosi’ celebrano il matrimonio in segreto. E’ prassi che in questi casi lo sposo “firmi delle cambiali” a garanzia della sposa nel caso non si arrivi al matrimonio “ufficiale”. Anch’io faccio questa scelta e all’eta’ di ventiquattro anni ho il mio primo figlio. La nostra posizione cambia finalmente grazie alla coraggiosa iniziativa del Sergente Norino Renzi che coglie l’occasione di una visita al 4° Stormo del Capo del Governo. Quando Mussolini passa in rassegna ai piloti, Renzi fa un passo avanti e, sempre sull’attenti, esclama “Duce, mi  voglio sposare!…”.  Mussolini non lo degna di uno sguardo e  proseguendo si volge verso il suo aiutante sussurrando qualche parola. Pochi mesi dopo, in occasione della nascita della S.A.R. Maria Pia, figlia primogenita dei Principi di Piemonte, il Capo del Governo ed il Ministro di Grazia e Giustizia presentano una relazione in regia udienza a S.M. Vittorio Emanuele III, che approvandola emette il Regio Decreto Legge n. 1512 del 25 settembre 1934 con il titolo di “Condono di penalità”. Nel art. 18  si condonano “… le conseguenze di matrimonio contratto in contravvenzione alle norme vigenti per ufficiali, sottufficiali e truppa del R. Esercito, della R. Marina e della R. Aeronautica.”. Norino Renzi era stato ascoltato ed io recuperai le mie cambiali.

I C.R. 32
Nel mese di aprile del 1935 cominciano ad arrivare allo Stormo i primi esemplari del nuovo caccia che equipaggerà le nostre linee di volo: il Fiat C.R. 32, l’ultima creazione dell’Ing. Celestino Rosatelli che ha già progettato il C.R. 1, il C.R. “Asso” e il C.R. 20. La consegna e’ stata ritardata in quanto il Governo, per fronteggiare le Sanzioni Economiche imposte dalla Lega delle Nazioni, necessitava di valuta pregiata e pertanto aveva deciso di destinare la prima serie dei velivoli alla Cina del Generale Ciang-kai-shek. Questo nuovo “Caccia” e’ una macchina eccezionale, robusto ed elegante, surclassa i C.R. Asso che ci sembrano improvvisamente invecchiati di dieci anni. Faccio il primo volo il 10 maggio e quando scendo sono entusiasta: la transizione sul C.R. 32 non presenta alcuna difficolta’ e l’ambientamento e’ immediato. La Fiat ha partorito un “gioiello”, il C.R. 32 si dimostra subito un “cavallo di razza”, ideale per il volo acrobatico, possiede una superlativa maneggevolezza e la potenza del suo motore facilita il volo in pattuglia. Iniziano anche gli allenamenti in formazioni, progressivamente piú numerose ed impegnative. In novembre il Comando della mia Squadriglia viene assunto dal Capitano Marco Minio Palluello, bellissima figura di uomo e di pilota. Nel febbraio del 1936, tutto lo Stormo ha in linea il nuovo apparecchio e alla fine delle esercitazioni di tiro al poligono del Vivaro, tutte le Squadriglie hanno raggiunto lo stato operativo. Durante questo periodo, le sanzioni si fanno sentire con il razionamento del carburante per cui l’addestramento mensile viene integrato con il “Caproncino” (Caproni Ca 100) che ovviamente consuma molto meno col suo “motorino” da 100 HP con il quale la nostra Squadriglia effettua anche alcuni voli notturni. Applichiamo dei pattini al “Caproncino” e ci alleniamo anche ad operare sui campi ricoperti da neve. Intanto le esercitazioni reali diventano più frequenti e per la prima volta ci alleniamo ai tiri reali “aria-aria” su una manica trainata da un C.R. 30: questo sistema soppianta l’uso della fotocamera che dava risultati poco affidabili. Gli armieri preparano i nastri con le munizioni, verniciano la punta dei proiettili con colori diversi per ogni pilota e, una volta che la manica e’ a terra, si contano i fori con il bordo del colore che ci e’ stato assegnato e cosi’ risaliamo al numero di colpi messi a segno. Le direttive impartite dai nostri Capi Pattuglia sono precise: “ … Nessuno si avvicini a meno di centocinquanta metri della manica e attenti a non fissarvi sull’obiettivo perdendo di vista il trainatore, potreste allinearvi in coda a questo e colpirlo! …”. In realta’ tutti noi ci spingiamo piu’ “sotto” alla manica ed a volte la “scavalcavamo” all’ultimo momento per non finirci dentro, tirandoci dietro le maledizioni del pilota trainatore che, tutto preoccupato, vola con il capo girato di 180 gradi. A volte ci divertiamo a spargere la voce che il velivolo trainatore e’ atterrato con dei fori in coda e che il colore e’ quello dell’incauto che abbiamo preso di mira.

La Campagna di Spagna
Verso primavera comincia a circolare con insistenza la voce che in Spagna le cose si stanno mettendo male. Ne parlano quasi quotidianamente i giornali ed i presagi dei nostri superiori ci preoccupano perche’ sono ancora vivi i ricordi della Rivoluzione Russa ed il dilagare dell’influenza comunista, allora la chiamavamo “bolscevica”, nella Germania pre 1933. In Spagna gli attentati e gli assassini fra  le fazioni governative di sinistra, i “rossi”, e quelle nazionaliste di destra, si moltiplicano, si parla oramai di “guerra civile”. Si va dicendo che l’Italia e la Germania, non permetteranno che la Russia avanzi fino all’estremo confine occidentale dell’Europa. In luglio, viene assassinato dalla estrema destra un Ufficiale governativo. Scatta la rappresaglia e viene ucciso da un gruppo di appartenenti alla polizia governativa (Guardia Civil) una figura emblematica della monarchia spagnola, il deputato Don José Calvo Sotelo. La commozione e la rabbia per le due uccisioni sono la scintilla che fa scoppiare il conflitto: un gruppo di generali dell’Esercito si ribella dando vita al “solevamiento”. Sono capeggiati da due Generali, Francisco Franco in Marocco e Queipo del Llano a Siviglia. In aeroporto circola una notizia riservata, non riportata dai giornali, una squadriglia con una dozzina di S. 81, al comando del Ten.Col. Bonomi e di Ettore Muti, e’ partita per Melilla, in Marocco, in aiuto dei nazionalisti. Sembra che la sorte non sia stata benevola con loro, hanno trovato un vento contrario piu’ forte del previsto che ha comportato un eccessivo consumo di carburante per cui un S. 81 e’ finito in mare e l’equipaggio e’ disperso, un’altro e’ andato distrutto in atterraggio su un campo in Algeria con la perdita di quattro membri d’equipaggio e, l’ultimo, atterrato sulla spiaggia algerina vicino al confine con il Marocco, e’ stato confiscato dai francesi.

Volontari per una missione all’estero
Il 2 agosto, mentre siamo in mensa, ci viene ordinato di presentarci al pomeriggio davanti alla palazzina Comando dell’aeroporto. Ci allineiamo schierandoci come al solito e Paluello presenta la 96^ Squadriglia al Maggiore Guerra. Avvico senza voltarsi mi sussurra“Si va in Spagna!”. E’ già’ nell’aria da parecchi giorni che il nostro Governo “non puo’ non intervenire” e molti di noi sono disponibili a partire, se chiamati. Lo sono anch’io, sebbene sia preoccupato di lasciare mio figlio di soli due anni, fortunatamente mi conforta il fatto che posso contare sull’aiuto della famiglia di mia moglie. Anche chi e’ appena giunto allo Stormo vorrebbe partire ma deve ancora “farsi le ossa” prima di affrontare una missione tanto impegnativa. Mentre questi pensieri scorrono nella mia testa, arriva il Comandante di Stormo Col. Retinó  che, dopo la presentazione dei Comandanti di Gruppo, inizia a parlarci con la sua voce nasale e noiosa, ma questa volta riesce ad attirare la nostra attenzione. Ci riassume la situazione politica in Spagna, le tensioni sociali createsi dopo le elezioni del nuovo Governo sostenuto dal “Frente Popular” e la conseguente insurrezione dell’Esercito, guidata dal Generale Francisco Franco. Il governo spagnolo e’ appoggiato da Russia, Francia e Inghilterra, mentre i “ribelli” hanno chiesto aiuto all’Italia e alla Germania. Retino’ conclude “… Sua Altezza Reale, il Duca d’Aosta ha appena ricevuto una comunicazione dallo Stato Maggiore dell’Aeronautica per reclutare volontari disponibili a partire per una missione all’estero di scorta ai bombardieri. Chi si offre volontario faccia tre passi avanti!” . Siamo in molti ad offrirci volontari senza indugio e poco dopo veniamo ricevuti dal Duca in persona all’interno della palazzina Comando “ … per evitare sanzioni all’Italia da parte della “Lega delle Nazioni” ci spiega “la vostra missione deve rimanere segreta e non si deve sapere che siete della Regia Aeronautica. … Saro’ io stesso a scegliere coloro che partiranno con le prime due missioni … “. I primi due contingenti di piloti e specialisti partono rispettivamente il 5 ed il 7 per quella che sara’ poi denominata O.M.S. (Operazione Militare di Spagna). Nel primo contingente di dodici piloti e cinque specialisti, ci sono cinque piloti provenienti dal 4° Stormo, sono il Capitano Dequal, cui e’ stato affidato il comando della missione, il S.Ten.Monico ed i Sergenti Salvadori, Patriarca ed il mio caro amico Avvico. Nel secondo contingente di nove piloti e cinque specialisti, ci sono tre piloti del 4° Stormo, sono il S.Ten. Franceschi ed i Sergenti Chianese e Vivarelli. Gli altri componenti dei due gruppi provengono dal 1° e 6° Stormo.

La mia partenza per le O.M.S.
Dopo due mesi e mezzo, il 26 ottobre, arriva il mio turno e mi viene concesso un permesso speciale per fare una breve visita a mia moglie e mio figlio, debbo pero’ essere di ritorno al mattino presto. Vado in città e acquisto un pupazzo di velluto raffigurante un negro con un simpatico cappello per regalarlo a mio figlio. Il giorno dopo, in aeroporto, ci togliamo le divise e consegniamo tutti i nostri effetti personali al magazzino vestiario, accanto all’hangar della Ricognizione; dobbiamo liberarci di ogni indizio che possa rivelare la nostra appartenenza alla Regia Aeronautica. Veniamo caricati con i nostri pochi effetti personali su un automezzo dell’aeroporto che ci accompagna alla stazione ferroviaria di Gorizia dove ci attende una carrozza riservata; a Udine si uniscono i colleghi del 1° e 6° Stormo di Campoformido ed il treno prosegue per Venezia, Padova, Verona con destinazione Genova. Il mattino successivo arriviamo alla stazione di Genova Brignole. Sono trascorsi solo sette anni da quando ho lasciato Cameri, ma quanta strada fatta dalla gavetta! Sono un Sergente pilota con 700 ore di volo, appartengo ad un Reparto tra i piu’ prestigiosi dell’Aviazione italiana, sono sposato, ho un figlio e sono stato prescelto per una difficile missione all’estero. Mentre ci avviciniamo a Rapallo, dal finestrino vedo scorrere i luoghi a me tanto familiari. Giungiamo infine a La Spezia, scendiamo e veniamo accompagnati al porto dove ci imbarcano sulla nave “Aniene”. Dall’equipaggio veniamo a sapere che è la stessa che aveva trasportato la prima spedizione, faceva parte della Marina Governativa ed era stata catturata dai nazionalisti: il suo precedente nome era “Ebro”. Salgono a bordo alcuni Ufficiali in borghese del Servizio Segreto dell’Aeronautica. Ci distribuiscono dei passaporti “falsi” che di falso hanno solo i nostri nomi! “È per non dar un alibi al Comitato di non Intervento”, ci dicono e ci spiegano “Il Comitato e’ nato da un accordo fra le nazioni europee di non intervenire nel conflitto interno della Spagna. In realta’ tutti, piu’ o meno velatamente, danno il loro aiuto ad una delle due parti”. La Russia in particolare sta inviando alle forze Repubblicane enormi quantita’ di materiale bellico e combattenti addestrati,  piloti e artiglieri, per i quali riceve in cambio grandi carichi di oro. I “Nazionalisti” invece hanno l’appoggio non ufficiale dei Governi di Italia, Germania e pure quello sempre “discreto”, del Portogallo. Sfogliando il passaporto apprendo il mio “nuovo” nome: Silvio Castiglini Ricci. Tutto sommato non e’ un grande cambiamento, considerando anche che Ricci è il cognome di mia madre. Ci rido sopra con il mio “falso” omonimo, il S.Ten. Corrado Ricci, diventato S.Ten. Rocca.

La partenza da La Spezia
Lasciamo il porto verso il pomeriggio, in serata il marconista sintonizzandosi su una emittente straniera che simpatizza per le forze repubblicane, sente che sono stati rivelati tutti particolari della nostra missione, compresi i nostri veri nomi e formulando minacce nei nostri confronti, meno male che il tutto doveva essere della massima segretezza! Nella notte del 31 ottobre raggiungiamo le acque spagnole, abbiamo da poco finito di cenare e siamo in coperta, quando scorgiamo un dirigibile che segue la nostra rotta, è a luci spente e a bassa quota, quindi con tutta probabilità è alla nostra ricerca. Il comandante della nave ci dice che i russi hanno inviato due dirigibili in Spagna, e’ sicuramente uno di questi. La velocità della nave viene ridotta per limitare al massimo la scia sul mare e ci dirigiamo verso una zona dove le nubi sono più basse per nasconderci meglio. Finalmente, dopo un’ora, con il tramonto della luna, l’oscurità ci avvolge ed il dirigibile si dilegua. All’alba veniamo raggiunti dal cacciatorpediniere “Alvise da Mosto” che ci scorta fuori dallo stretto di Gibilterra e ci indica la rotta che dovremo seguire. Il mattino del 3 novembre passiamo al traverso di Cadice e, poche ore dopo, siamo a Sanlúcar de Barrameda da dove cominciamo a risalire il fiume Guadalquivir, giungendo la sera a Siviglia.

L’arrivo a Siviglia
Dopo le operazioni di ormeggio alla banchina del porto, inizia immediatamente lo sbarco del carico della nave mentre giunge sottobordo per riceverci il Ten.Col. Bonomi che ricopre il ruolo di Comandante della “Aviación del Tercio”. Dopo lo scambio di convenevoli e le presentazioni, ci intratteniamo qualche minuto con lui. “Comandante, cos’è il Tercio” domando“Ne parliamo domani”, è la risposta, “adesso vi accompagniamo ai vostri alloggi e pensate a riposare”. Gli Ufficiali trovano sistemazione nell’albergo ”Andalucía Palace” a Puerta (Piazza) de Jerez e noi Sottufficiali al “Hotel Cristina” dall’altra parte della piazza. Rimango colpito dalla sontuosita’ dell’albergo, dalla bellezza dei suoi giardini e della stupenda vista, siamo a cento metri dalla Torre dell’Oro e dal fiume Guadalquivir. In albergo ci sono alcuni Sottufficiali giunti con la spedizione precedente, usciamo accompagnati da uno di loro per andare a mangiare. Mentre camminiamo ci dice “Portate sempre con voi le pistole, qui le strade sono pericolose”. Mi sento a disagio nel passeggiare in borghese con sotto la giacca la Beretta che ci hanno consegnato a Gorizia prima della partenza. Lungo la strada incontriamo uomini armati fino ai denti con le divise piu’ disparate. Un collega mi racconta delle atrocita’ che vengono commesse da entrambe le parti. I “rojos” (i rossi) si scatenano contro chiese, conventi e civili sospettati di simpatizzare per i Nazionalisti (Franchisti) mentre quest’ultimi torturano e uccidono i “rossi”. “La ferocia è reciproca” ci dice“all’interno del Parco, qui a Siviglia, i nazionalisti liberano i prigionieri rossi e poi si danno alla caccia all’uomo. Al mattino sono tutti morti. Dopo un bombardamento, sia i Nazionalisti che i Repubblicani per rappresaglia fucilano i prigionieri che sono nelle carceri …”. Il collega mi sembra sincero ed obiettivo, non mi da’ l’impressione di esagerare. Andiamo a dormire, stanchi dal viaggio e impressionati dai racconti appena ascoltati. Sará la suggestione, mi sembra di sentire spari lontani. Al mattino ci svegliamo presto e ci conducono al “Cuartel de la Aviación del Tercio” per l’arruolamento. Ci consegnano le divise: una camicia verde e bustina con un “pendant” rosso e giallo, i colori nazionalisti. Ci fanno le fotografie in divisa e ci rilasciano i documenti di identificazione in lingua spagnola, da Sergente Maggiore ora sono promosso “Brigada”. Chiedo cosa vuol dire “Tercio” al Teniente Miró Ferrer che mi firma la tessera di riconoscimento, mi spiega che è una organizzazione militare molto simile alla “Legione Straniera” francese, inizialmente si chiamava “Tercio de Extranjeros” (tercio degli stranieri), comandata dal Col. Millán-Astray che aveva ideato il motto “Viva la Muerte” (Viva la morte!), e’ costituita in maggioranza da truppe marocchine. “Per questo motivo” aggiunge “lo scarafaggio sul distintivo della Squadriglia Cucaracha porta il fez delle truppe africane”. Mi stupisce la sua preparazione, e’ ansioso di insegnarci la storia di questo popolo e gli fa piacere soddisfare la mia curiosità. A lezione finita mi regala un paio di gemelli da polso con il distintivo del Tercio: una balestra, un moschetto e una picca incrociati, dorati su acciaio “damasquinado” di Toledo. Ci consiglia di arruolarci alla “Falange Española” ma non sappiamo cosa sia “ … é una organizzazione di destra, simile ai Fasci italiani, che si opponeva all’avanzata marxista dei “rojos” prima della ribellione di Franco” spiega “Anche loro usano il saluto romano ed il suo “Jefe Nacional” (capo nazionale) è Don José Antonio Primo de Rivera, figlio del Capo del Governo spagnolo dal 1923 al 1930, attualmente incarcerato nella prigione di Alicante. Se non si riesce a scambiarlo con un altro prigioniero, la sua vita e’ a rischio”.  Ci confida inoltre “Gran parte degli spagnoli, circa il 40 per cento, sono analfabeti ma sanno riconoscere il distintivo della Falange riportato sulla tessera di riconoscimento che vi e’ stata appena rilasciata”. Il distintivo e’ formato da cinque freccie incrociate sul giogo risalente ai “Re Cattolici”, quelli che avevano espulso i Mori dalla Spagna nel 1492. Ci  accompagna infine alla sede della Falange dove ci forniscono la divisa con la camicia azzurra e la cravatta nera. Non vogliono le foto che avevamo portato con noi per la tessera, ci fanno indossare la “camisa azul” (camicia azzurra) e poi ci mettono in posa davanti alla macchina fotografica. Torniamo infine in albergo per la cena, stanchi ed un pò scossi; fino a questa mattina ero in borghese e oggi ho due divise diverse. Il premuroso collega ci promette di accompagnarci domani a visitare la città, ma al mattino riceviamo l’ordine di tenerci pronti per andare in aeroporto.

Il trasferimento a Talavera de la Reina
L’aeroporto di Tablada è poco lontano, sull’altra sponda del Guadalquivir. Siamo già’ in novembre, ci forniscono gli indumenti di volo “pesanti” e poi aiutiamo gli specialisti nell’assemblaggio dei velivoli che hanno viaggiato con noi sulla nave e che sono stati appena sbarcati da poco. Il Cap. Guido Nobili, vuol sapere i Reparti di provenienza e la nostra esperienza di volo e sceglie coloro che domani effettueranno la prima missione al fronte, dove c’è un gran bisogno di piloti e aeroplani. Aiutiamo gli armieri a caricare i nastri delle mitragliatrici con 400 colpi ciascuna e poi approfittiamo del tempo libero per procurarci delle carte geografiche turistiche della Spagna; nonostante siano già’ trascorsi alcuni mesi dall’arrivo dalla prima missione italiana, le carte aeronautiche continuano a scarseggiare. Il pomeriggio del 10 novembre decollo per la mia prima missione. La pattuglia e’ formata da piloti “anziani” che conoscono il terreno e la tattica del nemico. Dirigiamo su Talavera de la Reina, scortando una pattuglia di Ro 37. Dopo un’ora e mezza di volo, quando intravvediamo Talavera, al Nord dell’isola del Chamelo sul fiume Tajo, i Ro 37 cominciano ad abbassarsi per attaccare le postazioni nemiche al suolo. Scortiamo ancora i Ro 37 per il rientro e atterriamo, senza aver incontrato difficolta’, sulla nostra base di Tablada. Quando scendiamo veniamo ricevuti dal Magg. Tarcisio Fagnani (nome di battaglia “Faroni”), già mio stimato Comandante del IXº Gruppo fino a luglio scorso e Comandante della Caccia in Spagna. Viene in visita al personale e si congratula per la nostra missione. Poco dopo riparte per Torrijos, dando disposizioni di raggiungerlo all’indomani. C’è l’urgenza di impiegarci sul fronte di Madrid dove l’offensiva va crescendo e dove confluiscono le forze nazionaliste comandate dal Generale Varela che hanno liberato Toledo dieci giorni prima.

