Guglielmo Biffani

Sono nato ad Ostia il 27 marzo 1915. Ho conseguito il brevetto di motorista civile d’aeromobile nel 1931 a Napoli e nel 1933 il brevetto di pilota civile di primo grado sull’Idro CA100 presso l’unica Scuola di Volo aperta in quel periodo in Italia e precisamente all’Aeroclub di Genova. Qui continuai con i voli di allenamento annuali volando contemporaneamente come motorista e secondo pilota sui Dornier della SANA, Società Anonima Navigazione Aerea con base ad Ostia. Nel ’36 mi arruolai in Aeronautica e fui inviato a Foggia dove conseguii il brevetto militare su Breda 25 e CR 20. Il 1° di agosto del 1936 fui assegnato al 4° Stormo di Gorizia. Mi feci raccomandare per andare a Gorizia ed infatti ci riuscii.Mi assegnarono alla 73^ Squadriglia, sotto la guida di Pezzè, di Renzi e di altri. Mi portarono su loro, cominciammo con la prima coppia e poi sempre avanti con gli allenamenti. Prima di volare sul CR32, provai doppio comando sul CR30 con il povero Corsi, e gli amici mi avevano detto: “Te la passi bene, vedrai quello che ti combina!”. Me l’ha combinata. Mi ha fatto fare il decollo, poi  mi ha detto: “Lascia la cloche”. Ha effettuato una serie di tonneau non so quanti, sul Carso, sul San Michele. Poi mi ha detto: “Andiamo a casa”. Mi ha fatto fare l’avvicinamento e l’atterraggio e poi mi ha battuto una mano sulla spalla dicendomi: “Vai, vai!”. Ho poi volato con Pezzè che mi ha autorizzato ad effettuare il passaggio sul CR32. A Gorizia conobbi Silvio Salvatori un toscano che aveva una fidanzata pure lei toscana. Durante un trasferimento a Roma con la pattuglia acrobatica per una manifestazione, mentre sorvoliamo la Toscana, si stacca dalla formazione per andare a fare una puntata sulla casa della fidanzata. Si abbassa troppo e si infila con il CR20 nella finestra dell’abitazione della ragazza. L’aereo finisce proprio dentro la casa mentre le ali rimangono di fuori e, cosa incredibile, non si fa nemmeno un graffio. E’ morto dopo la guerra. Volava con quegli aerei che irrorano i campi ed ha urtato nei cavi di una linea elettrica. Era un pilota straordinario, credo non ce ne siano stati molti come lui. Ricordo che faceva i tonneau sfiorando letteralmente gli hangar del 4° Stormo. Puntava sulla zona della 73^ Squadriglia, dove eravamo noi, verso i tre hangar vicino alla strada arrivando dall’Isonzo e sembrava ci finisse addosso. (Anche Ugo Corsi era eccezionale. Ah, Corsi, Corsi, Corsi, non ce ne sarà mai più uno uguale. Non ce ne sarà mai più uno come lui!. Sto criminale, decollava, riduceva motore e si metteva con la coda per terra che cosi’ non staccava e girava dentro l’aeroporto. Merna non è grande, lo sai, ma a lui bastava.) 
Anche Ugo Corsi era eccezionale, non ce ne sarà mai più uno uguale. Spesso decollava, riduceva motore, si metteva con la coda per terra senza staccarsi dal suolo e girava dentro l’aeroporto non certamente grande ma a lui bastava. Non toccava terra, la sfiorava. Si sosteneva sul cuscino d’aria creato dall’elica sotto l’ala. Allora questa tecnica non si conosceva. Aveva una padronanza senza uguali nel’eseguire la vite: volava lungo l’Isonzo sui 400/500 metri ed improvvisamente entrava in vite. Lo si vedeva scendere girando e ci aspettavamo che terminasse la manovra ed invece continuava ad avvicinarsi sempre piu’ al terreno. Lo vedevamo sparire ancora con il muso basso dietro gli alberi dell’Isonzo e trattenavamo il respiro. Dopo un po’ ricompariva verso Savogna. Rimetteva l’aereo dalla vite nell’avvallamento dell’Isonzo non so a quanto, forse a 20 metri. Era talmente padrone dell’aeroplano che tutto gli veniva con una indifferenza e serenità eccezionale. Corsi era qualcosa di trascendentale, veramente!. Tanto bravo e tanto sfortunato. In Spagna dopo pochi voli verrà abbattuto e dovrà restare 13 mesi in prigionia. 