A Torrijos
Gli specialisti hanno già’ rifornito, armato e riscaldato i nostri C.R. 32 che sono pronti per la partenza. Il cielo è completamente coperto da spesse nuvole e in queste condizioni siamo incerti se partire verso un campo che non conosciamo e molto vicino al fronte. Nobili chiama al telefono Fagnani e gli comunica che le condizioni meteo a Torrijos permettono di operare su quel campo. Decolliamo seguendo Ferrari, al quale Fagnani aveva affidato il compito di guidare la pattuglia e dopo circa mezz’ora arriviamo nei suoi pressi. Mentre cominciamo a planare, un C.R. 32 decollato da Torrijos ci viene incontro, ci ha avvistato da lontano e ci guida verso il campo che, per chi non e’ pratico della zona e’ quasi impossibile individuare. Rimane poi ad orbitare in quota per proteggerci da eventuali attacchi nemici mentre noi, seguendo Ferrari, atterriamo uno dopo l’altro su una stretta striscia di terra invisibile dall’alto. La scelta di Fagnani di creare qui una base avanzata si e’ dimostrata eccellente. Torrijos e’ un campo precario, quasi d’emergenza, con una pista corta e mal preparata, su una piccola collina circondata da ulivi ed eucalipti che sono un ottimo mascheramento per aerei e fusti di carburante. Il vantaggio della sua vicinanza al fronte, lontano una quindicina di minuti di volo e la sua eccellente mimetizzazione fanno di questo campo una spina nel fianco del nemico; infatti, nonostante molteplici tentativi dei Repubblicani, non sara’ mai scoperto. Vengo assegnato alla 26ª Squadriglia del XVI Gruppo Autonomo Caccia Terrestre, “La Cucaracha”, comandato da Fagnani. Capo Squadriglia è il Cap. Alfiero Mezzetti, che ho conosciuto a Campoformido, quando faceva parte della Scuola di Alta Acrobazia. Con gioia ritrovo diversi amici di Gorizia, dopo i ricordi comuni ci sono anche le tristi notizie dei compagni caduti e di quelli prigionieri. Poi e’ il momento dello scambio di informazioni operative; subisso i colleghi piu’ esperti con domande sulle tattiche di combattimento e sulle prestazioni dei velivoli nemici. Nonostante abbia molte ore di volo, sono privo di esperienza di combattimenti reali. Ascolto con attenzione i consigli di un veterano che riesce a condensarle in poche parole: “La quota e la velocita’ sono fondamentali – Non sfilarti mai dalla pattuglia, non rimanere isolato – Non ti distrarre mai, non ti fissare su un punto, guardati sempre in coda – Se il nemico e’ superiore in numero e forza, non impegnarti, taglia la corda – Non rispettare queste regole” continua il collega “vuol dire fare una brutta fine o, se sei fortunato, … ritrovarsi impallinato!” e con la mano indica un C.R. 32 parcheggiato li vicino e con una ventina di fori in coda e sulle ali. Non molto lontano c’e’ il mio aereo, lo riconosco per il numero di matricola “230” dipinto sulla fusoliera. E’ nuovo di zecca, speriamo che resti cosi’ a lungo! Alla mensa mi siedo accanto a Sozzi, ora si chiama  “Delicado”, mi racconta che, in sezione con Mantelli (Arrighi), sono riusciti a abbattere un “Martin Bomber”. Questi bombardieri, il cui vero nome e’ “Tupolev SB 2 – Katiushka”, erano soliti arrivare in formazione per bombardare nostri obiettivi e poi, grazie alla loro velocita’ piu’ elevata, sfuggivano ai C.R. 32 e aggiunge“Adottando la tattica di portarci molto in quota, in attesa di una loro incursione e poi buttandoci addosso a loro con una forte picchiata per guadagnare velocita’, siamo riusciti ad abbatterne uno, facendo crollare il mito della loro invulnerabilita’ …”. A Torrijos si vive praticamente all’aperto, sotto gli ulivi, ci sono solamente un paio di baracche ed il Comando e’ semplicemente una baracca piu’ grande, costruita sotto un enorme quercia. Non ci sono posti per dormire e si passa la notte nel paese vicino. Con Castellani e altri troviamo posto in una casa vuota, danneggiata dai bombardamenti, con porte e finestre rimesse in ordine alla meglio. Durante la notte fa molto freddo e ci corichiamo vestiti con la tuta di volo addosso, protetti da alcune coperte militari. La cucina è affidata a quattro ragazze, Rafaelita, Encarnación, Susana e Mercedes, quest’ultima diciassettenne, è l’unica superstite di tutta la sua famiglia, sterminata dai Repubblicani. Al mattino ci alziamo all’alba per andare in aeroporto dove ci assegnano incarichi e missioni. Mentre alcuni piloti vanno al fronte per operazioni di appoggio alla fanteria, ad altri spetta la difesa della base dalle incursioni nemiche. Una coppia di C.R. 32 sono dall’alba al tramonto in volo a 2.000 metri per una “crociera di vigilanza campo” e vi rimangono due ore per turno. A terra invece due piloti sono costantemente accanto al loro aereo, pronti ad intervenire per una “partenza su allarme”. Come difesa fissa a terra c’e’ una  sola mitragliatrice quadrinata mimetizzata, piazzata in un angolo del campo. Mi viene assegnato il secondo turno di “vigilanza campo” ma l’attività e’ sospesa poco dopo a causa delle condizioni meteo e si rimanda tutto a domani.

Primo giorno in guerra, la battaglia di Madrid
Il 13 novembre sono seduto nell’abitacolo del C.R. 32, pronto a partire su allarme. Il cielo e’ limpido e la fusoliera del mio aereo non mi protegge dal freddo che mi intorpidisce gli arti. Cerco di muovere mani e piedi per scaldarmi, controllo per l’ennesima volta la sicura delle armi, il moschettone del paracadute, la pressione dell’aria compressa per l’avviamento del motore, le cinture di sicurezza e aspetto che si facciano sentire gli effetti dei deboli raggi del sole che sta salendo sull’orizzonte. Ad un centinaio di metri alcuni C.R. 32 avviano i motori, giro la testa verso di loro, ne conto quattordici, dopo alcuni minuti cominciano a muoversi e lentamente, seguono il velivolo del Capopattuglia Fagnani. Sebbene i volti dei piloti siano nascosti dal caschetto e dagli occhiali, dal numero di matricola impresso sui fianchi della fusoliera, riconosco Fiacchino e Mariotti. Un altro gregario mi saluta, rispondo alzando la mano, non so chi sia. Dagli stemmi “tre uccelli sulla coda e le frecce della Falange” dipinti ai lati, riconosco il C.R. 32 di Morato, seguito da altri due spagnoli. Al motorista che pure lui sta seguendo con lo sguardo la “processione”, chiedo dove vanno“Scorta di bombardieri su Madrid” mi risponde telegraficamente. Ad un segno del braccio del Maggiore, tutti danno motore e decollano in pattuglie di tre velivoli, leggermente distanziati. Li vedo virare sul campo per il ricongiungimento e poi dirigere a Nordest. Poco dopo il rumore dei motori svanisce e sul campo torna il silenzio. I minuti si trascinano lentamente, provo per prima volta l’angoscia di attendere il ritorno dei camerati. Terminato il servizio di allarme, scendo dall’aeroplano, sono infreddolito ed indolenzito e lascio il mio posto ad un collega. Dopo piu’ di un’ora, mentre sto accendendo una sigaretta, sento il rombo dei motori dei nostri aerei di rientro dalla missione. Non sono piu’ in formazione stretta come alla partenza ma sparpagliati e qualcuno isolato, sembrano provati. Uno dopo l’altro passano accanto al campo, virano e si portano all’atterraggio. Ne conto dodici, mancano il Cap. Goliardo Mosca e Luigi Mariotti. Alcuni aerei sono colpiti, un pilota zoppica, e’ leggermente ferito alla caviglia, e’ Ricci. Dal rapporto delle azioni, cui assiste Fagnani, risultano abbattuti sei nemici. Mi avvicino alla tenda, sento Morato, Salas e Benjumea, gli altri due spagnoli che avevo visto con lui, attribuirsi un “Chato” (Polikarpov I-15) ciascuno. Il Comandante rimprovera un gregario che si e’ sfilato dalla pattuglia ed e’ rimasto pericolosamente isolato, e’ stato impallinato e per poco non e’ stato abbattuto. Fagnani è preoccupato per la scarsezza del materiale di volo e non vuole rischiarlo inutilmente. All’improvviso dalla tenda dove c’e’ il telefono, si affaccia un aviere, strilla verso la tenda Comando “Mosca, e’ atterrato a Talavera, e’ ferito. Mariotti e’ atterrato a Getafe, dentro le nostre linee”.

Le partenze su allarme
Qualche giorno dopo, verso mezzogiorno, sono nuovamente in servizio d’allarme, seduto dentro il mio C.R. 32, quando alzando gli occhi al cielo noto tre sagome di aerei che dirigono verso il nostro campo. Quasi contemporaneamente si alzano due razzi rossi che danno l’allarme, dalle baracche escono i piloti e gli specialisti che corrono verso i propri aerei. Allaccio le cinture ed indosso il caschetto, il mio specialista e’ accanto all’ala sinistra e mi fa cenno che tutto e’ pronto. Il motore e’ già’ caldo e si avvia dopo due giri d’elica, faccio cenno al motorista di togliere i tacchi e comincio a rullare seguendo l’altro C.R. 32 che era d’allarme. In un attimo siamo sulla pista, diamo tutto motore e ci alziamo in volo in pochi secondi. Continuiamo ad “arrampicarci” con tutta manetta ed al massimo rateo di salita. Stimo che gli intrusi siano ad una quota di circa 2.000 metri. Sono più veloci e si allontanano verso Talavera, le sagome sono quelle di tre Martin Bomber, del tipo di cui mi aveva parlato Sozzi, ma non c’è modo di raggiungerli. Li vedo poi virare improvvisamente e tornare indietro: sono sicuramente alla ricerca del campo e probabilmente non ci hanno ancora avvistati. Intanto ci raggiungono gli altri quattro C.R. 32 partiti dopo di noi, tolgo le sicure alle armi e appena sono alla stessa quota dei Martin Bomber, mi butto all’attacco. Sparo sul Capopattuglia e il gregario di sinistra, quasi di traverso, con molta deflessione e dalla traiettoria delle traccianti mi sembra che i colpi vadano a segno. I Martin Bomber si sfilano velocemente ma i due gregari cominciano a lasciare una scia di fumo. All’improvviso il bombardiere di sinistra esplode, la fusoliera va in mille pezzi, le ali e una parte della coda sono ancora abbastanza integri e precipitano verso terra roteando. Tolgo motore per scendere e solo allora mi accorgo che avevo ancora la manetta nella “tacca” del “+ 100” che dovrebbe essere utilizzata in emergenza per un massimo di 45 secondi. Abbasso il muso e comincio a scendere verso il punto dove stanno cadendo i rottami dell’aereo abbattuto, non noto alcun paracadute. Poco dopo poso le ruote sulla pista del nostro campo e, insieme agli altri colleghi, rullo verso le baracche. Mentre spegniamo i motori, gli specialisti si avvicinano esultando, hanno seguito da terra il combattimento che si e’ svolto sulle loro teste, cosa che non capita spesso. Andiamo a stendere il rapporto, prima verbale e poi scritto, mi viene accreditato un abbattimento “collettivo” del Martin Bomber. Mi spiegano che i “Martin” sono molto veloci ma vulnerabili per i serbatoi di carburante all’interno delle ali. Due ore dopo sono di nuovo in volo, scortiamo una formazione di Ro 37, denominata “Linci”, in missione di appoggio a truppe nazionaliste a Seseña, a Sud di Madrid, vicino a Aranjuez. Rimaniamo in quota a 2.500 metri mentre i Ro 37 eseguono mitragliamenti e bombardamenti a bassa quota. Ricordando i consigli ricevuti mi guardo intorno continuamente, soprattutto alle spalle e nella direzione del sole da dove di solito arrivano gli attacchi dei caccia nemici, ma non vedo nessuno. Quando i bombardieri risalgono in quota li affianchiamo e mettiamo la prua verso casa. Intanto la tensione cala e l’euforia prevale, mi diverto ad effettuare alcune puntate sui lenti Ro 37 ed infine mi avvicino per scattare qualche fotografia. Dopo un’ora e mezza di volo ci separiamo dai Ro 37 che proseguono per la loro base e noi per Torrijos. Dopo l’atterraggio mi avvio con gli altri verso la baracca del Comando. Nobili mi fa cenno di avvicinarmi “Quando abbiamo iniziato le prime scorte, al termine della missione era divenuta consuetudine salutare i colleghi dei Ro 37 con delle puntate che li sfioravano” mi racconta “Un giorno, il Cap. Colacicchi che comandava le “Linci”, reagi’ cogliendo di sorpresa Francois. Manovrando con grande abilita’ riusci’ a portarsi in coda al C.R. 32 e gli sparo’ una raffica intimidatoria che lo sfioro’” e conclude con aria severa “Vediamo di evitare che la prossima volta torni a terra impallinato da un Ro 37”. Termina cosi’ il mio primo giorno di guerra in terra spagnola. Alla sera avevo ancora negli occhi l’immagine dell’esplosione del Martin Bomber i cui rottami scendevano lentamente verso terra.

Le crociere di vigilanza
La settimana seguente trascorre abbastanza tranquilla: solo delle noiose “crociere di vigilanza” sopra il campo. Salgo in quota, fino a 5000 metri, per familiarizzarmi meglio con il terreno ed i paesi circostanti: la quota e’ sempre “salutare” nel caso di un improvviso attacco dei Martin Bomber. Un mattino, all’alba, quando la coppia di C.R. 32 che doveva assicurare la copertura del campo, non era ancora decollata, compaiono sul cielo due pattuglie di velivoli nemici. Fagnani, con sagacia, non autorizza nessuno a decollare ed a fare fuoco da terra, i nemici se ne vanno via senza aver scorto i nostri aerei mimetizzati alla perfezione fra gli alberi. Effettuo alcune scorte agli Junkers 52 e S 81 che vanno a colpire obiettivi nelle vicinanze di Madrid ed ai Ro 37 che debbono sganciare i loro 150 Kg di bombe nelle trincee dei Repubblicani. I Ro 37 sono costretti a scendere a bassa quota e tornano spesso sforacchiati dalle armi della fanteria: sono molto lenti perche’, piu’ pesanti del C.R. 32 di circa 500 Kg, pur montando lo stesso motore. Il 19 (novembre) scortiamo alcuni Junkers 52 tedeschi in missione di bombardamento alla Estación del Norte, dall’altra parte di Madrid. Per la prima volta faccio conoscenza con una contraerea “pesante”; le nuvolette bianche e nere che improvvisamente appaiono in cielo con rapida cadenza, provengono da cannoni che sparano proiettili con spoletta tarata sulla quota alla quale ci troviamo. Per nostra fortuna il tiro non e’ molto preciso, lo diverra’ in seguito quando i Repubblicani riceveranno cannoni e inservienti russi. Rientriamo a Torrijos senza danni e, al pomeriggio, ci viene richiesta una seconda importante missione di scorta, alla quale pero’ non partecipo. Questa operazione, che qualcuno scherzosamente ha soprannominato la  “Giornata dell’Ala”, vede l’impiego di una sessantina di aeroplani fra Ju 52, S 81 e Ro 37, scortati dai nostri C.R. 32 e dagli Heinkel tedeschi. Mi spiegano che questo impiego “in massa” e’ stato ordinato dal Comando Supremo di Roma, preoccupato delle perdite subite nei primi mesi, quando si operava con pattuglie di soli due o tre aeroplani. Al rientro non manca nessuno. Eugenio Salvi mi racconta che su Madrid, mentre i bombardieri attaccavano gli obiettivi, e’ apparso un nutrito numero di “Curtiss” e “Boeing”, cosi’ erano chiamati i Polikarpov I-16, che si sono buttati sugli incursori. I nostri prontamente gli hanno tagliato la strada e ne e’ nato un furioso combattimento aereo. Salvi si e’ messo in coda ad un Rata che aveva sotto tiro un gregario di Salas ed e’ riuscito a buttarlo giu’, trovatosi a Nord di Madrid ed a bassa quota e’ rientrato isolato senza danni. L’indomani mattina, sono di nuovo in volo per una “crociera di vigilanza campo”. Dopo un’ora vengo rilevato da un collega e dopo l’atterraggio, vado a prendere un caffè per riscaldarmi dal freddo sofferto in quota. Nella baracca Comando vedo gli spagnoli tutti attorno a Morato e lui cupo in viso sembra molto scosso. Chiedo a uno specialista spagnolo cosa sia successo, con un italiano misto a spagnolo mi spiega “Poche ora fa hanno fucilato José Antonio Primo de Rivera e gettato il suo corpo in una fossa comune”. Mi rammarico per il fatto e per l’inasprimento del conflitto fra due fazioni spagnole. Scuote la testa “Hombre, esta lucha es a muerte!” e’ la sua risposta. Furiosi, gli spagnoli vogliono andare con una coppia di Ro 37 a bombardare la zona di Alcalá e pretendono la scorta. Andare a girare a bassa quota  propio tra Barajas e Alcalá, nidi della caccia nemica, per lanciare al massimo 300 kg di bombe non e’ proprio il caso. Fagnani propone di inviare gli Junkers 52 che, ma non sono disponibili e allora rifiuta la missione. Gli spagnoli se la prendono a male ma devono accontentarsi. Il 24 (novembre), mentre e’ ancora buio, ci svegliano all’improvviso e ci radunano: un’offensiva rossa è in atto sulle  rive del Tago, di fronte a Talavera. All’alba cominciano a piovere le bombe sull’abitato e sull’aeroporto. Il comando terrestre non può disporre l’invio di truppe e dalla città sollecitano disperatamente il nostro intervento. Con tutti gli aeroplani disponibili partiamo con le prime luci e quindici minuti dopo siamo su Talavera. Sulla sponda opposta della città notiamo uno schieramento di fanteria ben preparato, con trincee e postazioni di artiglieria che si estendono per circa un chilometro. Ci portiamo in fila indiana e picchiamo con un forte angolo sulle posizioni nemiche mentre da terra cominciano a salire le scie dei traccianti che ci sparano addosso. Continuiamo con le puntate fino a scaricare le armi e rientriamo a Torrijos per rifornirci di carburante e di proiettili per le nostre Safat. Le sortite si succedono per tutta la giornata e l’azione dei Repubblicani viene respinta con il solo intervento della Cucaracha. Nella settimana seguente le condizioni meteo ci impediscono di volare, prendiamo una sgangherata corriera, percorrendo la rotabile Ávila-Toledo, per visitare la vicina Toledo che dista 30 km. Ci accompagna un Ufficiale spagnolo che ci fa da guida. La cittá è antichissima e sembra risalga all’Età di bronzo, la sua struttura medievale è dominata da un enorme edificio a pianta rettangolare chiamato “el Alcázar”, che in arabo vuol dire “il castello”. L’accompagnatore ci racconta “Al momento della ribellione nazionalista l’Alcázar ospitava la Scuola di Cavalleria e Fanteria dell’Esercito, comandata dal Colonello José Moscardò che aderì subito al movimento di Franco. Il Governo Repubblicano reagi’ inviando 8.000 governativi appoggiati dall’artiglieria per espugnare la fortezza occupata dagli insorti. Moscardó, assieme a 800 uomini della Guardia Civil, 100 civili e circa 600 famigliari dei combattenti, resistette agli accaniti attacchi che ridussero l’Alcazar ad un enorme mucchio di macerie. I Repubblicani, catturato il figlio di Moscardó, lo fecero parlare con il padre e poi minacciarono di fucilarlo se non si fosse arreso. Il Colonnello come risposta disse al ragazzo: -“hijo, ¡prepárate a un buen morir!…” ed al militare reppubblicano: -“El Alcázar no se rinde!”.  Dopo 68 giorni, il 28 settembre scorso, la guarnigione fu liberata dai nazionalisti comandati dal Generale Varela. Quando entrò nella fortezza distrutta gli venne incontrò Moscardò che lo saluto’ militarmente pronunciando la frase divenuta famosa: -“El Alcázar sin novedad, mi General!”

Dicembre 1936
Il 1° dicembre, verso sera ci giunge la notizia della cattura di Chianese. Decollato dal campo di Gamonal di  Talavera de la Reina insieme a Baschirotto, nei pressi di San Bartolome’, a pochi chilometri dal campo, il suo aereo si e’ incendiato e lui si e’ lanciato. A terra c’erano solo tre o quattro miliziani che poco dopo l’hanno catturato. La decisione di Baschirotto di rientrare subito al campo per dare la notizia, invece di proteggere dall’alto Chianese, che avrebbe potuto raggiungere a piedi la base, ha comportato la sua cattura. La caccia nemica da diversi giorni si mostra poco aggressiva, effettua solo incursioni sporadiche e il Comando decide di prendere l’iniziativa scatenando, con venti Junkers 52, un attacco su Guadalajara, importante sede della Aviazione Republicana, a Nordest di Madrid e distante 120 Km da Torrijos. Partiamo domenica 6 dicembre alle due del pomeriggio con quattordici aeroplani, tutti quelli disponibili, scortando gli Junkers che volano a 5.000 metri. Facciamo quota e saliamo sopra di loro fino a 6.000 metri. I miei movimenti sono rallentati per la carenza di ossigeno e per la temperatura intorno ai 30 gradi sotto zero che gli indumenti di volo non sono in grado di mitigare. Sono con la pattuglia di Nobili che fa parte della prima Squadriglia, dietro di noi vola Salas ed i suoi. Le pattuglie sono di due velivoli e voliamo descrivendo delle “S” per non superare i lenti Junkers. Per non spostare continuamente la manetta ed evitare un inutile consumo di carburante, ad ogni virata i gregari cambiamo posizione portandosi all’interno della pattuglia e mentre viriamo ci guardiamo continuamente intorno, soprattutto alle spalle. L’attenzione ci aiuta a vincere il sopore dovuto all’anossia ed al freddo. Siamo su Getafe e qualche minuto dopo fra le nuvole intravediamo Madrid, sulla nostra sinistra, più indietro, si stagliano le montagne di Guadarrama. Qualche nemico si alza in volo da Barajas ma si mantiene distante, circuita sulla città senza molestarci. Non li perdo di vista perche’ temo che possano divenire una minaccia durante il volo di ritorno, quando saremo a corto di carburante. Attraverso uno squarcio nelle nubi vediamo il bersaglio, gli Junkers sganciano le bombe e iniziano una lenta virata a destra per portarsi sulla rotta di ritorno. Guardo alle mie spalle, vedo grosse colonne di fumo alzarsi sul campo nemico: cinquanta minuti dopo atterriamo a Torrijos senza aver incontrato nemici. Durante il resto della settimana l’unica attività sono le crociere di protezione sul campo. Il 13 dicembre, all’alba, ci spingiamo con Morato fino al fronte di Madrid e torniamo in missione di ricognizione sulle linee rosse fino a Talavera. Dopo un ora e mezza rientramo a Torrijos, troviamo tutto il campo in agitazione; Fagnani ha ordinato il trasferimento al vicino campo di Barcience e partiamo in giornata con un volo di breve durata. Sul nuovo campo c’e una fattoria abbandonata che ci serve da caserma, e’ in condizione decisamente migliori delle sgangherate baracche di Torrijos. A Nord, su una collina non molto lontana spiccano i ruderi di un castello medievale che e’ utile come riferimento durante i rientri dalle missioni, quando la foschia o le nubi basse riducono la visibilità. Il 22 dicembre Morato e alcuni degli spagnoli partono per Siviglia per appoggiare le forze nazionaliste assediate al Santuario della Virgen de la Cabeza, presso ad Andújar. Per rifornire gli assediati, che resisteranno da settembre fino a marzo, si impiegano Ro 37, Junkers 52 ed S 81.

1937
Gennaio trascorre gran parte con missioni di scorta agli Junkers e Ro 37 nei dintorni di Madrid senza che la caccia Repubblicana si faccia vedere. Il 20 gennaio scortiamo ben ventiquattro Junkers in missione di bombardamento su Valdemorillo e Collado. Alla fine di gennaio, durante una di queste missioni al Santuario della Virgen de la Cabeza, le condizioni meteorologiche sono pessime, sei C.R. 32 di scorta perdono il controllo ed atterrano fuori campo, dietro le linee rosse. Perdono la vita i Sergenti Trombotto e Grimoldi mentre vengono fatti prigionieri i Tenenti Cenni e Pesce ed i Sergenti Bandini e Bernocchi. Dall’Italia giungono i nuovi C.R. 32 “bis” dotati di altre due mitragliatrici da 7.7 mm nelle semiali inferiori. La scelta di aumentare la potenza di fuoco e’ deludente, il conseguente aumento di peso penalizza la manovrabilita’ ed il C.R. 32 risulta inferiore ai caccia avversari che ci superano di 400 H.P. in potenza e di circa 100 km/h in velocita’: quando finalmente si comprende l’errore, si smontano le mitragliatrici alari. Nel mese di febbraio l’Aviazione Repubblicana riceve nuovi piloti ed aerei dalla Russia e rafforza la sua presenza sui cieli della Spagna. Anche le Forze Nazionaliste ricevono rinforzi e vengono costituiti due nuovi reparti che si affiancano alla Cucaracha: il XXIII e il VI Gruppo. Vengo assegnato alla 19ª Squadriglia del XXIII Gruppo, comandato dal Maggiore Andrea Zotti. Il Gruppo prende il nome di “Asso di Bastoni”. Si dice che il nome si sia ispirato al ritornello dell’epoca della Marcia su Roma nel 1922: “Fascisti e comunisti / giocarono a scopone, / ma vinsero i fascisti / con l’asso di bastoni!”. Al Cap. Guido Nobili (Notabili) viene assegnato il comando della 18^ Squadriglia, al Cap. Maccagno (Pecori) il comando della 20^ ed al Cap. Enrico Degli Incerti (Tocci) il comando della nostra Squadriglia, la 19^. Ad integrare la nostra squadriglia giungono Salvatori (Salvo) e Castellani (Ribaldo), già miei compagni alla “Cucaracha”, Minuto (Proietti) e Giuseppe Ruzzin (Grassi). Il Serg. Ruzzin, e’ giunto in Spagna appena diciottenne con al suo attivo poco più di cento ore di volo e, vista la poca esperienza, Dequal lo ha trattenuto a Tablada (Siviglia), incaricandolo del collaudo dei velivoli giunti dall’Italia e appena assemblati ed anche di quelli revisionati o riparati. In occasione di uno di questi voli, Ruzzin avvista due “Katiushka” repubblicani diretti su Tablada, li attacca e li mette in fuga. Viene assegnato alla nostra Squadriglia a causa della impellente necessita’ di rinforzi e si dimostra fin da subito un ottimo elemento. I piloti più anziani gli cedono volentieri i noiosi turni di “crociera sul campo” che lui accetta, avido di farsi esperienza di volo. Il 9 febbraio e’ una giornata particolarmente impegnativa, con quattro sortite, in una ci spingiamo fino al fronte sulla linea Aranjuez – Madrid, mentre nell’ultima inseguiamo alcuni caccia avversari che evitano il combattimento. Il 13 febbraio decolliamo a mezzogiorno per scortare cinque Ju 52 e tre Ro. 37 in missione di bombardamento e spezzonamento sul fronte di Madrid, a una trentina di chilometri dietro le linee, nei pressi di Morata di Tajuña e Arganda del Rey. Rimaniamo ad orbitare in quota a 2.000 metri mentre i bombardieri sono impegnati con i loro attacchi al suolo. Terminata la missione li vediamo salire in quota e mettersi sulla rotta di rientro, li seguiamo mantenendoci a circa cinquecento metri sopra di loro, in pattuglia stretta. Mentre Madrid scorre lontano sulla mia destra, l’ultimo gregario ci passa avanti e si porta accanto al Capopattuglia scrollando le ali e indicando con il braccio verso Nord. Senza esitare Tocci si butta con una ripida picchiata in quella direzione, seguito da tutti noi. Scorgiamo i caccia nemici del nuovo tipo “Rata” leggermente più bassi, superiori in numero che ci vengono incontro, sicuramente decollati da Barajas. Fortunatamente, provenendo dal basso, non possono sfruttare la loro maggiore velocità e un attimo dopo inizia la “giostra”. Inizialmente mantengo la mia posizione in pattuglia ma subito dopo mi passa avanti un C.R. 32 con due “Rata” in coda. Mi sfilo buttandomi in candela ed inizio a sparare sul Rata piu’ arretrato, il gregario. Si accorge delle mie traccianti e scarta bruscamente, non ho tempo di seguirlo perchè vedo venirmi addosso uno di quei tozzi musi con le mitragliatrici contornate dalle fiamme. Ci incrociamo sparando a vicenda, sento un piccolo colpo ed eseguo un “Immelman” per guadagnare quota. Sotto di me vedo il Rata lontano che lascia una scia grigiastra e punta verso Madrid. Mi ributto nella mischia mentre sulla mia destra vedo un C.R. 32 in vite. Faccio partire una raffica contro un terzo “Rata” isolato ma siamo in volo orizzontale e quello, più veloce di me, si sfila velocemente. Cosi’, come e’ iniziato, tutto improvvisamente finisce, la trentina di aeroplani repubblicani si dileguano rapidamente. Mi guardo intorno, in basso vedo tre puntini veloci, sono nemici che si allontanano verso Madrid, a destra scorgo due compagni, leggermente sopra di me, li raggiungo e mi metto in pattuglia con loro, dirigendo su Barcience. Dopo l’atterraggio salto fuori del abitacolo ancora eccitato dal combattimento e corro verso gli altri compagni che hanno appena spento i motori. Faccio un paio di passi e poi mi fermo, accendo una sigaretta per calmarmi e darmi un contegno. E’ prassi che prima di stendere il rapporto bisogna attendere il rientro di tutti i colleghi e cosi’, mentre attendo, uno specialista mi chiama vicino al mio aereo e mi fa notare una strisciata su uno dei montanti di sinistra: era il colpo che ho sentito, un proiettile del Rata che mi ha sfiorato. Quando, a partire dall’ora del nostro decollo, e’ trascorso un tempo pari all’autonomia di volo, ci contiamo: mancano Fagnani, Lodi e Ruzzin. Mangio velocemente un boccone e torno in volo per una crociera di vigilanza sul campo. Il sole comincia a calare e atterro dopo trentacinque minuti di volo, con il campo illuminato dalla tenua luce del tramonto. Mentre scendo dall’aereo, chiedo allo specialista se ci sono novita’ “Il Capitano Lodi è stato abbattuto. Fagnani e Ruzzin hanno raggiunto l’aeroporto di Getafe con gli aeroplani colpiti, e sono salvi” mi risponde. Domenica 14 febbraio decollo a mezzogiorno per un’altra crociera di vigilanza sul campo. Dopo un’ora e mezza, un improvviso bisogno “fisiologico”, mi obbliga tornare a terra per un paio di minuti … lascio il motore in moto e, dopo essermi riassestato, riparto fra gli sfottò dei miei compagni. Sono di nuovo in quota, dopo venti minuti vedo dirigere sul nostro campo una decina di C.R. 32, si allineano e atterrano uno dopo l’altro. Arriva la fine del mio turno di vigilanza e rientro al campo. Vicino agli aerei,  un gruppetto di piloti, disposto a cerchio, sta discutendo, sono Nobili e i suoi, tornati da Siviglia dove erano andati a sostenere le azioni su Malaga, riconquistata il 9 febbraio. Mi avvicino per ascoltare, raccontano di non avere trovato una grande reazione da parte repubblicana. Il grosso della Caccia nemica è concentrata su Madrid; da quasi una settimana le truppe sono impegnate nella “Battaglia di Jarama”, dove i Nazionalisti tentano di tagliare ai Repubblicani la rotabile per Valencia, essenziale via di rifornimento per Madrid, quest’ultima assediata dai nostri. Appena i nostri C.R. 32 sono riforniti ed armati, si riparte per scortare alcuni Junkers spagnoli in una missione di bombardamento su Arganda, cui partecipano, grazie all’insistenza di Fagnani, anche gli Heinkel 51 tedeschi. Giunti sull’obbiettivo ci accoglie una forte reazione con l’impiego di numerosi caccia repubblicani. Ci stringiamo intorno ai lenti Junkers formando una barriera di protezione. Gli Heinkel, pur consapevoli della nostra inferiorità, si sfilano e rientrano verso le nostre linee, lasciandoci soli a disimpegnarci dalla Caccia nemica. I bombardieri, dimostrando un gran sangue freddo, eseguono tre sorvoli del bersaglio prima di sganciare il loro carico di bombe. Mentre effettuano dei larghi giri sull’obiettivo, noi dobbiamo dividerci per non dare le spalle al nemico, i Curtiss ed i Rata ci gironzolano intorno effettuano qualche puntata ma, inspiegabilmente e fortunatamente per noi, non si impegnano. Il giorno seguente, il 15 febbraio, mi viene assegnato il primo turno di crociera sul campo, poi sono di allarme ed infine di riserva, praticamente tutto il giorno in servizio. Tutti noi abbiamo notato che da un po’ di tempo, quando arriviamo in prossimita’ del fronte, ci sono i Repubblicani ad attenderci. Il Maggiore sospetta che ci siano osservatori nemici che segnalano quando ci congiungiamo con i bombardieri, sopra il campo. Viene cosi’ scelto Casarrubios del Monte, a circa 30 km a Nordovest, come punto meno palese dove congiungersi con gli S 81.

Il mio primo abbattimentoMartedí 16 febbraio partiamo alle 09.15 e, raggiunti i bombardieri, arriviamo su Morata de Tajuña, cogliendo di sorpresa la Caccia nemica. Al pomeriggio decolliamo alle 15.00 per la solita scorta a undici Ju 52 e tre Ro 37, in missione di bombardamento su Arganda del Rey, dove il cielo si è nel frattempo coperto di nuvole. I bombardieri, temendo di perdere l’appuntamento, hanno deviato sulla verticale del nostro campo, mettendo cosi’ a rischio la sorpresa sul nemico. Tutti insieme dirigiamo su Arganda del Rey, lasciando Madrid lontano alla nostra destra. I bombardieri volano a una quota di circa duemila metri mentre noi manteniamo 2.500 metri, sfiorando le nuvole sopra di noi. Quando arriviamo sull’obiettivo, troviamo i caccia “rossi” ad aspettarci. Sono circa una trentina di Rata che sbucano dalle nubi per puntare sui bombardieri. Con le nuvole così vicine, almeno i caccia nemici non potranno sfruttare la loro maggiore velocità e dovranno impegnarsi in combattimento manovrato. Nobili e la sua squadriglia sono i primi a intercettarli e subito dopo arriviamo anche noi. Distinguo tre Curtiss che si sfilano dal resto per attaccare tre Junkers che volano più a Nord, propio sotto di noi. Avverto il Capopattuglia con una breve raffica e lo vedo rovesciarsi picchiando contro di loro. La pattuglia nemica vedendoci arrivare vira in cabrata a sinistra. Rimango al mio posto vicino a Tocci che mitraglia il gregario più vicino. Questo comincia a fumare ed entra in vite, sempre con Tocci incollato alla sua coda. Ho un attimo di esitazione, lascio Tocci ed inseguo gli altri due Curtiss. La coppia vira leggermente a sinistra, come se fossero indecisi a buttarsi giù per proteggere il compagno. Intanto mi sono avvicinato al gregario ed inizio a mitragliare la sua tozza sagoma verde sulla quale spicca una grande fascia rossa. Vedo i colpi andare a segno fra il pilota e il motore, il caccia si rovescia ed entra in una ripida affondata. Mi trovo ora in coda al Capopattuglia, ho appena un attimo per sparare prima che anche lui si butti giù in candela, ma quando premo il pulsante sulla cloche, entrambe le armi si inceppano. Imprecando sblocco e riarmo le mitragliatrici ma oramai i Curtiss si sono allontannati. Istintivamente giro la testa a destra e vedo passare accanto i fumi bianchi delle traccianti: ho un Rata in coda! Istintivamente tiro violentemente la cloche e mi infilo sulle nuvole sopra di me, mantengo la pressione sulla cloche ed il C.R. 32 descrive un looping. Uscendo dalle nuvole con la testa in giú, livello con un mezzo tonneau e vedo venir su un Rata che, svincolantosi da un inseguitore, cerca la salvezza nella stessa nuvola. Si presenta di pianta e faccio in tempo a far partire una lunga raffica che centra in pieno il motore e l’abitacolo. Si rovescia, vedo venir fuori una gamba del carrello e poi si mette in verticale roteando su se stesso. Vinco la tentazione d’inseguirlo e mi mantengo in quota, accanto alle nubi. Mentre continuo a guardarmi intorno, abbasso il capo verso il basso e faccio in tempo a scorgere un’ala che si stacca dal velivolo poco prima che questo raggiunga il suolo. Non c’e’ traccia di un paracadute. Come e’ capitato già’ l’altra volta, il cielo si svuota improvvisamente: sono solo! Do un’occhiata all’indicatore del carburante e riduco i giri del motore. Volando accanto alle nubi per proteggermi, seguo una rotta di 240º sulla bussola. Vedo Getafe sulla destra e più tardi Toledo, lontano sulla mia sinistra. Quando sono sul fiume Guadarrama, distinguo in lontanaza la sagoma del castello di Barcience. Atterro e rullo verso la linea di volo dove gli specialisti portano l’aeroplano al riparo fra gli alberi e lo riforniscono. Tutti i velivoli sono rientrati e mi avvio insieme ai colleghi verso la baracca adibita a Comando. Quando termino di stendere il rapporto, debitamente firmato, mi viene attribuito l’abbattimento “individuale” del Rata. Vado a cercare un posto tranquillo dove poter stare da solo; ho ancora davanti gli occhi l’immagine del caccia, fermo in aria per una frazione di secondo, prima di precipitare in picchiata. Mi viene in mente la tradizione dei piloti della Grande Guerra che segnavano sulla deriva degli aerei i loro abbattimenti, dico invece agli specialisti di dipingere sul muso del mio C.R. 32 il nome di mio figlio: “Furio”. Il giorno dopo, il 17 febbraio, compio un sola sortita, decollo al mattino per scortare due Ro 37 in missione di bombardamento sulle truppe di rinforzo Repubblicane, fra i fiumi Jarama e Manzanares. Vediamo la caccia nemica tenersi lontano senza impegnarsi e, finita l’incursione dei Ro 37, torniamo al campo senza essere disturbati. Al pomeriggio arrivano Morato e i suoi, rientrano da Córdoba dove sono andati ad appoggiare le azioni di bombardamento su Andújar e il rifornimento aereo agli assediati del Santuario de la Virgen de la Cabeza. Subito dopo il loro atterraggio comincia a piovere.

Il secondo abbattimento
Il 18 febbraio mattino piove ancora, verso le nove qualche timido raggio di sole comincia a spuntare tra le nuvole. Squilla il telefono del Comando e vediamo un portaordini correre dal Maggiore. Fagnani è malato, ha la febbre, chiama i Capi Squadriglia e da’ istruzioni per la missione. Mentre gli specialisti mettono in moto e scaldano i motori,  Nobili, Fiacchino e Degli Incerti ci riuniscono per gli ultimi dettagli. Partiremo in sedici per scortare tre Junkers 52 con equipaggio spagnolo, che devono bombardare le posizioni repubblicane sul fronte del Jarama, vicino a Arganda del Rey. Ci vengono ricordate le direttive emanate dal Comando di Roma “Non dovete impegnarvi in condizioni di inferiorita’ numerica e non dovete spingervi oltre le linee nemiche”. Come al solito partiremo in pattuglie di tre; siamo preoccupati per le condizioni del campo che non ha smaltito completamente la pioggia ed e’ infangato: frenera’ la corsa di decollo ed anche l’atterraggio sara’ critico! Prima di mettere in moto, ci salutiamo con il braccio alzato. Decolliamo alle 10.20, la mia Squadriglia e’ l’ultima ed il mio C.R. 32, costretto a correre tra i solchi lasciati dai compagni, fatica a staccarsi dal suolo. Appena in volo incontriamo una fastidiosa turbolenza che si somma a quella causata  dai velivoli che mi precedono. Le ali oscillano, correggo con cloche e pedaliera e mi “allargo” per non investire i colleghi; quando la turbolenza cessa, mi rimetto in formazione. Facciamo quota e ci affianchiamo ai i bombardieri che sono a 2.500 metri, saliamo sopra di loro, a 3.000 metri. Quando siamo a Sud di Madrid, vedo sulla mia destra tre C.R. 32 che si mantengono distanti dalla formazione: sono i piloti spagnoli García Morato, Bermúdez  e Salvador che devono esser decollati dopo di noi. Sull’obiettivo gli Junkers fanno i soliti tre giri prima di sganciare le bombe ma poco dopo vediamo accorrere i caccia repubblicani, alzatisi in volo da Madrid e Guadalajara. Conto una quarantina fra Curtiss e Boeing, non intervengono, si mantengono distanti e sembra vogliano sfidarci. I bombardieri, sganciate le bombe, virano per tornare indietro mentre noi li affianchiamo. Voliamo guardando indietro per non perdere di vista il nugolo di caccia nemici che ci inseguono a distanza. Attraversate le nostre linee, la pattuglia di Morato effettua un improvviso rovesciamento, lanciandosi contro gli aeroplani nemici. L’ultima pattuglia si stacca e va in aiuto degli spagnoli, non possiamo lasciarli a cavarsela da soli e ci uniamo cacciandoci a tutta manetta nella mischia. Non c’è modo di mantenere la formazione, sono piu’ numerosi, due o tre di loro per ognuno di noi. Le pattuglie si smembrano ed il combattimento diventa individuale. Sfruttando la velocità che ho preso durante la picchiata, mi butto su due Curtiss che sono in coda a un C.R. 32. Arrivando dall’alto faccio partire una raffica verso quello piu’ vicino. Vedo scoppiare il suo parabrezza e stracciarsi la tela dell’ala superiore: sparisce subito sotto di me. Raggiungo il Capopattuglia, faccio partire un’altra raffica ma sono troppo veloce e gli passo sopra. Lui se ne accorge ed abbandona l’inseguimento del C.R. 32, effettua un mezzo tonneau e si butta in candela. Riprendo quota, il velivolo che ho colpito si allontana fumando verso le nostre linee, lo seguo con lo sguardo fino all’impatto con il terreno. Sotto di me un C.R. 32 insegue un Boeing senza accorgersi che altri due gli sono in coda. Gli taglio la rotta piombando sulla sezione quasi di traverso, mentre mi passano davanti lascio partire una raffica. Non sono sicuro di averli colpiti ma scartano liberando la coda del C.R. 32. Giro la testa di lato e quando guardo avanti, vedo una massa enorme sfiorami e’ un Boeing in fiamme che precipita. Il sangue mi si gela nelle vene, istintivamente anche se oramai la collisione e’stata evitata, ho portato la cloche a fondo corsa da un lato. Son bastati pochi secondi di distrazione per riprendermi dallo spavento che sento un colpo in coda mentre un Boeing mi passa sopra virando stretto a destra. Tento di inseguirlo ma è molto più veloce di me, si rovescia allontanandosi in picchiata. Da terra si scorgono colonne di fumo ed in cielo vedo un paracadute scendere lentamente. I rossi si riuniscono e si allontanano verso il Nord. Anche noi ci stringiamo attorno ai capi pattuglia che battono le ali per chiamarci. Degli Incerti agita la mano con le dita unite per chiedere com’è andata. Alzo l’indice e vedo Ruzzin, alla mia destra, che sorride dietro i baffetti, alza anche lui il dito, confermando un abbattimento. Degli Incerti si congratula formando un cerchio con l’indice ed il pollice. Solo ora mi accorgo che sono inzzuppato di sudore ed ho la bocca secca. Con la furia del combattimento ci siamo spostati sulla cittadina di Villaconejos ed ora dirigiamo verso il campo, passando a Nord di Aranjuez. Dopo l’atterraggio ci viene incontro Fagnani, e’ preoccupato perchè Radio Madrid ha trasmesso che nel combattimento erano stati abbattuti sedici FIAT! Man mano che i C.R. 32 spengono i motori, i piloti scendono e formano gruppetti che si scambiano le prime impressioni. Intanto atterrano gli ultimi aerei, manca il S.Ten. Ascarini, deve esser stato suo il velivolo che si allontanava fumando dopo l’attacco dai due Curtiss che gli ho tolto d’addosso. Vedo Morato abbracciarsi con i nostri piloti, ringraziandoli di averlo salvato. Mi avvicino al suo aeroplano che sembra un colabrodo, il mio invece è quasi intatto. Un aviere mi mostra il cavo d’acciaio del piano di coda destro tranciato da una pallottola. Era il colpo che avevo udito quando mi ha sorpreso il Boeing. In pochi minuti il tirante viene sostituito e il mio “230” è nuovamente operativo. Dopo il rapporto risultano abbattuti otto velivoli nemici, mi viene attribuito un Curtiss. Arriva la telefonata di Ascarini, è stato ferito leggermente a una mano, con il motore in avaria ha dovuto atterrare fuori campo ma nelle nostre linee. Al pomeriggio, con gli aerei ancora efficienti torniamo su Arganda, scortando una squadriglia di Junkers 52 che ripetono la missione del mattino. Appena i bombardieri sganciano il loro carico, appaiono circa una ventina di Boeing decollati da Alcalá de Henares che si separano in due gruppi; il primo accenna ad attaccare gli Junkers mentre il secondo si mantiene in quota. Anche la nostra formazione si divide: la pattuglia in testa si porta in difesa degli Junkers, mentre noi, più arretrati, affrontiamo i Rata restanti. Descriviamo un giro in modo di metterci a mezza strada fra i due gruppi, facendo quota senza perdere di vista il nemico. A un tratto i Rata realizzano che in questo modo resteranno isolati e decidono di venirci adosso. Ognuno di noi sceglie il suo bersaglio e pochi secondi dopo ci troviamo muso contro muso. Si dice che le Safat del C.R. 32 abbiano una gittata maggiore delle armi dei Rata e comincio a sparare da lontano, prima di lui. Vedo i colpi andare a segno e il Boeing che senza sparare fa un mezzo tonneau e si butta giù in candela. Picchio anch’io ma lo vedo puntare verso Nord, rifiutando il combattimento. Lo scontro di questa mattina deve aver fatto effetto sul morale del nemico. Dell’altro gruppo, due Boeing sono in fiamme e stanno precipitando, gli altri si allontanano e noi raggiungiamo gli Junkers. Il 19 febbraio riprende a piovere, verso mezzogiorno le nuvole si aprono e decolliamo alle due per una missione di scorta ai soliti Junkers 52 su Morata de Tajuña. Oggi la caccia nemica non si presenta e i bombardieri non vengono disturbati. Dopo l’atterraggio vedo in fondo al campo un Douglas DC 2 da trasporto e un gruppo di Ufficiali Superiori. Riconosco da lontano il Generale Kindelán, capo dell’Aviazione Nazionalista e quando mi avvicino realizzo che al centro del gruppo e dell’attenzione c’e’ il Generale Franco. Al suo fianco il Generale Varela, il liberatore del Alcázar di Toledo, e altri Ufficiali comandanti delle operazioni del Jarama alle quali stiamo partecipando. Tutti noi ci aspettiamo qualche parola di riconoscimento dopo i successi riportati durante i combattimenti di ieri, invece Franco si ferma appena il tempo sufficiente per il rifornimento del DC 2 e riparte per Salamanca, senza nemmeno degnarci uno sguardo. In pattuglia di sei partiamo in loro scorta fino a Escalona, sul fiume Alberche, vediamo il Douglas allontanarsi sui monti Gredos e torniamo indietro, atterrando a Barcience con le ultime luci.

Il terzo abbattimento
Sabato 20 febbraio, partiamo al pomeriggio in dodici per scortare una pattuglia di Junkers, richiesti con urgenza per bloccare un’offensiva dei Repubblicani sul monte Pingarrón, vicino a Morata de Tajuña. Al traverso di Seseña i bombardieri si abbassano per assicurarsi di centrare le linee nemiche che si confondono con quelle nazionaliste, le truppe sono impegnate in combattimenti ravvicinati. Volando a bassa quota sulle linee nemiche siamo piu’ vulnerabili e rischiamo di essere centrati dalla contraerea e, nel caso di uno scontro aereo, non abbiamo il vantaggio della quota. Come temevamo, quando raggiungiamo le trincee, arrivano dall’alto una ventina di Boeing che puntano sui bombardieri. Li affrontiamo tagliando loro la strada per proteggere gli Junkers. I caccia nemici cambiano rotta e si buttano contro di noi. Sono più veloci e manovrabili, dobbiamo stare attenti a non farci beccare. Mentre la distanza tra noi diminuisce, manteniamo la formazione stretta con gli occhi fissi al Capopattuglia che porta il braccio in alto per segnalarci di rimanere uniti. I Boeing sono adesso a circa quattrocento metri. Tocci abbassa il braccio e, divisi in pattuglie di tre, ci apriamo a ventaglio, picchiando sotto la loro traiettoria. Sorpresi, i Rata cabrano decisamente per sganciarsi. Guadagnamo velocità e viriamo verso di loro che stanno tornando giù. Ora sono costretti a separarsi e ci incrociamo di muso sparandoci a vicenda. I caccia nemici un’altra volta non sanno approfittare del vantaggio della velocità e si impegnano in combattimento stretto. Mi trovo con due di loro in coda, viro stretto a sinistra cercando di guadagnare quota. Sono incollati dietro di me, sfrutto le doti del C.R. 32 stringendo al massimo la virata, vedo i loro nasi che puntano la mia coda. Sempre con la testa girata verso di loro, tiro progressivamente la cloche guadagnando qualche metro, il gregario non regge e parte in vite. La virata diventa sempre più stretta e lentamente avanzo, adesso siamo ai lati opposti del cerchio che descriviamo nel cielo, vedo chiaramente il pilota che indossa una tuta di cuoio che mi guarda, ha una fascia rossa in fusoliera e stranamente vola con il tettuccio scorrevole aperto. Riesco perfino a notare che  abbassa in continuazione il capo, evidentemente guarda l’anemometro, preoccupato della velocità. Inserisco la potenza d’emergenza, il + 100 e, continuando a girare, guadagno ancora qualche metro. A un tratto il Boeing stalla e cade in una strana vite con il naso all’insu’, una “vite piatta” dalla quale di solito e’ difficile uscirne. Mi rovescio e da una cinquantina di metri faccio partire una raffica che lo prende in pieno nel motore e nel serbatoio, vedo staccarsi pezzi di vetro del tettuccio e l’aereo si incendia. Dopo alcuni secondi il pilota esce dall’abitacolo e sparisce nel vuoto. Mi guardo intorno per non farmi sorprendere e verso il basso dove vedo aprirsi il paracadute. Mi invade una strana sensazione dovuta allo stress di quei secondi in cui la mia vita era in gioco, ho voglia di gridare per la gioia d’esser vivo. Provo anche sollievo nel sapere che il pilota del Boeing si sia lanciato. Mi guardo intorno, il cielo e’ vuoto, i bombardieri hanno preso la via del ritorno. Punto verso Sudovest finche’ vedo Toledo alla mia sinistra, mi oriento e rientro in campo. Dopo l’atterraggio guardo l’orologio: ottanta minuti di volo. Il giorno dopo, il 21 febbraio, parto con le prime luci per una crociera di vigilanza sul campo. Dopo un’ora e mezza vedo sparare un razzo bianco ed uno rosso per richiamarmi all’atterraggio. Scendo, l’aereo e’ preso in cura dagli specialisti che lo portano sotto gli alberi per rifornirlo, bisogna partire subito per una missione di sbarramento sul fronte Toledo-Aranjuez. Decolliamo verso le dieci per appoggiare le truppe nazionaliste che sono impegnate a contenere un colpo di mano dei Repubblicani. Adottiamo la solita formazione a “fila indiana” e ci buttiamo a mitragliare la fanteria che e’ costretta a ritirarsi. Alle 12.20, dopo due ore di volo, atterriamo senza aver subito perdite. Al pomeriggio prendo parte ad un’altra crociera di vigilanza sul campo che dura due ore. Il resto del mese trascorre in una relativa tranquillità. L’offensiva sul fronte di Madrid si è arrestata, le forze in campo sono in equilibrio ed esaurite. Si parla di 16.000 tra morti e feriti! Ci giunge la sgradevole notizia che Fagnani è stato richiamato a Roma e sarà sostituito. Da tempo il Maggiore e’ in contrasto con il Comando spagnolo che pretendeva di impiegare i velivoli ed i piloti italiani in missioni rischiose il cui risultato non era “pagante”. Non si poteva piu’ soddisfare la richiesta di utilizzare piccole pattuglie in appoggio alle truppe, vista la  crescente superiorita’ aerea dei Repubblicani! Veniamo a sapere inoltre che il 18 febbraio Morato, quando ci aveva indotto al combattimento in condizioni decisamente sfavorevoli, non lo aveva fatto di sua iniziativa ma gli era stato precedentemente richiesto dallo stesso Kindelán per “costringere gli italiani a combattere guidati dall’esempio degli spagnoli”. Uno specialista mi confida che “… appena arrivato da Talavera, nel viaggio di ritorno da Córdoba, Morato è stato richiamato a Salamanca cha ha raggiunto con un Dragon “Rapide” inviato dal generale Kindelán”.  Con i compagni di Squadriglia vado a salutare Fagnani che si e’ dimostrato un valido Comandante e brillante tattico. Si e’ guadagnato il nostro rispetto e prima di separarci gli facciamo firmare i nostri libretti di volo.

La battaglia di Guadalajara ed il campo di Soria
Le operazioni nella valle del Jarama si vanno esaurendo e lo Stato Maggiore nazionalista decide di iniziare le offensive su Guadalajara, a circa 80 km a Nordest di Madrid. L’Asso di Bastoni ha l’incarico di garantire l’appoggio aereo e pertanto dobbiamo spostarci più a Nord, sul campo di Soria, fra i monti della Sierra de Cabrejas, sulla riva del fiume Duero. Il 7 di marzo, al mattino, siamo pronti per il trasferimento, la distanza da percorrere e’ di circa 300 km, inizialmente punteremo a Nord, verso Escorial, per evitare di sorvolare Madrid e le basi nemiche di Barajas e Algete, puntando poi a Nordovest, su Soria. Al mattino le condizioni meteorologiche non sono buone, nubi basse e scarsa visibilità. Al pomeriggio le condizioni sembrano migliorare. Alle 15 decolla la prima squadriglia, seguita dopo qualche minuto, dalla seconda e dalla nostra. Pochi minuti dopo il decollo le nuvole si fanno più spesse ed incontriamo una fitta pioggia che nasconde l’orizzonte proprio sulla catena della Sierra de Guadarrama che non riusciamo cosi’ ad oltrepassare. Sempre in pattuglia stretta viriamo di 180 gradi tornando a Barcience, dove atterriamo poco prima che la pioggia si scateni con furia, bloccandoci a terra. Qualche ora dopo veniamo a sapere che le altre due squadriglie sono giunte a Soria al limite del carburante. Le pessime condizioni atmosferiche continuano per diversi giorni impedendoci di decollare. Intanto ci giunge la notizia che, senza badare alle avverse condizioni meteorologiche, l’offensiva su Guadalajara è già cominciata. Le Forze di terra nazionaliste hanno urgente bisogno del nostro appoggio ma siamo inchiodati a terra. Finalmente, dopo una settimana, cessa la pioggia e le nuvole si alzano quel tanto da consentire il trasferimento. Prima della partenza Tocci ci riunisce per illustrare i particolari della navigazione, la posizione della linea del fronte, delle nostre basi e di quelle nemiche, informazioni utili soprattutto nel caso di un atterraggio d’emergenza o di un lancio col paracadute. Aggiunge infine “Il campo di Soria al momento e’ ancora parzialmente allagato pertanto fate attenzione a non cappottare. Non possiamo permetterci di perdere nemmeno un velivolo”. Si parte intorno alle dieci, assieme a una pattuglia di Ro 37. Superiamo a malapena la Sierra di Guadarrama abbassandoci tra le valli, schiacciati tra il terreno e le nubi che ci circondano. Dopo novanta minuti di volo, finalmente arriviamo a Soria. Circuitiamo sul campo che e’ stracolmo di aeroplani, oltre ai caccia ci sono anche gli S 81 e gli S 79 giunti dalle Baleari. Osservo la direzione dei fumi che si alzano da terra per capire da dove spira il vento. Il campo è allagato, si vedono molte chiazze lucide che rivelano la presenza di pozzanghere. Ci allarghiamo e ci disponiamo in fila indiana, Tocci va avanti  per primo, vedo il suo aeroplano toccare vicino al limite del campo, solleva una nube d’acqua e subito dopo … cappotta! Fortunatamente esce indenne dal velivolo con le ruote in aria. Facciamo un’altro giro e, non senza una certa preoccupazione, ci accingiamo a portarci all’atterraggio. Scelgo un punto del terreno che mi sembra più solido e plano alla velocita’ minima finche’ sento le ruote scivolare sul terreno. Come l’aereo si appoggia, sprofonda e si arresta bruscamente, sento che vuole alzare la coda e, con la cloche “alla pancia”, smanetto per mantenere efficiente il timone con il flusso dell’elica. Quando l’aereo si ferma, ha le ruote per un terzo sprofondate nel fango e devo dare quasi tutto motore per rullare verso la linea di volo. Il campo è affollato all’inverosimile di aeroplani, mi viene da pensare che un’improvvisa incursione del nemico potrebbe mettere in ginocchio l’intera Aviazione Legionaria. Ci uniamo ai colleghi delle altre due squadriglie, proviamo un senso di frustrazione per essere costretti a terra a causa del brutto tempo, mentre le nostre truppe sono massacrate dalla Aviazione Repubblicana che opera senza difficolta’ dai vicini campi di Alcalá de Henares e Barajas. Sono tutti insoddisfatti del sostituto di Fagnani che si fa vedere raramente, dovrebbe darsi da fare per trovare un campo piu’ adeguato di questo ed invece e’ “lontano” dai piloti. Non comprendiamo come si sia decisa un’offensiva in queste condizioni meteorologiche che impediscono l’indispensabile appoggio aereo alle nostre truppe. Viene in visita il gerarca Farinacci, ci raduna per salutarci e, dandosi un sacco di  arie, in pochi minuti ci spiega come farebbe lui per vincere  la battaglia nella quale, da una settimana, sei generali e migliaia di uomini, in piu’ sotto la pioggia e il fuoco dell’artiglieria, non riescono a districarsi. Osservo il contrasto tra i suoi stivali lucidi e le nostre tute infangate e penso che l’unica arma che questo personaggio abbia usato sia stato l’olio di ricino! Conclude dicendo che e’ in missione segreta, inviato dal Capo di Stato, per proporre a Franco che il trono del Regno di Spagna venga assegnato, a guerra finita, al Duca d’Aosta …! Ci lascia infine di tutta fretta per partecipare ad una cena in suo onore, accompagnato dal nostro Comandante che non lo abbandona un istante. Noi invece andiamo a cenare in una piccola osteria dove commentiamo il discorso del gerarca inviato da Roma e lo “proponiamo” per una Medaglia di Bronzo con la citazione “di quel metallo ne ha la faccia …”. La cena si conclude con abbondanti libagioni del brandy locale, il “Fundador”. Ci avviamo, allegri e vocianti, al nostro nuovo alloggio, un vecchio convento dove fa un freddo cane che ci costringe a dormire con indosso la tuta di volo, oltre ad un mucchio di coperte. Il giorno dopo, il 16 marzo, con le prime luci la pioggia cessa e riusciamo a partire scortando gli S. 81 in missione di appoggio alle truppe nazionali operanti sulla linea Trijueque Brihuega. Ci manteniamo vicini ai bombardieri, la visibilità è scarsa e le nuvole, basse sui monti, ci obbligano spesso a cambiare rotta e scendere in strette vallate che sbucano sul fiume Tajuña che seguiamo fino a Brihuega. In prossimita’ del fronte i bombardieri sganciano sul bosco intorno al Palacio Ibarra. Dappertutto vedo mezzi meccanizzati distrutti, incendiati e bloccati dal fango. Il pomeriggio partiamo per una seconda missione per respingere le fanterie repubblicane al di là di Trijueque e Torija. L’Aviazione Repubblicana non si fa vedere, preferiscono impegnarsi contro le truppe piuttosto che affrontare la nostra caccia. Al ritorno, quando mancano una quindicina di minuti per arrivare a Soria, siamo colti da una tempesta di neve che ci obbliga a deviare sulla nostra destra. Usciamo dalle nuvole sopra una pianura sconosciuta, la visibilità è pessima e si avvicina il tramonto. Senza alcun  riferimento, viriamo verso Nord, cercando di trovare una rotta che ci porti a Soria. L’indicatore del carburante e’ vicino allo zero, mi guardo intorno cercando qualche campo di fortuna nel caso il motore piantasse. Scorgo alla nostra sinistra un fiume che dalla direzione sembra essere il Duero, lo seguiamo e poco dopo atterriamo a Soria. Dopo l’atterraggio riprende a cadere una fitta pioggia che non cessera’ per due giorni. All’arrivo ci viene comunicato l’imminente trasferimento in un campo dall’altra parte delle montagne. La decisione e’ stata presa per agevolare le missioni che da Soria, lontana 130 km dal fronte, risultano impraticabili, lasciando all’Aviazione Repubblicana il dominio dei cieli di Madrid che con tanti sacrifici avevamo conquistato. Partiamo l’indomani, per Burgo de Osma, lontano 50 km. Arriviamo sotto una forte pioggia che s’infiltra da tutte le parti e sembra penetrare fino alle ossa. La Comandancia degli spagnoli provvede ai nostri alloggi e ci viene assegnata un’ala del Hospital de San Agustín, nel centro della citta’. Le condizioni atmosferiche rimangono invariate fino al 19 marzo quando, verso mezzogiorno, decolliamo per tornare sul Palacio Ibarra nel bosco di Brihuega da dove le nostre truppe hanno iniziato a ritirarsi. Le nuvole sono basse ma proseguiamo lo stesso, lasciando alla nostra destra una bufera di neve. Non riusciamo a raggiungere la “strada di Francia” perche’ le condizioni peggiorano, rientriamo a Burgo de Osma pochi minuti prima che inizi a nevicare anche qui: altri tre giorni inchiodati a terra! Solo il 23 e il 25 marzo riusciamo a partire scortando dei Ro 37 che si impegnano su Almadrones nei pressi della strada di Francia, per proteggere le nostre truppe che si ritirano per consolidare le precedenti posizioni sulla linea Sigüenza-Buitrago.

Battaglia di Bilbao
Intorno a Madrid i combattimenti  di Jarama e Guadalajara sono cessati ed il fronte si è consolidato su posizioni che saranno mantenute fino alla fine della guerra. Tutti i piloti vengono radunati e ci informano che le azioni nazionaliste continueranno a Nord mirando alla conquista del ricco territorio vasco. Si rende necessario pertanto spostarci su Vitoria, 150 km piu’ a Nord. I reparti vengono risistemati e la mia squadriglia partirà per Salamanca e Siviglia dove si riorganizzera’ per operare in Andalucía. Vengo incorporato nella 31ª Squadriglia, comandata dal Capitano Ugo Benigni, appartenente al VI Gruppo, detto “Leonello”, dal nom-de-guerre del suo comandante, Maggiore Eugenio Leotta, proveniente dal 4° Stormo. [Verso la fine dell’anno, il VI Gruppo verra’ ribattezzato “Gamba di Ferro” in onore del Cap.Ernesto Botto.]  Partiamo il 29 marzo al pomeriggio e verso le cinque arriviamo sul campo e ci rendiamo subito conto che e’ corto ed infangato. Il Cap. Viola è il primo a posarsi tra grandi spruzzi d’acqua, lo seguiamo in fila. Davanti a me un collega, Mollo, arriva troppo veloce e finisce dentro un fossato, un secondo, Ricci, entra in scivolata d’ala che non corregge in tempo, danneggiando la semiala inferiore sinistra. Io atterro sui solchi dei precedenti, me la cavo senza problemi e vado a schierarmi con gli altri, in fondo al campo. Ci riuniamo domandandoci in che razza di campo siamo capitati, senza attrezzature, completamente deserto. Arriva di gran corsa una macchina con l’aiutante del Generale per avvisarci che … abbiamo sbagliato campo! Il nostro è a Ovest di Vitoria e non a Est come segnavano le carte che ci hanno consegnato. Ripartiamo subito, lasciando il Fiat finito nel fossato e atterriamo dopo cinque minuti nell’aeroporto dall’altra parte della città. Pochi minuti dopo ci raggiunge anche il C.R. 32 con la semiala accartocciata. Lo vediamo atterrare un pò di sghimbescio e venire ad allinearsi insieme a noi. In campo ci sono anche i tedeschi con i loro Heinkel, dei biplani destinati all’attacco al suolo e già superati. Assieme agli Heinkel vediamo per la prima volta i nuovi Messerschmitt 109. Sono molto eleganti, grigi e sulla fusoliera hanno dipinto in bianco un capello a cilindro ed un bastone. Sembrano molto complessi in confronto ai nostri Fiat: carrello rettrattile, flaps, elica a passo variabile in volo (l’elica del C.R. 32 lo era ma solo a terra), collimatore luminoso a riflessione, alimentazione a iniezione e strumenti adatti per il “volo cieco”. Naturalmente, non passa molto tempo e nasce una sfida di finta caccia tra i due aeroplani per confrontare le prestazioni. Vanno in volo Viola ed il Comandante tedesco. Il Fiat ha solo la metá del carburante e non porta munizioni in modo da alleggerirlo il più possibile, come probabilmente hanno fatto pure i tedeschi, ma la carta vincente e’ l’aver pattuito di partire in pattuglia ed iniziare il combattimento solo arrivati a tremila metri. In quelle condizioni il Messerschmitt non può avvantaggiarsi della sua maggiore velocità, mentre il C.R. 32 diventa superiore in maneggevolezza e vira piu’ stretto, incollandosi alla sua coda. Il giorno seguente la scena si ripete con lo stesso risultato. Il successo di questa sfida, verrò a saperlo molto tempo dopo, giunge molto in alto a Roma, dove servira’ per avvalorare la scelta del biplano, quale aereo da costruire in larga scala. Scelta scellerata che ci penalizzera’ drammaticamente nei primi anni della Seconda Guerra Mondiale. Il Messerschmitt, che dal motore da 600 Hp passera’ a 1450 HP, surclassera’ i nostri velivoli e sara’ costruito in ben 24.000 esemplari. Il generale Mola intanto sta per scatenare l’offensiva sul paese vasco, facendola precedere da una minaccia molto seria: “Intendo finire rapidamente la guerra al Nord. Chi di voi non si sia macchiato di assassinii e si arrende, consegnando le armi, avra’ la sua vita e le proprietà rispettate. Ma, se la sottomissione non sara’  immediata, annienteremo tutta la Vizcaya, fino all’ultima pietra, cominciando dalle industrie militari”. Due giorni dopo, il 31 marzo, la minaccia diventa’ realta’: precedute da un intensa azione dell’artiglieria e dai bombardamenti degli Ju 52, cominciano le azioni su Durango.

Aprile
All’inizio del mese scortiamo i Ro 37 durante le offensive su Ochandiano, evacuata dai vaschi il 5 aprile. Il 9 aprile scortiamo invece gli Ju 52 che intervengono a Guadalcano per ostacolare la ritirata dei vaschi verso il “cinturón de hierro”, intorno a Bilbao. Nonostante la gravita’ della situazione, la caccia nemica che opera da Bilbao non si fa vedere. In aiuto all’offensiva del Generale Mola, arrivano nuove forze italiane ma soprattutto tedesche. Vediamo per prima volta gli Junkers 88 e gli Heinkel 111. Il Comando decide una riorganizzazione: parte del Gruppo riceve l’ordine di lasciare gli aerei a Vitoria mentre gli altri, compreso me, partono per Siviglia dove prepareremo le azioni sull’Andalusia. Intanto, dopo quasi cinque mesi di attività ininterrotta, ci viene concessa una settimana di licenza che trascorro a Siviglia, assieme a Salvi e Radaelli. Soltanto dopo qualche giorno ci rendiamo conto della stanchezza accumulata, ad alcuni di noi era capitato di addormentasi in volo, frutto dell’insufficiente riposo, dell’anossia e del freddo: bastava un piccolo rumore per farci scattare come una molla. Ora invece ci sembra di essere rinati! Visitiamo la città che non avevamo potuto conoscere al nostro arrivo. Siviglia è bellissima nonostante la guerra e ci fa dimenticare per un pò le crude esperienze del fronte. Dedichiamo il mattino ai luoghi storici ed ai monumenti mentre al pomeriggio “visitiamo” le cervecerías dove scoliamo l’ottima birra spagnola insieme alle tapas, dei gustosi antipasti della tradizione andalusa che risale all’epoca dei carrettieri, dovevano essere un rapido ristoro per i viaggiatori che non scendevano dal cavallo: un bicchiere di vino e un boccone prima di ripartire. Dopo la scarsa e monotona dieta del fronte, ci rifacciamo con la squisita cucina spagnola che non sembra risentire della guerra. Tutti i giovedí, per ordine di Franco, era stato adottato il plato único, per far ricordare ai cittadini le penurie alimentari passate dei soldati che combattevano al fronte. Il cosiddetto “único” era, in verità, un enorme piatto ovale che conteneva ogni ben di Dio, dall’antipasto all’arrosto. In questo modo si obbediva alla legge senza privazioni, come diceva il cameriere strizzando l’occhio: “se obedece pero no se cumple”… (si obbedisce ma non si attua). Visitiamo la Torre dell’Oro, la Giralda, il Parco di Triana e la tomba di Cristoforo Colombo, piu’ modesta del monumento genovese alla Stazione Principe. Ci facciamo fotografare vestiti da sceicchi e la domenica andiamo a vedere una corrida a la Plaza de Toros. Ammiriamo le eleganti figure dei toreros ed il loro coraggio, ma lo spettacolo sanguinolento della morte del toro, ferito brutalmente dal picador e tutto insanguinato dagli attacchi dei banderilleros non ci attrae e parteggiamo per il toro! La fiesta ci rivela un’altra faccia di questo strano popolo che vive con la morte sempre vicina.

Maggio
La settimana trascorre veloce e ci ripresentiamo a Tablada. Dopo qualche volo di prova degli aerei appena giunti dall’Italia e qui assemblati, ricominciamo le missioni di scorta ai Ro 37 al Nord, su Castuera. Il 20 maggio partiamo all’alba per Posadas dove operiamo su Porcuna e Pozoblanco, in appoggio agli attacchi del Generale Queipo de Llano. Queste operazioni sono destinate a liberare le forze del Capitano della Guardia Civil, Santiago Cortés, assediato nel Santuario della Virgen de la Cabeza. Scortiamo il Capitano Haya, cognato di Morato, nei suoi voli di rifornimento con il DC 2, che lancia medicine e viveri agli assediati, con un metodo da lui ideato: Haya legava i pacchi ai tacchini vivi che, una volta lanciati dall’aereo, “atterravano” nel Santuario. Con le ultime luci rientriamo a Tablada. Le azioni continuano su Arjona ma gli sforzi dei Nazionalisti non riescono evitare la caduta del Santuario. Il capitano Cortés, ferito, muore poco dopo portandosi nella tomba il segreto del luogo dove aveva nascosto l’immagine della Vergine de la Cabeza che non verra’ mai più ritrovata.

Giugno
Il 2 giugno partiamo per una operazione “a pendolo”. Decolliamo da Siviglia per scortare una pattuglia di S. 81 in missione di sbarramento su Don Benito a Extremadura. Atterriamo per il rifornimento a Mérida ed al ritorno scortiamo un’altra volta i bombardieri in missione su Villanueva de la Serena e rientriamo a Siviglia al pomeriggio. Il 7 giugno decollo alle 9 del mattino in scorta ai Ro 37 che vanno a bombardare Pueblonuevo del Terrible. A missione compiuta atterriamo a Badajoz, sulla frontiera con il Portogallo. Da Badajoz voliamo in altre missioni di scorta ai bombardieri per sbarrare le avanguardie repubblicane a Valdetorres e Villagonzalo, vicino a Salamanca. Seguono tre giorni di brutto tempo e il 12 giugno effettuiamo tre missioni di scorta agli Junkers spagnoli su Valdetorres, Retamar e Campillo de Llerena. Atterriamo a Badajoz con le ultime luci senza incontrare alcun segno della caccia nemica, sicuramente ripiegata sui campi di Madrid e Cataluña. Questo e’ il mio ultimo volo in Spagna. Disposizioni ministeriali prevedono il rimpatrio dei piloti dell’Aviazione Legionaria dopo un ciclo operativo di sei mesi. Il Capitano Benigni mi comunica che è arrivato dal Comando l’ordine per il mio rientro. Dopo i commoventi addii con i compagni di Gruppo, parto per Siviglia dove mi presento al Generale Vincenzo Velardi, Comandante dell’Aviazione Legionaria. Il Generale mi abbraccia e si complimenta per il mio comportamento che mi ha fatto meritare due Medaglie d’Argento ed una di Bronzo. A Siviglia sono ospitato nell’albergo Cristina, dove trascorro l’ultima notte in Spagna. Mentre sono a letto, nella mia mente scorre come in un film questa lunga avventura che segnera’ per sempre la mia vita: duecento ore di volo, centotrentacinque missioni e quattro abbattimenti. Ritorno col pensiero ai campi da dove ho operato in tutti questi mesi, rivedo i compagni che ho lasciato ed i combattimenti con gli aerei nemici, mi assale la tristezza delle immagini delle stragi che la guerra ha provocato. Sono stanco e non vedo l’ora di essere nuovamente in Patria. Poche ore dopo salgo sulla nave che lentamente scende il Guadalquivir e, via Gibilterra e le Baleari, mi riporta a Genova.

Il rientro in Patria
Ho finito la prima colazione, salgo in coperta ed un marinaio puntando un dito verso l’orizzonte esclama in genovese “A lanterna!”. Guardando a prua e vedo l’immagine familiare della Lanterna di Genova. La nave arriva in porto prima di mezzogiorno. Lascio la banchina e passando davanti al “Caricamento” acquisto un cartoccio di pesci fritti e continuo verso la Stazione Principe. Mi arrampico su per la Salita Oregina verso la casa dei miei genitori, busso e quando aprono quasi svengono per l’emozione e la gioia di rivedermi. La Mamma mi trova molto deperito e si mette subito al lavoro per prepararmi la “cima ripiena” e debbo fermare il Babbo che vuole uscire per acquistare lo stoccafisso “in onore del reduce”. Li tranquillizzo, il minestrone già in pentola e i gnocchi al pesto bastano benissimo e poi … non posso fermarmi a lungo: la sera stessa desidero tornare a Gorizia dove mi aspettano mia moglie e mio figlio. Sto insieme a loro tutto il pomeriggio, ho tante cose da raccontare e da chiedere e ci vorrebbe molto piu’ tempo ma infine debbo a malincuore alzarmi per andarmene. La Mamma mi abbraccia piangendo e mi consegna un pacchettino con una focaccia per il viaggio. Il Babbo mantiene un contegno dignitoso e quando sto per salutarlo mi dice “Ti accompagno alla stazione ferroviaria”. Scendiamo insieme per andare a Brignole a prendere il treno. Accanto al vagone, prima di partire, gli tendo la mano, lui invece mi abbraccia, stringendomi forte. E’ commosso, e mi sussurra all’orecchio “Sono molto orgoglioso di te”. Pochi mesi dopo morira’ e quell’abbraccio sara’  l’ultimo ricordo che ho di lui.

Di nuovo a Gorizia
Al mattino seguente arrivo a Gorizia, poco prima il treno passa di fianco all’aeroporto e nel rivedere i tre grandi hangar Lancini del mio Stormo con gli aerei perfettamente allineati, un brivido di emozione mi corre lungo la schiena. Appena fuori della stazione balzo su un tassì, chiedo all’autista di accompagnarmi in via del Prato, percorriamo la strada che porta verso l’Isonzo e poi corriamo paralleli al fiume fino alla casetta bifamiliare dove ho lasciato i miei cari, dieci mesi prima. L’incontro mi riempie di gioia e di serenita’, comincio a percepire che la dura avventura spagnola e’ finita per sempre. I ricordi degli orrori sembrano lontani, quasi irreali. Si sparge subito in aeroporto la notizia del mio rientro, al pomeriggio arriva Avvico per salutarmi e l’atmosfera si fa allegra. Gli racconto dell’esperienza spagnola e lui mi aggiorna su quanto c’e’ di nuovo allo Stormo, tra ultimi rientri e partenze per la Spagna. Mi racconta la voce ufficiosa ma di regola attendibile  che circola in aeroporto: sono stato riassegnato al 4° Stormo. Apprendo da lui anche un’altra notizia particolarmente “gradita”: il Colonnello Retinò è stato assegnato ad un Reparto rischierato in Africa Orientale. È stato sostituito dal Ten.Col. Mattei e, fin dal mese scorso, dal Ten.Col. Grandinetti. All’indomani mi reco all’aeroporto “Egidio Grego” con il primo bus del mattino. Il mezzo mi lascia accanto al posto di Guardia, l’aviere alla garitta mi saluta ed esibisco i documenti al Sottufficiale di giornata. Mi avvio verso la Palazzina Comando e lungo il breve tragitto, passo accanto all’hangar Lancini dove incontro alcuni vecchi amici che mi salutano calorosamente. Entro nella palazzina dall’ingresso interno, al piano terra, mi presento e mi metto a rapporto dal Comandante di Stormo, il Col. Grandinetti, che pochi minuti dopo mi riceve nel suo ufficio. In piedi, accanto alla scrivania del Comandante, c’e’ anche il Magg. Chiesa, da lui dipende il Xº Gruppo. Grandinetti è molto cordiale, si interessa della situazione della nostra Aeronautica in Spagna e delle caratteristiche dei velivoli avversari. Prima di congedarmi si avvicina, mi mette una mano sulla spalla “Bravo Costigliolo” mi dice “ora dimmi a quale Gruppo desideri essere assegnato”, ho un attimo di esitazione, sento lo sguardo di Chiesa su di me e diplomaticamente rispondo “Naturalmente alla mia 96^ Squadriglia, al IX Gruppo”. Grandinetti comprende al volo che la mia risposta non e’ sincera e sorridendo si rivolge a Chiesa “Questo è uno dei “belli” del IX …”. Noi del IX Gruppo eravamo chiamati scherzosamente “i belli” da quelli del X Gruppo cui toccava sempre andare a sbrogliare per primi le situazioni piu’ complicate e poi, quando “il terreno era spianato”, arrivavano quelli del IX Gruppo. Anche quando venne costituito in forma definitiva il 4° Stormo e scelta come base operativa l’aeroporto di Gorizia, il X Gruppo fu il primo ad arrivare il 10 settembre del 1931, mentre il IX gruppo vi giunse il 20 settembre, quando la parte piu’ impegnativa del trasferimento era gia’ a buon punto. Chiesa aggiunge “Alle “Vedette” ci tornerebbe utile avere piloti con esperienza di guerra, da poter affiancare a Pezzè”. Congedandomi, Grandinetti mi ordina di presentarmi alla 96^ Squadriglia che e’ comandata “ad interim” dal S.Ten. Vittorio Pezzè in quanto il Ten. Paolo Arcangeletti ha lasciato lo Stormo per le O.M.S.

Alla 96^ con Pezze’
Esco della Palazzina Comando e mi incammino lungo il viale interno che corre parallelo alla strada statale e giunto in fondo prendo a destra per l’hangar centrale, quello che ospita la 96^ e la 84^ Squadriglia, la prima appartiene al IX Gruppo e la seconda al X. Chiedo del S.Ten. Vittorio Pezze’, mi dicono che e’ negli uffici della Squadriglia, sul retro dell’hangar, nella cosidetta “appendice”. Busso ed entro, mi riconosce subito e mi saluta calorosamente. Pezze’ e’ un uomo piccolino con due baffetti caratteristici, e’ considerato uno dei migliori piloti dello Stormo, e’ friulano, di Udine, la sua famiglia ha una pasticceria vicino alla casa di mio suocero. Mi racconta che ora fa parte della Pattuglia Acrobatica del 4° Stormo, comandata da Remondino; è tornato la settimana scorsa dal Raduno Aereo Internazionale di Zurigo dove gli italiani si sono classificati secondi. Mi confida che c’è un gran bisogno di piloti esperti in quanto il livello operativo è diminuito per i continui avvicendamenti di personale per l’O.M.S. Anche lui e’ prossimo alla partenza per la Spagna ed e’ molto interessato a saperne il piu’ possibile delle tattiche di combattimento e sulle caratteristiche dei velivoli nemici che si trovera’ ad affrontare. Mi fa le stesse domande che ho fatto io quando sono arrivato a Torrijos. Ci accordiamo di andare insieme in volo e provare dal vero le manovre che, dopo le esperienza fatte dai nostri Reparti, sono state adottate per affrontare i velivoli nemici, divenuti recentemente piu’ aggressivi e soprattutto con prestazioni superiori al C.R. 32. Mi saluta e aggiunge “Prendi un C.R. 32 e vai a fare un volo da solo, al ritorno partiremo insieme!”.

Finalmente in volo senza guardarmi alle spalle
Mercoledí 10 agosto 1937, e’ una splendida giornata d’estate, l’ideale per godere il panorama della grande vallata intorno all’Isonzo e al Vipacco, delimitata a Sud dal Carso ed a Nord dalle Pre Alpi Giulie. È la sagra del grano e sotto di me il colore predominante è il giallo dei campi pronti alla raccolta. Dopo tanti mesi volo finalmente rilassato, senza dovermi guardare continuamente alle spalle, senza l’angoscia di essere il bersaglio di un caccia nemico. Non debbo piu’ preoccuparmi di tenere sott’occhio la “linea del fronte” che separa i campi di battaglia degli “amici” dai “nemici”: se malauguratamente mi dovesse “piantare” il motore, non rischio di finire prigioniero, dovrei preoccuparmi solo di scegliere un prato idoneo, badare alla direzione del vento e fare attenzione di non cappottare. Mentre questi pensieri scorrono nella mia mente, salgo a mille metri e dirigo su Gradisca, prendo l’Isonzo come riferimento e provo un primo looping. Quando lo completo sento il breve sussulto dovuto alla mia stessa scia che per un attimo incrocio: il “cerchio” era preciso! Sfrutto la velocitá in uscita dal looping per provare un “otto cubano”, una figura “rubata” recentemente agli americani e illustratami proprio da Pezzé. Effettuo un altro looping e cosi’ via. Fa molto caldo, il C.R. 32 e’ privo dell’armamento e pertanto piu’ leggero e brillante. Tiro la barra e quando il muso e’ a 45 gradi sull’orizzonte, spingo in avanti e allo stesso tempo a sinistra, eseguendo un mezzo tonneau, poi tiro e continuo in picchiata chiudendo il “semicerchio” alla stessa quota di partenza. Continuo con altre figure ed infine dirigo verso il campo di Merna, passo accanto al San Michele e poco dopo sorvolo la ferrovia ed atterro. Vado nell’ufficio Comando di Squadriglia, Pezze’ mi attende, “Tenente, sono pronto, quando desidera …” lui mi risponde con un cenno del capo, si alza e passiamo attraverso l’hangar dove prende la cuffia e gli occhiali ed insieme raggiungiamo gli aerei sul piazzale dove gli specialisti ci attendono. Poco dopo sono nuovamente in volo per una missione di finta caccia con Pezze’. Saliamo a duemila metri sulla baia di Monfalcone, in pattuglia stretta. Ad un segnale con il braccio di Pezzè, viro di quarantacinque gradi a destra mentre lui fa altrettanto a sinistra e dopo trenta secondi, con un’altra virata ci “puntiamo”, muso contro muso. Ci incrociamo velocissimi sfiorandoci, inizia cosi’ il duello! Il piu’ abile nel manovrare il velivolo si portera’in coda all’altro. Pezzé vira strettissimo mantenendo la quota mentre io viro cabrando senza “stringere” eccessivamente per evitare di smaltire velocità e mantenere così una posizione di vantaggio. Lui si butta in una affondata che conclude con looping rovescio, non lo seguo e rimango in quota. Quando alza il muso e viene su, gli piombo dall’interno. Ripetiamo daccapo le manovre per una trentina di minuti. Pezzè e’ abilissimo, nelle virate riesce a controllare il suo velivolo mentre sento il mio vibrare, prossimo allo stallo. Rientriamo in campo e atterriamo in coppia. Spenti i motori, mi porto sotto il suo aereo, ascolto le sue impressioni e aggiungo che in Spagna i combattimenti non durano mai così a lungo e pertanto bisogna cogliere al piu’ presto l’opportunita’ per colpire il nemico e disimpegnarsi.

Fiero di appartenere nuovamente al 4° Stormo
All’indomani andiamo in volo in pattuglia di tre, con Pezzé e un Sergente da poco assegnato al Reparto. Dopo un primo assaggio, l’allievo non fa una bella figura e Pezzè ci porta all’atterraggio. Pezze’ eccelle anche come istruttore, corregge l’allievo con indicazioni precise e, per evitare che si demoralizzi, lo risolleva con una pacca sulla spalla “Dai, ora andiamo un’altra volta in volo e riprovi!”. Decolliamo, l’allievo effettivamente ora sembra piu’ a suo agio, ci impegniamo in passaggi a bassa quota, rovesciamenti, tonneaux e looping con rientri a pelo d’erba. Ritrovo il fascino della pattuglia acrobatica e lentamente riprendo a sentirmi fiero di appartenere a questo grande Reparto che e’ il 4° Stormo Caccia di Gorizia. In settimana arriva allo Stormo il Capitano Giuseppe Baylon e gli viene assegnato il comando della 96ª Squadriglia mentre pochi giorni dopo tutti noi, reduci della Spagna, ci riuniamo al ristorante “Boschetti” di Tricesimo per dare il “ben tornato” ai colleghi appena rientrati dalle O.M.S. E’ anche occasione per festeggiare  il successo riportato all’estero dalla nostra Pattuglia Acrobatica. Intanto a Gorizia l’attivita’ di volo si intensifica, i continui avvicendamenti per le O.M.S. impegnano tutti ed in particolare il Nucleo di Addestramento, affidato al S.Ten. Pezzè ed al Maresciallo Albino Cagliari. In settembre anche Pezzè parte per la Spagna mentre rientrano dalla prigionia Patriarca, Chianese e Bandini; scambiati con piloti repubblicani catturati dai nostri, sono salvi per miracolo. In ottobre, incassiamo un duro colpo: durante un combattimento su Fuentes del Ebro, fra 18 C.R. 32 contro 40 Rata avversari, vengono abbattuti il Ten. Neri, i S.Ten. Leoncini e Boschetto, ed i Serg. Corsi e Rigolli. Purtroppo questi ultimi perdono la vita, Corsi precipita con il velivolo mentre Rigolli, lanciatosi con il paracadute, una volta a terra, nel tentativo di difendersi con la pistola, veniva sopraffatto. Il Capitano Botto, ferito gravemente ad una gamba, stremato per l’emorragia, e’ riuscito comunque a portare l’aereo a terra ma gli e’ stato amputato l’arto. Botto, Neri e Corsi sono tutti del 4° Stormo.

Il Duca lascia Gorizia
Il 6 novembre del 1937, il Duca d’Aosta, da poco nominato Viceré dell’Impero in Etiopia, ha invitato tutti i piloti reduci dalla Spagna e quelli prossimi alla partenza, al Circolo Ufficiali dell’aeroporto per un ultimo saluto. E’ visibilmente commosso e si intuisce che lascia a malincuore Gorizia. Qui, da giovanissimo artigliere, ha trascorso i travagliati giorni della Prima Guerra Mondiale, qui ha combattuto e riposa suo padre Filiberto, qui sono nate le sue figlie e qui lascia i piu’ bei ricordi delle esperienze di volo. Posa infine con noi per una foto di gruppo sull’ingresso del Circolo. Non ricordo tutti i nomi dei presenti, ma eravamo veramente tanti del 4° Stormo: i T.Col. Michele Grandinetti, Magg. Raoul Moore, Cap. Vincenzo Dequal, Cap. Giuseppe D’agostinis, Ten. Alberto Beneforti, S.Ten. Aldo Gon, S.Ten. Piero Bonfatti, S.Ten. Valerio De Campo, S.Ten. Bene, S.Ten. Jacopo Frigerio, S.Ten. Arnoldo Laurenzi, Serg. Raffaele Chianese, Serg. Mario Bandini. Anche del 1° Stormo: i Cap. Bruno Brambilla, S.Ten. Giuseppe Cenni, Ten. Adriano Mantelli, Serg. Silvio De Giorgi, Serg. Aldo Galadini e del 6° Stormo: il Col. Venceslao D’Aurelio. Gli omaggi al Duca si moltiplicano, la città gli conferisce la cittadinanza onoraria, tuttavia l’episodio che più lo commuove e’ l’ultimo saluto del personale del suo Stormo. La sera della sua partenza da Trieste, andiamo tutti ad attendere il passaggio del treno alla stazione di Monfalcone. Quando il treno si ferma, la pensilina della stazione e’ affollata da Ufficiali e Sottufficiali e lui, affacciatosi al finestrino per salutarci, e’ visibilmente commosso e quando il treno riprende la marcia, ci saluta militarmente. Nel febbraio del 1938, il Cap. Remondino sostituisce il Magg. Guerra e in aprile il Cap. Bonzano, proveniente del “Asso di Bastoni”, assume il Comando della 96^ in sostituzione di Baylon, inviato in A.O.I. (Africa Orientale Italiana) e successivamente in  Spagna. L’attività di volo e’ sempre sostenuta, noi, i più anziani andiamo in volo due o tre volte al giorno, curando l’addestramento di coloro che saranno assegnati ai Reparti Operativi dell’Aviazione Legionaria. Gli allievi che provengono dalle Scuole di Volo iniziano con l’acrobazia individuale sul campo, controllati da terra dei Capi Squadriglia che, dopo l’atterraggio, valutano le capacità individuali e sono prodighi di consigli pratici. Successivamente gli allievi vanno in volo in pattuglie di tre velivoli, affiancati da due piloti esperti. Quando hanno acquisito una sufficiente padronanza della macchina, si inizia con gli allenamenti di “finta caccia” che impegnano a fondo il pilota e, soprattutto ne esaltano l’attitudine a divenire “pilota da caccia”. Alcuni allievi provengono dall’Accademia, sono Sottotenenti di fresca nomina e non gradiscono essere giudicati da Sottufficiali, d’altra parte noi, anche se subordinati a loro per il grado, ci prendiamo qualche piccola soddisfazione in volo. Quando hanno acquisito una sufficiente padronanza della macchina, si inizia con gli allenamenti di “finta caccia” che impegnano a fondo l’allievo e che evidenziano la sua attitudine a divenire “pilota da caccia”. Alcuni allievi provengono dall’Accademia, sono Sottotenenti di fresca nomina e non gradiscono essere giudicati da Sottufficiali. Seppure subordinati a loro per il grado, ci prendiamo qualche piccola soddisfazione in volo. Un giorno Bonzano mi ordina una missione di “finta caccia” sul campo con uno di questi allievi insofferenti. Saliamo a 1.000 metri, l’Ufficiale fa un segnale e vira per separarsi. Invece di virare dalla parte opposta, arretro e mi porto in coda a lui, “a fanalino” e leggermente piu’ basso, per tenermi fuori dalla sua portata visiva. Rimango “incollato” in quella posizione, seguendo le sue strette e continue virate per individuarmi. Dopo venti minuti si porta all’atterraggio, poco prima di toccare terra, mi stacco dalla sua coda e mi porto di lato. Quando scende si capisce che e’ furioso e vorrebbe darmi una “inquadrata” ma davanti all’hangar ci sono molti piloti e specialisti che ci osservano. Hanno visto tutto, fanno finta di nulla ma si capisce bene che si sforzano a non scoppiare a ridere. In mezzo al gruppo c’e’ anche il Cap. Bonzano che ci viene incontro “Com’e’ andato il volo?” chiede sorridendo all’allievo “Hai abbattuto il nemico?”. Per rompere la “monotonia” dei soliti voli, noi piu’ anziani siamo autori di scherzi nei confronti dei nuovi Capi Pattuglia. Prima del volo ci si accordava tra gregari, in pattuglia stretta, uno di noi incrociava i comandi, cloche da una parte e pedaliera dal lato opposto, facendo volare l’aeroplano leggermente “a sghimbescio”. Il Capopattuglia notando qualcosa di strano girava il capo ed il gregario rapidamente normalizzava il velivolo. Simultaneamente l’altro gregario ripeteva la manovra dalla sua parte ed il Capopattuglia dopo un po’ era completamente confuso. Altre volte invece uno dei due gregari “stringeva” il Capopattuglia che, preoccupato, faceva cenno con la mano di allontanarsi, subito dopo lo “stringeva” l’altro gregario e cosi’ si andava avanti per diversi minuti. Durante l’anno la situazione politica in Europa comincia a deteriorarsi. La Germania aumenta ogni giorno la sua potenza bellica. Il 12 marzo 1938, l’Austria viene anessa al territorio del Reich e nel settembre dello stesso anno, le truppe tedesche iniziano l’occupazione dei Sudeti. In agosto partecipiamo assieme al 1º Stormo di Campoformido alle riprese del film “Luciano Serra, pilota” prodotto dall’Aquila Film, con le interpretazioni di Amedeo Nazzari e Germana Paolieri. Il personale tecnico e alcuni attori sono ospiti dell’aeroporto per i giorni necessari alle riprese e con loro vengono concordate le manovre che andremo ad eseguire. Sorvoliamo le cineprese ripetutamente, sia singolarmente che in formazione, emulando anche il “volo folle” caratteristico del 1° Stormo di Campoformido. Quando esce il film, vado a vederlo a Udine con mia moglie e mio figlio: ne rimango deluso. Si vedono pochi aeroplani, l’aeroporto di Gorizia ha cambiato nome in “Campo Ferdinando Bonazzi” che e’ l’aeroporto di Reggio Emilia. Ci sono scene in cui si vedono i piloti con le insegne del 1º e 4º Stormo in un contesto che non ha nulla a che vedere con questi Reparti. In ottobre il maggiore François, che noi veterani dell’ O.M.S. conosciamo bene per esser stato il capo della “Cucaracha”, assume il comando del IXº Gruppo e in novembre il capitano Roberto Fassi, rientrato dalla Spagna, è nominato Capo Squadriglia della 96^. In dicembre noi decorati, reduci dell’O.M.S. veniamo invitati a partecipare ad una solenne cerimonia a Vicenza ed in quella occasione mi vengono consegnate due Medaglie d’Argento e una di Bronzo, dal Generale Pricolo, Ministro della Regia Aeronautica. Sono diventato il Sottufficiale più anziano della Squadriglia, Fassi mi affida l’addestramento ed il controllo di gran parte dei nuovi arrivati ed alterno voli sul C.R. 32 col Ro. 41 a doppio comando. Con la caduta di Madrid del 27 marzo 1939, cessano praticamente le azioni in terra spagnola ed il 1° aprile partecipo con gli altri reduci delle O.M.S. ad una solenne cerimonia a Roma, presieduta dal Capo del Governo. Al termine della cerimonia, Mussolini ci riceve e dopo un breve discorso ci consegna personalmente un ritratto autografo in una cornice d’acciaio. In giugno compio trent’anni e sono promosso Maresciallo.

Il Corso Ufficiali
Quando dieci anni fa feci la domanda per il corso Sottufficiali Piloti dell’Aeronautica, la mia aspirazione era di divenire un Ufficiale e questo e’ sempre rimasto il mio grande desiderio. Ne parlo a lungo con Avvico, anche lui vorrebbe divenire Ufficiale, sebbene la prospettiva di trascorrere due anni rinchiusi in Accademia, lontani dal volo e dalle famiglie, siamo entrambi sposati, non ci piaccia molto. Alla fine pero’ decidiamo di presentarci agli esami di ammissione per il “Corso d’Integrazione Ufficiali” di Caserta. Il primo passo e’ ottenere una lettera di presentazione da allegare alla domanda d’ammissione. Ci presentiamo dal Comandante di Stormo, il Col. Grandinetti che si dimostra molto disponibile, ci promette di occuparsi personalmente della richiesta e di intercedere con il Generale Faccenda, Capo della 2ª Z.A.T. di Padova, che a sua volta inviera’ una lettera al Generale Giovine, Comandante dell’Accademia. Gli esami di ammissione sono severi e noi non siamo piu’ giovani ed allenati allo studio e dobbiamo pertanto prepararci con maggiore cura. I nostri superiori sono comprensivi e ci dispensano da gran parte dei voli per permetterci di studiare. A malincuore dobbiamo rinunciare al passaggio sul nuovo caccia che da poco e’ giunto ad equipaggiare lo Stormo, il CR 42. Il 29 novembre effettuo il mio ultimo volo e in dicembre mi presento con Avvico a Caserta. La grandiosità del Palazzo Reale, sede dell’Accademia, impone rispetto ed ammirazione. Varcati i cancelli, due militari di guardia ci chiedono i documenti, veniamo indirizzati verso un grande salone dove ci sono una settantina di  aspiranti. Mi muovo tra alcuni gruppetti che si sono formati per individuare qualche volto familiare ed incontro Beppi Biron, da poco rientrato dalla Spagna. E’ in forza al 54º Stormo, costituito a Treviso e che comprende al completo i Gruppi “La Cucaracha” e “Asso di Bastoni”. Gli esami comprendono una prova scritta ed altre orali. Dopo un paio di giorni ci viene comunicato l’esito: Avvico risulta terzo in graduatoria, Biron secondo ed io primo. Tra i Sottufficiali sono ammessi nove aspiranti e tre ripetenti.

A Caserta
Sempre con Avvico rientriamo a Gorizia, abbiamo alcuni giorni per organizzare il trasferimento a Caserta dove affittiamo due appartamenti di due stanze per sistemare le nostre famiglie. In Accademia troviamo circa mille allievi, sono quelli del Corso Sparviero, del Turbine e del Corso Urano. La vita al Corso e’ noiosa e monotona, tutti gli spostamenti all’interno dell’Accademia si effettuano marciando inquadrati: la stessa vita di quando ero un giovane inesperto a Cameri, allora pero’ lo spirito diverso. La sveglia e’ alle sei e, quindici minuti dopo, adunata, appello e presentazione all’Ufficiale “di sciarpa” o all’allievo Capo Corso. I pochi minuti a disposizione devono bastare per sistemare il letto e completare  la pulizia personale, barba compresa. Per guadagnare qualche minuto ed arrivare in tempo all’adunata, impariamo a farci la barba la notte prima. Dopo la colazione si va in aula marciando e le lezioni terminano all’ora del pranzo. C’e’ solo una breve interruzione per la distribuzione di un panino e della posta; prima del pranzo l’adunata generale con lettura delle punizioni. Ogni piccola “infrazione” e’ causa di punizione, per motivi piu’ diversi: omissione del saluto ad un superiore, “scarsa energia” nella risposta, letto mal fatto e cosi via. Qualunque punizione cancella la libera uscita di poche ore alla settimana  e si passa la notte in una striminzita e sguarnita cella. Un assordante campanello scandisce ogni evento della giornata: per la sveglia, per i pasti, per gli studi, per coricarsi e così via. Gli allievi dei corsi superiori trattano quelli inferiori da “pulcini” e li beffeggiano imitandone il verso … “piuu, piuu, piuu!”. Per noi la beffa dura solo la prima settimana; alla prima uscita, vedendoci in divisa di Marescialli con i nastrini delle decorazioni e le Campagne, ci lasciano in pace. Lo studio e’ impegnativo, il programma comprende una ventina di materie ed e’ prevista anche l’attivita’ sportiva. Tra gli sport che influiscono sulla valutazione, e’ compresa l’equitazione. I cavalli dell’Accademia non mi entusiasmano, hanno l’abitudine di andare per i fatti loro e non obbediscono ai comandi, sono gli unici “indisciplinati” della Scuola! Solo verso la fine del anno riesco a farmi rispettare e mantenere un’andatura accettabile.

La dichiarazione di Guerra
Lunedì 10 giugno 1940, suona l’adunata nel cortile del Palazzo Reale, tutti sull’attenti ascoltiamo l’annuncio del Capo del Governo … e’ la guerra! Un grido di gioia accoglie le ultime parole del Duce pronunciate dal balcone di Palazzo Venezia: “La parola d’ordine è una sola … vincere … e vinceremo!”. Avvico ed io ci guardiamo in silenzio, noi che la guerra l’abbiamo conosciuta non abbiamo nulla di cui gioire, il ricordo della Spagna e dei suoi orrori ci ha lasciato un segno indelebile. Da Gorizia intanto giungono le notizie dei nostri colleghi del IX Gruppo e le fotografie della 96^ in procinto di partire per Comiso con i nuovi CR 42. Il X Gruppo è giá partito per l’Africa Settentrionale e sono iniziati i primi scontri, Piragino e Corsi sono stati abbattuti, il primo è stato fatto prigioniero, mentre Corsi, affrontato da cinque Hurricane ne ha abbattuto tre poi è stato abbattuto a sua volta ed e’ precipitato nel golfo di Sollum. Tra lezioni ed esami, trascorre il primo anno d’Accademia, ci viene concessa una sola licenza, ridotta a causa delle nuove esigenze operative. Le conseguenze delle ostilita’ influiscono infatti anche sui corsi che terminano in aprile anzichè luglio, com’era invece previsto. Alla cerimonia finale riceviamo la nomina, siamo 223 Sottotenenti.

In Africa al 160º Gruppo C.T.
In attesa dell’assegnazione al Reparto mi viene concessa una licenza e riporto a Gorizia la mia famiglia. Il 9 maggio 1941 mi viene comunicata la nuova destinazione: il 160º Gruppo Autonomo di Caccia Terrestre. Non e’ una sorpresa, già’ sapevo che, promosso Ufficiale, la regola era che non avrei potuto tornare al mio 4° Stormo. Il 16 maggio abbraccio la mia famiglia e salgo sul treno per Brindisi dove mi imbarco su un S.81 che, un’ora dopo, mi sbarca a Tirana dove e’ di base il 160º Gruppo Autonomo. Mi presento al Comandante del Gruppo, il T.Col. Fernando Zanni che mi assegna alla 393^ Squadriglia, comandata dal Cap. Paolo Arcangeletti, anche lui proveniente dal 4° Stormo ed in forza al Gruppo dopo il suo rientro dall’O.M.S. Gli Ufficiali sono alloggiati in una villa requisita e vicina all’aeroporto dove, in una stanza tutta per me, sistemo le mie poche cose; un salto di qualita’ rispetto ai precari alloggi della Spagna. Poco dopo l’arrivo a Tirana, mi giunge la notizia dell’eroica resistenza del Duca d’Aosta, assediato con i suoi 7.000 uomini dalle truppe del Gen. Cunningham, fra le montagne etiopi dell’Amba Alagi. Il 160º Gruppo Autonomo e’ equipaggiato con il C.R. 42 “AS”, soprannominato “Falco”,  la versione piu’ recente, in grado di caricare due spezzoni da 100 kg. Il “Falco” e’ l’unico “biplano” impiegato come Caccia in questo conflitto e decisamente inferiore ai Caccia alleati. Lo scorso anno, il 18º Gruppo del 3º Stormo, inviato in Belgio a fianco della Luftwaffe, in due scontri contro la Royal Air Force ha perso ben otto C.R. 42, mentre gli Spitfire e gli Hurricane sono usciti indenni. Fra i nostri piloti abbattuti c’e’ Felice Sozzi, mio compagno fin dai tempi di Campoformido, atterrato sulla spiaggia di Calais con l’aeroplano distrutto e lui gravemente ferito. Il mio nuovo Gruppo, impegnato fino pochi mesi fa nella campagna della Grecia, fatica a tener testa ai Gloster Gladiator II, dotati di quattro mitragliatrici, contro le due vecchie Breda-SAFAT di 12,7 mm del C.R. 42.  Quest’ultime sparano sincronizzate attraverso l’elica quando questa viaggia a 1.850 e 2.250 giri al minuto, una grossa limitazione, azionare le armi al di fuori di questi parametri, provoca, come successo a Gon e molti altri, il taglio dell’elica. Qui a Tirana disponiamo di un Hurricane, catturato agli inglesi e rimesso in efficienza dai nostri specialisti. Provato in volo, si e’ potuto confrontare le caratteristiche dell’Hurricane con quelle di un nostro C.R. 42; si e’ constatato che il C.R. 42  si comporta bene nel combattimento manovrato ma non e’ in grado di affrontare un avversario che sa sfruttare la velocita’ superiore. L’impiego del C.R. 42 e’ passato da caccia puro ad “assaltatore” (attacco al suolo), gli aerei in dotazione al nostro Gruppo sono infatti provvisti di portabombe subalari e filtro tropicale. Dopo un anno e mezzo d’inattività, effettuo un volo a doppio comando con  un Ro. 41 e poi il passaggio sul C.R. 42 che non trovo impegnativo grazie alla similitudine con il C.R. 32. Il 5 giugno (1941) dopo due giri campo, saggio le doti acrobatiche del velivolo. Anche se è un pò più pesante del C.R. 32, l’aereo si comporta bene. Non sopporta le manovre a “G” negativi in quanto il carburante fuoriesce dal carburatore, il motore puo’ “piantare” e quando riprende c’è pericolo d’incendio. I piu’ esperti consigliano che, nel caso fosse necessario volare per alcuni secondi con “G” negativi, di chiudere il rubinetto del carburante e togliere i contatti. Riesco ad effettuare altri due voli e poi il mal tempo mi costringe a terra per una settimana. Nel frattempo arriva l’ordine di trasferimento a Treviso dove completeremo l’allenamento per raggiungere lo stato operativo.

A Treviso
Decolliamo alle sette del mattino del 17 giugno. Ho solo due ore di volo sul C.R. 42 e non mi sento ancora a mio agio,  controllo continuamente le indicazioni del motore mentre sorvoliamo l’Adriatico. Il posto di pilotaggio e’ stretto e scomodo e l’ingombrante giubbotto salvagente di sughero, come se non bastasse, mi stringe dandomi fastidio. Vedo avvicinarsi la costa e atterriamo a Foggia dopo ottanta minuti. Riforniamo gli aerei e torniamo in volo seguendo la spiaggia. Dopo un’altra ora scorgo alla mia sinistra il Monte Tritone e i castelli di San Marino, sorvoliamo Riccione ed atterriamo a Rimini.  Ripartiamo al pomeriggio, in mezz’ora siamo su Venezia e ci abbassiamo per un passaggio in pattuglia stretta. Seguiamo la Strada del Terraglio in formazione di Gruppo e atterriamo a Treviso dopo pochi minuti. L’aeroporto è ancora nuovo, ricordo l’inaugurazione avvenuta tre anni prima quando sfilai con il 4º Stormo in presenza del Capo dello Stato. Vado a trovare Tina, la fidanzata di Biron, mi racconta che Beppi è partito pochi giorni fa per Tirana per raggiungere la sua nuova destinazione, il 22º Gruppo Autonomo, in procinto per partire per la Russia. Trascorro il mese e mezzo seguente in allenamenti continui e, dopo due anni, ritorno al poligono del Vivaro a Maniago. Oltre ai soliti tiri al palloncino, ci alleniamo anche al lancio delle bombe. Per collimare non usiamo piu’ il vecchio “cannocchiale” ma il “profilo” superiore del vano motore ! Quando questi sfiora il bersaglio, volando ad una quota di cento metri e ad una data velocità, premiamo il pulsante di sgancio. Ai primi di agosto arriva dal Comando l’ordine di trasferimento del Gruppo in Africa Settentrionale per permettere l’avvicendamento del 18º Gruppo che deve rientrare in Italia per essere ricostituito su un nuovo velivolo. Ottengo due giorni di permesso per andare a Gorizia a vedere la mia famiglia e predisporre il trasloco a Genova, per il tempo che durera’ la mia missione in Africa.

Di nuovo in Africa
Il 5 agosto la nostra squadriglia parte per prima da Treviso, seguita dalle 394ª e la 375ª, sfasate di un ora in modo di facilitare i rifornimenti. Il primo scalo è Iesi da dove in giornata proseguiamo per Grottaglie. Il giorno successivo arriviamo a Reggio Calabria ed effettuato il rifornimento, indossiamo il salvagente per affrontare il tratto di mare che ci separa dall’isola di Pantelleria. Atterriamo il pomeriggio nell’isola e, dopo aver sistemato gli aerei nell’hangar sotterraneo, ci giunge l’ordine del Comando di attendere gli S. 82 con ricambi e bagagli. I due giorni seguenti impegnano gli specialisti che effettuano gli ultimi accurati controlli prima di affrontare la lunga tratta che si svolgerà quasi interamente sul Mediterraneo. Il 9 agosto, a mezzogiorno, il nostro Comandante di Gruppo ci schiera per gli ultimi dettagli prima della partenza. La destinazione finale del Gruppo sará il campo K2, nelle vicinanze di Bengasi. E’ previsto uno scalo a Castelbenito (Tripoli), la distanza in linea retta è di circa 430 chilometri, tutti sul mare. La prudenza consiglia di seguire una rotta più a Ovest per mantenerci vicini alla costa tunisina, la distanza sale cosi’ oltre i 500 chilometri, molto vicino alla massima autonomia dei nostri aerei. Partiranno per primi due Cant. Z.506 idrovolanti per l’assistenza durante la traversata e subito dopo, le tre squadriglie di C.R. 42. A scanso di “brutti” incontri, saremo appesantiti dall’armamento completo: non è raro incontrare pattuglie di Blenheim che perlustrano il mare fino al Nord di Pantelleria, alla caccia  di aerei da trasporto o navi isolate. Indossiamo il giubbotto di sughero e decolliamo in pattuglie di tre, seguima una rotta per Ovest fino ad avvistare il capo Mustafà e poi dirigiamo a Sud. Dopo un’ora di volo siamo al largo di Sfax, sulle isole di Kerkenna, sorvolata l’isola di Djerba, puntiamo a Sudest. Dopo due ore e dieci minuti di volo, con i serbatoi quasi a secco, atterriamo a Castelbenito. Con l’aiuto del personale del 145º Gruppo di Trasporto, riforniamo gli aerei per essere pronti, l’indomani, alla partenza per Uadi Tamet, ultimo scalo del trasferimento per Tripoli. Partono subito invece gli S.82 per attenderci all’arrivo a Bengasi. Partiamo di buon mattino scalando, come al solito, le Squadriglie per facilitarne il rifornimento. Decolla per primo il Magg. Zanni con la 394ª, lo seguiamo circa un ora dopo, rimanendo per trenta minuti in crociera di protezione sul Porto di Tripoli. Atterriamo a Uadi Tamet quando la precedente squadriglia è giá in procinto di decollo per Bengasi. Dopo l’atterraggio notiamo nel campo i rottami di aeroplani tedeschi bombardati dalle squadriglie di Blenheim della RAF durante le incursioni di febbraio. Veniamo riforniti per primi e decolliamo dopo un’ora, precedendo cosi’ la 375ª Squadriglia. L’abitudine alla continua vigilanza dello spazio aereo circostante  appresa in Spagna, ora mi torna utile per prevenire brutte sorprese. Puntiamo su El-Agheila e, sfiorando la costa del Golfo di Sirte, seguiamo la Balbia fino a Bengasi, dove atterriamo al pomeriggio sul campo di decentramento K2.

Al K2 di Bengasi
Gli specialisti hanno già montato le tende degli accampamenti che prendono il nome del Capo Squadriglia. Sono alloggiato al “Accampamento Arcangeletti”, un gruppo di cinque tende protette da un dislivello del terreno. Dalla parte opposta del campo sono decentrati gli aeroplani con accanto una tenda con telefono per i piloti in servizio d’allarme. Poco distante sono predisposti i rifugi antischegge, scavati nella terra e protetti da sacchi ripieni di sabbia. Il telefono nella tenda d’allarme squilla all’alba, si attendono tre navi che dovrebbero arrivare a Tripoli intorno alle 11 del mattino. Uno dei compiti assegnati all’Aviazione e’ la scorta ai mercantili durante la traversata del Mediterraneo; gli aerei dislocati su Reggio Calabria, Lecce, Crotone, Sicilia e Pantelleria, effettuano la scorta alle navi per circa 200 chilometri e quando entrano nel raggio d’azione dei C.R. 42 o dei Macchi 200 delle basi africane, le prendiamo in consegna noi. Le navi vengono cosi’ abbandonate al loro destino per un lungo tratto di mare, fino al largo delle coste africane. Durante queste missioni, incontriamo notevoli difficolta’ nell’avvistare le navi la cui rotta pianificata viene spesso modificata per segnalazioni di navi o sommergibili nemici lungo la rotta. Una volta che le abbiamo intercettate, siamo costretti ad un logorante e monotono serpeggiare per mantenere la posizione relativa senza tuttavia distrarci poiche’ un attacco nemico e’ sempre possibile. Il pericolo maggiore per le navi sono i sommergibili, praticamente quasi invisibili anche dall’alto e contro i quali ben poco possiamo fare poiche’ non disponiamo di radio per allertare gli equipaggi. Per aumentare l’autonomia non abbiamo le bombe a bordo e cosi’, anche se individuati, non siamo in grado di attaccare i sommergibili. Nel caso dovessimo notare la scia di un siluro, ci e’ stata data disposizione di abbassarci rapidamente, allineare l’aereo con la traiettoria dell’ordigno facendo partire delle raffiche sull’acqua in modo da avvisare la vedetta della nave del pericolo imminente. Andiamo avanti con queste missioni per due mesi, alternando la protezione del porto con la scorta dei convogli in navigazione. Le missioni sono due o tre al giorno, a volte oltre le due ore e sopra i cinquemila metri. Sono voli estenuanti, l’impianto dell’ossigeno consiste in un tubicino dal quale inaliamo qualche scarsa boccata. Tutti i piloti hanno un’avversione per il volo sopra il mare, un’avaria al motore vuol dire lanciarsi col paracadute e rimanere in balia delle onde con la remota speranza di trovarsi sulla rotta di una nave, altrimenti… Altro incubo è la sabbia, è presente dappertutto, nelle tende, nel cibo, nelle armi e nei motori, quest’ultimi si rovinano nel giro di poche ore. Gli specialisti faticano a coprire e scoprire gli aeroplani per  proteggerli, e’ tutto inutile, l’implacabile ed impalpabile sabbia penetra sempre e comunque. La sabbia si combina con il ghibli, il vento caldo che soffia dal Sud, dal Sahara, e in pochi minuti puo’ raggiungere i cento chilometri all’ora. Allora è impossibile volare, non rimane altro che rifugiarsi nelle tende, a volte per giorni. Sulla sabbia del deserto sembra di volare su un altro mare, marroncino ed increspato, dove l’unico riferimento è la costa, quando la si vede.

A Barce
Il 28 ottobre 1941 ci spostiamo a Barce per scortare a God Bersis l’S.81 che porta il Generale Bastico a una conferenza con il generale Rommel. Si prevede una imminente offensiva su Tobruk. ed aumentano gli sforzi per trasportare i rifornimenti indispensabili alle azioni, seppure limitati a soli cinque giorni di operazioni. L’attività di scorta al naviglio e protezione del porto diventa ancora più intensa. Il 17 novembre riceviamo l’ordine di tenerci pronti per l’attacco previsto per domenica 23.  Gli inglesi invece ci sorprendono attaccando il giorno dopo, il 18. La mia Squadriglia viene rischierata in protezione dell’Oasi di Gialo, minacciata dal 29º Reggimento Blindato Sudafricano. Già logorati dalla incessante attività su Bengasi, possiamo decentrare solo tre C.R. 42 ed un Caproni 309 Ghibli con a bordo altri tre piloti e specialisti. Il giorno dopo arriva un’autocolonna dell’8o Battaglione di Bersaglieri della Divisione Trento. Per la mancanza di aeroplani ci alterniamo sui C.R. 42 e sul Ca. 309, in missioni di ricognizione offensiva. Il 18 novembre, il campo è attaccato da sei Hurricanes del 33º Squadron della Desert Air Force. Partono di allarme il Sergente Maggiore Tarantini ed il Sergente Gardelli che riescono a colpire due degli attaccanti ma alla fine sono sopraffatti dal dalla superiorità dell’avversario. Gardelli è colpito a morte e Tarantini riesce ad atterrare ferito. Per la sua azione Gardelli viene proposto per la Medaglia d’Oro al Valore Militare. Gialo cade lunedì 24 novembre e per l’impossibilità di operare da molti aeroporti della zona centrale causa l’allagamento conseguente al violento temporale del 17 novembre, ripieghiamo ad Agedabia dove e’ dislocata la 375ª Squadriglia del Gruppo. Da Agedabia continuiamo le azioni di attacco sulle colonne meccanizzate nemiche e la scorta ai bombardieri a tuffo italo-tedeschi. Per sopperire alla maggior efficacia della contraerea, sviluppiamo una tecnica di attacco diversa dalla “fila indiana” adottata in Spagna, dividendoci in piu’ pattuglie che attaccano da direzioni diverse, per convergere simultaneamente su autoblindo e colonne motorizzate inglesi, in modo da disperdere la loro concentrazione di fuoco.

Di nuovo a Bengasi
Il  25 novembre ripieghiamo sul campo di Bengasi K2 per continuare la protezione del porto e dei convogli, vittime di pesantissimi attacchi e affondamenti che compromettono seriamente i rifornimenti delle nostre forze. Il 2 dicembre, ascoltando il bollettino di guerra trasmesso dalla radio italiana, apprendo dell’affondamento del cacciatorpediniere “Alvise da Mosto”, avvenuto dopo un’eroica azione del suo Comandante, Capitano di Fregata Francesco Dell’Anno, intervenuto in difesa della motocisterna “Mantovani”.  E’ proprio la nave che ci scortó durante la navigazione verso la Spagna, nell’ottobre del 1936. La stessa settimana ascoltiamo preoccupati la dichiarazione di guerra all’Asse da parte degli Stati Uniti, in risposta all’attacco del Giappone di domenica 7 dicembre. Penso alle esigue forze dei nostri reparti  dispiegati in Patria, nei Balcani, in Africa e persino in Russia! Come potremo affrontare l’enorme potenza industriale dell’America, quando già’ non siamo in grado di tener testa agli Hurricane e difendere i nostri convogli nel Mediterraneo. Intanto le pattuglie avanzate del nemico si affacciano a El-Agheila ma ne sono respinte, la situazione è confusa ed il Comando decide di arretrare le forze per riorganizzarsi. Riceviamo l’ordine di ripiegare al campo di El-Nofilia ad Ara del Fileni dove arriviamo il 20 di dicembre. Facciamo appena in tempo a rifornire gli aeroplani quando dobbiamo partire su allarme per respingere l’attacco di quattro Blenheim in volo radente che per fortuna non colpiscono alcun obbiettivo importante. Durante la settimana siamo continuamente in volo sulla Via Balbia a protezione delle truppe che stanno arretrando su El-Agheila. Passiamo il Natale a El-Nofilia e, dopo che le nostre forze ci hanno sorpassato nella ritirata verso Ovest, riceviamo l’ordine di ripiegare su Sorman con il compito di proteggere le nostre navi ed il porto di Tripoli. Partiamo facendo il primo scalo al Uadi Tamet e proseguiamo in giornata per Misurata, un volo a bassa quota, di protezione al traffico costiero, sostiamo in attesa dei nostri specialisti che ci raggiungono il giorno dopo via terra. Decolliamo da Misurata ed atterriamo infine a Sorman con i pochi aeroplani rimasti efficienti. Tutto sommato l’obbiettivo dell’offensiva britannica e’ fallito, le nostre forze, prudentemente raggruppate, non hanno subito grandi perdite. Durante la prima metà di gennaio del 1942 scortiamo le navi ed i convogli che trasportano i nostri rifornimenti e garantiamo le solite crociere di protezione del Porto di Tripoli. Gli ultimi convogli arrivano senza essere disturbati. Si dice che sia conseguenza dello sforzo impiegato in Oriente dai Britannici per fronteggiare le avanzate giapponesi. Ci attendiamo una nuova offensiva delle nostre forze ed il Gruppo si riassesta e, con l’arrivo dei rifornimenti e ricambi, gli specialisti rimettono qualche aeroplano in servizio. Un giorno partiamo in tre per una scorta ai mercantili isolati provenienti da Taranto. Le navi erano solite procedere verso Sud per circa 700 chilometri, in modo da passare distanti da Malta, per poi accostare con una prua di  215º, verso il porto di Tripoli. Quando iniziamo il rullaggio il Capopattuglia, riscontra una bassa pressione dell’olio motore e rientra. Mi ritrovo a dover guidare la pattuglia con gregario un Sottufficiale. Decolliamo alla volta di Tripoli, mantenendo mille metri di quota. Sul porto viriamo a Nordest per iniziare la ricerca del naviglio. Dopo circa un ora decido di portarmi sulla direttrice Est-Ovest ed attendere le navi, quando il gregario si avvicina ed a segni mi comunica che ha problemi al motore. Sempre a gesti, gli dico di rientrare, sono incerto se e’ il caso di accompagnarlo. Decido di portare avanti la missione e lo seguo con angoscia mentre si allontana. Poco dopo avvisto le navi in avvicinamento, le raggiungo e, descrivendo degli “otto” sopra di loro, le seguo. A un tratto scorgo provenire da Ovest una scia sottile che viaggia velocemente verso la nave di testa: un siluro! Mi rovescio e picchiando, sorvolo il vascello per attrarre la sua attenzione e mitraglio nella direzione di provenienza del siluro. Riprendo quota e vedo che la nave ha compreso il segnale, vira rapidamente, sottraendosi alla minaccia. Scrutando il mare riesco ad avvistare il periscopio del sommergibile, scendo e lo mitraglio ripetutamente, si immerge e sparisce. Quando torno in quota, noto che l’indicatore del carburante e’ pericolosamente basso. Penso per un attimo di lanciarmi vicino alle navi ma non me la sento di abbandonare un aeroplano tanto prezioso per il nostro Gruppo. Decido di rischiare e dirigo su una rotta che penso sia la più diretta per intercettare la costa: quando la sorvolo, il Televel indica zero da un pezzo. Scorgo a sinistra la linea costiera che piega verso Sud, è l’inizio del golfo di Sirte, vuol dire che sono finito quasi su Misurata. Il vento deve avermi spostato ad Ovest. Ancora qualche minuto e sono in grado di arrivare a terra! Senza diminuire quota, passo sulla spiaggia, vedo il campo di Misurata alla mia destra, ad una quindicina di chilometri; mantengo quota fino ad arrivarci sopra e quando sono in virata per iniziare l’avvicinamento, il motore pianta. Continuo a virare e scendere finche’ le ruote toccano la sabbia, un piccolo sobbalzo e il C.R. 42 si ferma non molto lontano dalla linea di volo. Rimango seduto al posto di pilotaggio con la testa appoggiata alle mani, ringrazio il Padre Eterno e penso ai miei cari che hanno rischiato di rimanere da soli; un vento piu’ contrario, qualche grado in prua piu’ a sinistra e sarei finito nel golfo e poi … “in mare! Chiedo allo specialista di rifornire il velivolo e annotare i litri di carburante che versa nel serbatoio: mi comunica di aver rifornito fino al “tappo” ed aver introdotto 301 litri, la capacità indicata nel manuale di manutenzione del velivolo riporta una capacita’massima di 305 litri! Ho volato per due ore e quaranta minuti, il volo più lungo della mia vita. Da quel giorno ho cominciato a giocare alla lotteria il “96”, il numero della mia Squadriglia al 4° Stormo ed il 301 ma non ho mai vinto niente, si vede che quel giorno ho “consumato” tutta la mia fortuna e … la “benzina”! Al pomeriggio rientro a Sorman, impiego un’ora e venti minuti, mi sembrarono brevissimi. Al campo ritrovo il gregario che era rientrato a causa di una valvola bloccata. I colleghi mi appioppano subito il nomignolo di “Lindbergh” il che tutto sommato non mi dispiace. Prima della fine di gennaio, le nostre forze riprendono l’offensiva costringendo i britannici a ritirarsi fino alla linea di Al-Gazala. Le crociere di protezione e vigilanza sul porto di Tripoli continuano, arriviamo anche a tre o più sortite al giorno. Il 7 febbraio apprendiamo che l’Oasi di Gialo è riconquistata da paracadutisti tedeschi, un successo in omaggio al caro Gardelli e allo sforzo della 393ª Squadriglia dello scorso novembre. In marzo ci giunge la triste notizia della morte di S.A.R. Amedeo di Savoia duca d’Aosta, la sua scomparsa e’ stata dignitosa come lo fu la sua vita.

Il Fiat G50
A fine aprile 1942, il Magg. Michele Camarda assume il comando del nostro Gruppo e poco dopo inizia il passaggio sui Fiat G. 50. I velivoli ci vengono ceduti dal 12º Gruppo, rimpatriato da Castelbenito senza i loro aerei. Dopo quasi un anno di operazioni, il totale dei nostri velivoli operativi, inclusi i C.R. 42, sale a 51. In giugno, ad un anno dal passaggio sul C.R. 42, mi ritrovo cosi’ a volare sul Fiat G. 50. Il suo nome e’ “Freccia”, i piloti preferiscono chiamarlo “Gigetto” e, dopo alcune funeste “autorotazioni”, e’ soprannominato “ferro da stiro”! E’ poco più veloce del C.R. 42, monta lo stesso motore ma ha il vantaggio della minore resistenza propria del monoplano a carrello retrattile. Due consigli dei piu’ anziani mi facilitano la transizione “Non ridurre mai la velocità sotto i 130 chilometri all’ora e non “strappare” la cloche durante l’acrobazia o il combattimento, altrimenti vai in autorotazione! Per uscire della vite non basta centrare i comandi ma devi dare anche piede opposto alla rotazione e ricordati di rimettere con dolcezza”. Mi ambiento subito e dopo due ore di volo parto per le prime missioni operative. Il G. 50, grazie all’assenza dell’ala superiore dei biplani, ha una buona visibilità in avanti ed in alto ma e’ limitata in coda, per la fusoliera molto alta. Per la prima volta volo su un aereo completamente “metallico”, mi da una sensazione di solidita’. Sembra valido sia per l’acrobazia che per la “pattuglia acrobatica” purche’  il Capopattuglia abbia l’accortezza di non essere troppo brusco sui comandi che costringerebbe i gregari a manovre piu’ ampie, con il rischio di sfilarsi o finire in autorotazione.

L’avanzata verso El-Alamein e la disfatta
Intanto le nostre forze, assieme all’alleato tedesco, continuano ad avanzare ed in luglio del 1942 incalzano gli inglesi davanti al El-Alamein. I contrattacchi sono sempre piu’ frequenti e, nella notte del 7 luglio, il campo di Abar-Nimeir, in territorio egiziano, dove e’ schierato il 50º Gruppo di “assaltatori” del maggiore Vossilla, viene sorpreso da un attacco degli autoblindati nemici. L’attacco viene respinto ma ben sette C.R. 42 finiscono distrutti. Il Comando subito dopo ci ordina di prelevare tutti i C.R. 42 efficienti e trasferirli ad Abar-Nimeir. Appena la SRAM (Servizio Riparazioni dell’Aeronautica Militare) ha riparato gli aerei, partiamo di tutta fretta per il campo K3 di Bengasi, facendo scalo al Uadi Tamet. Il giorno dopo gli specialisti degli S.79 della 174ª Squadriglia ci riforniscono di carburante, dopo uno scalo a Bu-Amud, giungiamo a mezzogiorno ad Abar-Nimeir, dove consegniamo i velivoli al 50º Gruppo. Partiamo in giornata con un camion per Fuka e qui ritrovo alcuni amici del 4° Stormo, sono entusiasti dei nuovi Macchi 202, una macchina splendida.  Il giorno dopo saliamo su un S. 82, atterriamo a Marsa Matruk per consegnare alcune casse ed infine, dopo due ore di volo, giungiamo a Derna, in Libia. All’alba del giorno dopo decolliamo con un Ca 309 Ghibli, della 104ª Squadriglia del 1º Gruppo A.P.C. (Aviazione di Presidio Coloniale), per il campo K3 di Bengasi, da dove ripartiamo subito dopo il rifornimento. Siamo in volo da poco quando sentiamo vibrare il motore destro e l’aereo vira tornando all’atterraggio. Gli specialisti della 174ª Squadriglia si danno da fare e individuano l’avaria, tre ore dopo atterriamo a Sirte per un altro rifornimento. L’ultima tratta si svolge senza intoppi e arriviamo a El-Mellaha al pomeriggio. Il giorno dopo raggiungiamo Sorman per via terrestre, completando quasi quattromila chilometri in poco più di tre giorni. Le operazioni dell’Asse riprendono l’ultimo giorno di agosto ma l’insufficienza di mezzi meccanizzati e le scarse riserve di carburante comportano il ripiegamento del 5 settembre. L’appoggio degli Stati Uniti comincia a farsi sentire e permette agli inglesi di rafforzare le unità terrestri ed aeree dell’8ª Armata che avanzano verso Ovest. La RAF impiega giornalmente circa 700 aerei e le forze di Montgomery costringono inesorabilmente al ripiegamento le forze dell’Asse. Malta ora puo’ essere rifornita e le conseguenze sono che quasi la metà dei convogli con armi e carburante per la Libia viene affondato. Il nostro Gruppo rinforza le operazioni di scorta ai convogli che fanno la spola con la “quarta sponda”, garantendo la difesa aerea per mantenere operativo il porto di Tripoli. Intanto la disponibilità di mezzi e materiali permette ai britannici frequenti operazioni di sbarco di “commandos”. Per neutralizzarli, tutti i giorni spostiamo una pattuglia a Castelbenito per la ricognizione costiera fra Zuara e Tripoli. Mentre le nostre forze ripiegano per la seconda volta a El-Agheila, l’8 novembre le armate combinate degli Stati Uniti e dell’Inghilterra sbarcano in Algeria e nel Marocco francese. Il 21 novembre partiamo su allarme per proteggere il porto di Tripoli e al ritorno veniamo radunati al Comando: lo Stato Maggiore ha disposto il nostro rimpatrio inmediato, insieme a tutto il materiale. In giornata concentriamo gli aeroplani ancora efficienti a Castelbenito. Siamo trenta piloti, ci restano dieci aeroplani e pertanto molti di noi saranno costretti a tornare con un aereo da trasporto, assieme agli specialisti. Viene sorteggiato chi rientrera’ pilotando un G. 50, non sono tra i fortunati, finisco su un trimotore, li dentro ci sentiamo inermi e vulnerabili: la superiorita’ aerea degli intercettori della RAF è una realta’, gli abbattimenti, gli ammaraggi di emergenza e gli aerei trasformati in colabrodo, fanno oramai parte del quotidiano. Il giorno prima un CANT Z506 è stato abbattuto sulla rotta per Marsala mentre, sulla rotta inversa, dieci S. 82 sono stati attaccati da tre Beaufighter e quando sono atterrati a Tripoli, a bordo c’erano 11 morti e 22 feriti. Il 23 novembre (1942), giorno della nostra partenza, un S.75 è dichiarato disperso, mentre un CantZ 506 è costretto all’ammaraggio al largo di Sfax. Partiamo a bordo di in un S.82 del 45º Stormo di Trasporto, che vola per la prima ora a pelo d’acqua, salendo poi a cinquecento metri. Dopo tre ore e mezzo di volo atterriamo a Castelvetrano senza essere disturbati.

Scuola Caccia, Gorizia
Rientrato in Patria dopo quasi un anno e mezzo di permanenza in zona di guerra, in uno dei peggiori teatri operativi della Seconda Guerra Mondiale, il 160º Gruppo viene trasferito sull’aeroporto di Perugia. Si dice che questo Reparto dovra’ essere trasformato in un Gruppo di Caccia formato da velivoli imbarcati sulla portaerei “Aquila”, prevista nei piani dello Stato Maggiore. A noi piloti viene concessa una una breve licenza, cosi’ prendo il treno per Genova dove mia moglie e mio figlio sono ospiti di mia madre. Il viaggio in treno è lentissimo, ci fermiamo spesso per dare la precedenza ai convogli che vanno al sud con le truppe e materiale bellico. Per due volte dobbiamo scendere dal convoglio a causa di un allarme aereo ma non siamo attaccati. A Roma scendo e mi reco al vicino Ministero a trovare un mio amico, un Tenente Colonnello, per chiedergli di essere assegnato al 4° Stormo, lui mi spiega che lo Stormo rientrerá a Campoformido nei primi mesi del anno prossimo ma senza velivoli. Il riequipaggiamento durerà parecchi mesi, “A Gorizia, alla Scuola Caccia” aggiunge “c’e’ gran bisogno di piloti esperti. Tua moglie e’ di quelle parti, non ti piacerebbe tornare?”. Accetto, e lo stesso pomeriggio riprendo il treno per Genova. Arrivo al mattino a Genova Brignole e corro a casa di mia madre, sono quindici mesi che non vedo la mia famiglia. Le conseguenze degli attacchi aerei alleati sono evidenti: piazza De Ferrari ridotta a macerie, il teatro Carlo Felice crollato, le chiese di Santo Stefano, della Consolazione, di San Siro, tutte distrutte. Parto dopo due giorni per Gorizia, dove come prima cosa vado alla ricerca di un appartamento per ospitare mia moglie e mio figlio. Prendo in affitto una casa in via delle Officine, accanto alla Stazione Montesanto, era destinata al personale ferroviario e si trova a nord della citta’, in una zona periferica con un’ampia vista sul Monte Santo, Sabotino, Oslavia. Il 15 gennaio del 1943 con la nomina fresca di Tenente, mi presento in aeroporto. Il Comandante della Scuola Caccia è il Ten. Col. Ernesto Botto, piu’ noto come “Gamba di Ferro” e Medaglia d’Oro per le sue azioni in Spagna. È al suo primo Comando dopo essere rientrato dall’Africa in seguito alle ferite riportate il 9 dicembre 1940 in un incidente automobilistico, occorsogli dopo il rientro da un combattimento, lo stesso nel quale e’ stato abbattuto e fatto prigioniero Biffani. Il Comandante in 2ª è il Magg. Enrico Stasi e il Direttore dei Corsi il Cap. Luigi Monti. Come responsabile del Reparto Volo ritrovo Vittorio Pezzè, ora Capitano, mentre fra gli istruttori, Raffaele Chianese, Mario Bandini e Vittorio Romandini. Quanti posti vuoti però! Sono caduti Corsi, Renzi, Leotta, Larsimont, Oblach e fatti prigionieri Piragino, Biffani, Viglione e tanti altri. Gli aerei della Scuola sono il Fiat C.R. 32, il C.R. 30 e qualche Fiat G.50 e Macchi 200. Con Pezzé parliamo a lungo delle esperienze “africane” e delle sorti della guerra; mi assegna infine un volo su uno dei C.R. 32 della Scuola. Il 18 gennaio (1943), dopo tre anni, sono di nuovo in volo sul campo di Gorizia, con lo stesso aereo di allora, finalmente sotto di me non ho piu’ la sabbia del deserto! Compio qualche circuito intorno al campo, una coppia con Pezzè e poi vado in volo con altri istruttori. Una settimana dopo inizio i voli di istruzione con gli allievi. Sono oltre un centinaio tra Sergenti e Sottotenenti, quest’ultimi in gran parte del corso Vulcano, appena sfornati da Caserta, con alle spalle 60 ore scarse di volo, effettuate presso la Scuola di Volo di Capua, sul Breda 25 e Ro. 41. Ogni istruttore ha mediamente sei o sette allievi. Si comincia al mattino presto, prima si discute sulle manovre che si faranno in volo e poi si inizia col doppio comando, circuiti, atterraggi, acrobazia, coppia semplice, coppia acrobatica e così via. Quando capita qualche allievo un pò “piu’ lento” proviamo ad assegnarlo ad un altro istruttore ma l’ultima parola spetta a Pezzè. Si prende sempre in carico gli allievi con qualche problema. E’ capace di sfruttare al massimo i tempi d’istruzione: con intervalli di un quarto d’ora, fa partire fino a sei allievi contemporaneamente ai quali assegna diverse zone “di lavoro”. Lui decolla con il primo, effettua la missione di addestramento, lo guida all’atterraggio e poi cambia zona e va a prendersi il successivo e cosi’, dopo due ore, atterra insieme all’ultimo. Una volta a terra li riunisce ed a ciascuno elenca gli errori commessi e suggerisce le correzioni necessarie. Non l’ho mai visto prendere un appunto in volo, eppure non sbaglia mai. Ha una grande abilità nell’individuare i difetti  dell’allievo. Quando vado in volo con un allievo spesso si avvicina al mio aereo “Costigliolo, sta attento! Il ragazzo deve migliorare l’uso del compensatore (il trim)!” oppure mi dice “Non perderlo d’occhio a bassa quota, questo tende volare più basso di te!”. L’attività è intensa, una media di quattro voli al giorno e piu’, e’ faticoso ma nessuno di noi si lamenta. Pensiamo ai nostri camerati che si logorano e muoiono in battaglia, sul fronte africano, in Russia, nei Balcani e nel Mediterraneo. Gli allievi sono giovani e spensierati, felici di aver finito l’Accademia, ascoltano attenti quando parliamo di pattuglie acrobatiche, di combattimenti e si impegnano per acquisire il “manico” che ha sempre distinto i piloti “usciti” da Gorizia. Al rientro dal volo qualcuno esclama “Xe il manigo che conta, sior Tenente, non è vero?”, “… e sì”, rispondo, “xe sempre quel”. Il “manigo” invece non basta: il nemico manda migliaia di “brocchi” contro i nostri “manici” e vince. Le nostre forze si ritirano dall’Africa e della Russia e si concentrano nel sud per la difesa del territorio nazionale. A maggio la Scuola cessa di funzionare per mancanza di carburante. In giugno cade Pantelleria e in luglio i primi contingenti alleati sbarcano in Sicilia. Una settimana dopo, il 19 luglio, gli alleati bombardano Roma. Meno di sette giorni dopo, il Duce é messo in minoranza dal Gran Consiglio Fascista che approva l’ordine del giorno che riassegna al Re il comando delle Forze Armate. Il 26 luglio ascoltiamo alla radio la notizia che Mussolini e’ stato obbligato a dimettersi ed e’ arrestato. Nuovo Capo del Governo è il Maresciallo Badoglio, lo stesso che e’ stato esonerato dall’incarico di Capo di Stato Maggiore dopo la disfatta della campagna greca. Continuo a presentarmi all’aeroporto, ma c’è poco da fare e la situazione politica si aggrava. Alla radio sento Badoglio affermare che –“…la guerra continua e l’Italia resta fedele alla parola data”.  Sono in molti a credere che la caduta di Mussolini avvicini la fine della guerra; i bombardamenti alleati invece continuano sempre piu’ intensi, il peggio deve ancora per venire!

L’8 settembre 1943
Come tutti gli italiani, anche noi siamo colti di sorpresa ed impreparati dal proclama dell’8 settembre 1943. L’armistizio dichiarato dal Re e diffuso con un messaggio “registrato” del Gen. Badoglio, crea lo scompiglio generale.
Tutti gli alti Ufficiali che abbandonano Roma per il Sud, fanno credere che la guerra sia finita ed invece il peggio deve venire! I tedeschi in pochi giorni incrementano le forze dislocate in Italia ed in breve controllano tutto il Paese ancora  non liberato dagli Alleati. Al Nord, il Maresciallo Von Richtofen requisisce tutto il materiale dell’Aeronautica Italiana e ordina al suo personale di mettersi agli ordini della Luftwaffe, sotto minaccia di deportazione in Germania. Contemporaneamente 650.000 tra operai e soldati italiani vengono deportati in Germania per aumentare la forza di lavoro del Reich. A Gorizia, i piloti comandati dal Ten. Col. Botto si rifiutano di essere inglobati dalla Luftwaffe e per circa una settimana la situazione rimane estremamente delicata, si rischia una deportazione di tutto il Reparto. Tutti noi siamo pronti al peggio e la tensione e’ altissima, come tanti altri anch’io ho pronta una valigetta con le cose essenziali da portare con me. Frattanto Mussolini viene liberato dai tedeschi sul Gran Sasso, dove era tenuto prigioniero, ed ora la situazione si presenta leggermente piu’ favorevole. Nella parte d’Italia sotto controllo tedesco, si vanno organizzando gruppi che provengono dalle Forze Armate o da civili che si affiancano ad una o l’altra forza belligerante. Il Generale Aldo Urbani che ha assunto il 16 settembre 1943 l’incarico di “Commissario per l’Aeronautica”, nomina il 24 settembre Sottosegretario di Stato dell’Aeronautica un uomo provvidenziale, il Ten. Col. Botto. Nell’Arma il carisma di Botto e la sua influenza sul personale gli hanno fatto guadagnare il rispetto di tutti. La sua grande forza di volonta’ che gli ha permesso di riprendere a volare senza una gamba, la Medaglia d’Oro al Valor Militare concessagli, unita alla propaganda del Regime, hanno creato in lui il mito del pilota eroico e leggendario. Queste qualita’ lo aiuteranno nell’incarico di ricompattare il personale dell’Aeronautica del Nord, disorientato dal proclama di Badoglio. Si mette subito al lavoro per riorganizzare l’Aeronautica con nuovi mezzi e piu’ efficienza dei Comandi Superiori. Ha avuto uno scontro molto duro con il Maresciallo Von Richtofen, dopo che questi aveva espresso l’intenzione di opporsi alla ricostituzione di uno Stato Italiano e delle sue Forze Armate, tanto che aveva giá nominato, quale Comandante della “Italianischen Jagdflieger”, il Gen Muller. Le concessioni “strappate” da Botto sono determinanti per evitarci ulteriori umiliazioni. Al suo rientro della Germania, il 14 ottobre 1943, lancia per radio un appello a tutti gli aviatori italiani per continuare a combattere contro chi “bombarda” le nostre città: nasce così l’Aviazione Nazionale Repubblicana (A.N.R.).

Con l’Aviazione Nazionale Repubblicana
Nel mese di gennaio del 1944 mi viene ordinato di presentarmi a Venaria Reale. Il personale di volo che si presenta supera le disponibilita’ dei velivoli della nuova Arma e cosi’ a molti piloti non e’ possibile assegnare un impiego di volo. Viene prescelto un gruppo iniziale di trecento piloti da Caccia, dando priorita’ a quelli piu’ giovani e con le abilitazioni sui velivoli piu’ “moderni”, il Reggiane 2005, il Macchi 205 e il Fiat G55. Ci comunicano che, in base a un accordo con la Lufwaffe, e’ previsto un corso di riqualificazione per gli altri piloti e che si svolgera’ nell’aeroporto di Liegnitz, in Polonia, al quale sarebbero seguiti altri corsi in Germania. Le pesanti nevicate dell’inverno ed il progressivo rafforzamento degli Eserciti Alleati e l’avanzamento del fronte, impediscono di realizzare diverse di queste iniziative. Intanto viene costituita la Squadriglia Complementare di Montefusco e poco dopo, il suo Comandante, il Cap. Giovanni Bonet, e’ abbattuto ed il nome della Squadriglia viene cambiato in “Montefusco-Bonet”. Ho 34 anni, non sono piu’ giovane, almeno dal punto di vista del pilotaggio, e non avendo il passaggio sui caccia moderni, vengo destinato come istruttore a Venaria, nella Squadriglia Scuola di 1o o 2o periodo, non riesco pero’ a togliere le stellette e la corona dalla mia uniforme e nessuno sembra aver da ridire. Con il passare dei mesi la situazione sembra peggiorare e decido di trasferire la famiglia a Treviso, una cittadina apparentemente piú tranquilla e piu’ vicina a Gorizia e dove la mia famiglia puo’ contare sull’aiuto della famiglia di Beppi Biron. Frattanto a Gorizia, la mia casa di via delle Officine e’ stata occupata e utilizzata in piu’ occasioni dai tedeschi che vi hanno piazzato un pezzo anticarro da 88 millimetri e mitragliatrici pesanti per colpire i partigiani sul Sabotino, sul Monte Santo, e sul San Gabriele. Nonostante la mia distanza dalla famiglia, riesco far pervenire ai miei cari qualche pacchetto con generi alimentari per alleviare la “dieta” imposta dal razionamento. La tranquillitá di Treviso, non dura a lungo. Il 7 Aprile 1944, un Venerdí Santo, un massiccio e inspiegabile attacco aereo alleato, provoca 2.000 vittime e danni enormi. Il bombardamento che non sembra avere obiettivi militari, consiglia lo sfollamento della mia famiglia, miracolosamente scampata alle bombe, nella minuscola localitá di San Biagio di Callalta, distante 12 Km da Treviso. Con le mie conoscenze, intercedo presso la guarnigione tedesca e riesco ad ottenere la estensione della rete elettrica fino alla nuova residenza della mia famiglia. Il prudente trasferimento evita fortunatamente il secondo bombardamento di Treviso del 14 maggio, ancora piú violento del precedente, anche se con un minor numero di vittime. Questo secondo bombardamento fa cadere l’ipotesi di un errore degli Alleati che avrebbero confuso Treviso con Tarvisio.

“Io non uccido italiani”
Il 1º Gruppo opera da gennaio in Friuli e la Squadriglia Montefusco, rimasta sola a difendere il Piemonte, nel mese di giugno (1944) viene dislocata a Reggio Emilia e incorporata al 1º Gruppo caccia “Asso di Bastoni”, al comando di Adriano Visconti. Intanto la carenza di carburante limita l’attivita’ della Scuola di Volo e cosi’, al sabato, con i mezzi di fortuna che riesco a rimediare, torno a San Biagio per passare qualche ora con i miei. Un giorno di luglio (1944) sono arrivato da poco e sono accanto a mio figlio Furio nel giardino di casa mentre sta svolgendo i compiti di matematica. Gli sto dando dei suggerimenti quando irrompe una banda di partigiani armati di mitra, avvisati da qualcuno della mia presenza. Tra le urla di mia moglie e della padrona di casa spaventatissime, mi spingono nella cucina con le braccia alzate. Mi perquisiscono, mi tolgono la pistola e cominciano subito con le domande “Come ti chiami, dov’e’ il tuo Reparto, …” . Quello che fa le domande mi sembra un volto familiare e anche lui mi guarda con un’aria strana. Ha qualche esitazione poi si fa pensieroso, rimane qualche frazione di secondo in silenzio, si volta verso quello che sembra il suo “aiutante” gli sussurra qualche parola nell’orecchio, il tono della sua voce cambia “Ma tu non sei … “ Improvvisamente come un lampo la memoria mi si illumina, tutto mi e’ chiaro: a Venaria Reale, a noi “vecchi” era stato assegnato il compito di effettuare dei rastrellamenti per individuare e catturare i partigiani ed in una di queste azioni ho catturato lui insieme ai suoi compagni.  Erano tutti dei ragazzi e lui il “capo”, consegnarli ai tedeschi, voleva dire mandarli a morte sicura. Non me la sentivo “Come ti chiami?” gli ho chiesto e lui tutto impaurito “Mosca, e’ il mio nome di guerra” ormai era convinto che fosse giunta la sua ultima ora. “Senti Mosca,” gli risposi “torna dalla mamma. Io non uccido italiani!” e li lasciai andare tutti dopo averli disarmati. Ora sono io “dall’altra parte”, lui e’ molto serio in volto, temo il peggio, poi sembra rasserenarsi “Adesso siamo pari!” sono le poche parole che gli escono dalle labbra. Si infila nella cintola la mia pistola che teneva ancora in mano, si volta ed esce senza proferire altra parola, seguito dai suoi. Quello fu l’ultimo giorno che indossai la divisa e da allora, quando non ero in servizio, usai solo gi abiti borghesi.

“Finirai prima tu la benzina che io l’albero!”
Un giorno di febbraio (1945) sono in bicicletta con mio figlio Furio seduto sulla canna e percorro la via Callalta in direzione di Treviso, quando, grazie al mio occhio allenato dai combattimenti aerei, individuo immediatamente un puntino sull’orizzonte avvicinarsi velocemente a bassa quota, riconosco la sagoma di un caccia alleato. Si tratta sicuramente di una missione di “caccia libera” che gli Alleati si possono permettere grazie alla loro superiorita’ aerea. Sono operazioni di disturbo, non “paganti” dal punto di vista militare ma che hanno un effetto psicologico sulla popolazione allo scopo di indebolirne il “morale”. Getto prontamente la bicicletta in uno dei due fossati che corrono lungo la strada e mi stendo dietro un platano. Siamo solo noi due, io con mio figlio, nel raggio di qualche chilometro ed ho l’impressione che il pilota ce l’abbia proprio con noi. Vedo che vira in salita e poi torna indietro, il sangue mi si gela nelle vene, seguo la manovra finche’ lo vedo allinearsi con la nostra posizione, poi ritiro la testa dietro la sagoma dell’albero, con il mio corpo sopra quello di Furio. Gli dico di non muoversi ma non ce n’e’ bisogno, qualche frazione di secondo dopo sento i proiettili delle mitragliatrici colpire il suolo e immediatamente dopo centrare il tronco con colpi secchi, quasi contemporaneamente giunge il rumore degli spari ed il rombo potente del motore che ci sorvola a pochi metri, a tutta manetta. Il pilota non e’ ancora contento, vira nuovamente in salita e si ripresenta da una posizione diversa, si accanisce proprio con noi! Stessa scena, stessi colpi, dall’albero si staccano alcuni pezzi di tronco, la potenza di fuoco di otto mitragliatrici di quel calibro, fa rabbrividire! Possibile che io sia un bersaglio cosi’ importante? Comincio ad essere impaurito perche’ mi viene il dubbio che l’albero non sia sufficientemente resistente. Per una terza volta risale minaccioso e poi picchia in virata cambiando ancora direzione. Temo sia la fine! Altra raffica ancora piu’ lunga, l’albero sussulta e veniamo coperti dalla terra che i proiettili sollevano. Dopo il rombo alzo la testa e lo vedo in cabrata ma questa volta sembra si allontani. Mi alzo in piedi e rivolgendomi verso di lui esplodo tutta la mia rabbia “Maledetto!, Continua pure, finirai prima tu la benzina che io l’albero …!” Pochi giorni dopo un’altro caccia alleato attacca la nostra casa di San Biagio, accanto ai binari della ferrovia, la sua  bomba sfiora il tetto e cade in un terreno arato scoppiando senza conseguenze. L’aumento degli attacchi a obiettivi civili delle missioni di “caccia libera” e’ un sintomo che la guerra volge verso il termine. Dopo la bomba caduta a breve distanza dalla nostra casa e considerato che la vicinanza della ferrovia e’ un rischio, decido di traslocare la famiglia a Rovaré, in via Ponte di Piave, da dove le forze tedesche avevano già’ iniziato a ritirarsi. All’inizio di maggio del 1945 i primi carri armati Sherman entrano a Rovaré e la popolazione li accoglie festosamente presagendo la fine imminente della guerra. I militari alleati vengono ricevuti con il lancio di fiori e loro ricambiano con i primi cioccolati del “american way of life”. Mio figlio Furio, allora undicenne, influenzato dai discorsi che sentiva a casa nostra e dalle esperienze dei bombardamenti e dei mitragliamenti, con l’incoscienza della sua eta’, compie quello che fu probabilmente l’ultimo “atto di guerra italiano” contro gli alleati: in un mazzetto di fiori nasconde un sasso e lo scaglia contro un carrista. Fortunatamente il militare non reagisce o forse neppure si accorge e tutto finisce lì. Per uno scherzo del destino, poche settimane dopo Furio viene salvato proprio grazie agli Alleati. Mentre siamo ancora a Rovarè, si ammala di osteomielite, una malattia fino a poco prima mortale e che si puo’ curare grazie alla recente scoperta della penicillina, in dotazione solo ai corpi sanitari delle truppe di occupazione. Gli Alleati concedono la penicillina anche ai civili italiani ma le dosi sono limitatissime e ci vuole l’autorizzazione del sindaco di Treviso. Il medico condotto dice che servono tre milioni di unitá di penicillina e consiglia che sia mia moglie ad andare a supplicare il Sindaco di concedere l’autorizzazione e cosi’, dopo quindici chilometri  per l’andata ed altrettanto per il ritorno, arriva a casa con un pentolino contenente le preziose fialette, avvolte nel ghiaccio oramai sciolto. Furio ha salva la vita!

La guerra è finita
La guerra e’ finita ma le tribolazioni non lo sono! Il futuro e’ incerto. L’Italia e’ divisa in due, i “vincitori ed i vinti”, i “buoni ed i cattivi”, anche nell’Aeronautica vigono le due categorie. Come la stragrande parte dei piloti, non ho mai fatto politica, sono entrato in Aeronautica perche’ amavo il volo, mi sono trovato al Nord non per mia volonta’ e comunque non mi e’ stata data possibilita’ di scelta. La mia famiglia era al Nord, avrei dovuto scegliere il Sud e rischiare di lasciarla in balia di possibili rappresaglie? Vengo cosi’  messo in “licenza speciale” e praticamente abbandonato a me stesso. Trasloco nuovamente, vado ad abitare con la famiglia a Treviso, al vicolo Carlo Alberto, nella stessa casa da dove eravamo sfollati dopo il bombardamento del 7 aprile e che fu seriamente danneggiata dopo il secondo, del 14 maggio. La casa e’ di  proprietá del geometra Zambelli che ci affitta un appartamento nonostante sia a conoscenza della mia  situazione economica poco favorevole. Dopo tanta sfortuna, finalmente trovo occupazione insieme all’amico M.llo Versace, ottengo la rappresentanza della ditta Contratto, di Canelli, Asti, produttrice di vini e spumanti di eccellente qualità e lentamente riprendo una nuova vita. Il passato sembra sempre piu’ lontano e irreale.