Credimi, mi ha salvato la guerra. Mi è sempre piaciuto bere: il vino in quantità giuste, a pasto un bicchiere, due bicchieri, e quando capitava un cognacchino, un grappino, una graspa. Ma se fossi rimasto a Gorizia non mi sarei salvato più, non tanto dai colleghi ma dai borghesi. Uno di questi era Gianni Defilippo. Un goriziano, alto, lo chiamavano  “Gianni Flascutta (Fiaschetta). Il pullman  che dall’aeroporto ci portava a Gorizia fermava al bar “Alle Ali” e terminava la corsa in Piazza della Vittoria e ricordo che mi abbassavo, cercavo di non farmi vedere dagli amici che mi aspettavano e che inesorabilmente ti portavano in osteria. Ricordo Sergio Pitassi, aveva un negozio di abbigliamento. Erano tre o quattro fratelli, e lui aveva un bel negozio in Corso. Arrivato in piazza della Vittoria scendevo e andavo in cerca di qualche ragazza. Camminavo e mano, mano mi rinfrancavo quando improvvisamente: “Biffi, … Biffi!” Porca miseria sono rovinato!.”Beh, Biffi, Biffi andiamo a bere un tajut” Poi incontravi quell’altro e diventavamo cinque o sei come minimo. Insomma dopo un’ora ero sbronzo. Veramente sbronzo. E la serata era rovinata. 
Intanto era iniziata la guerra in Spagna. Avevo solo 200 ore di volo ma feci comunque domanda. Mi dissero: “Ma tu sei matto”. Va bene, ero matto ma ci volevo andare. Infatti andai in Spagna, alle Baleari, dove ho totalizzato circa 300 ore di volo, tutte sul mare. 
Nell’estate  del 1937, insieme ad alcuni colleghi piloti del 4^ Stormo di Gorizia, agli specialisti ed alcuni CR32, veniamo caricati su un treno per La Spezia dove ci imbarchiamo su una nave mercantile, destinazione Palma de Maiorca (Mallorca), Spagna. Dopo una sosta a Cagliari di uno o due giorni, dove trovo il tempo per alcuni bagni e tuffi dal ponte della nave, giungo all’aeroporto di Son San Juan, nelle Baleari. Qui oltre ai nostri CR32 ci sono anche gli S79 ed S81. Incontro subito il caro amico Ferrulli, un “buon” pilota oltre che un “bel” ragazzo. Il comandante e’ il tenente D’Agostinis. I colleghi mi raccontano di un divertente episodio, D’Agostinis qualche giorno prima del mio arrivo aveva abbattuto un Potez ed il pilota, salvatosi con il paracadute, arrivato a terra gridava “un buque, un buque!”, voleva una nave per scappare.D’Agostinis poco dopo il mio arrivo viene rimandato in Italia ed a me viene assegnata la sua tuta di volo, ci stavo dentro due volte! 
Un giorno sono in pantaloncini ed improvvisamente c’e’ una partenza su allarme. Sull’ala del CR32 ero solito appoggiare i pantaloni, giubbotto e paracadute. Corro verso l’aereo, indosso il paracadute, non faccio in tempo ad indossare pantaloni e giubbotto che restano sull’ala. Durante la corsa di decollo il giubbotto vola via mentre i pantaloni si mettono meta’ sopra e meta’ sotto l’ala. Su Soller c’era la nostra contraerea ed era proibito passare perche’ avrebbero sparato a chiunque. Penso tra me “… io qua sopra ci passo tanto questi non c’azzeccano mai”. Agito le ali sperando che capiscano che sono uno dei loro ma cosi’ facendo i pantaloni si staccano dall’ala ed a terra cominciano a sparare ai pantaloni scatenando un putiferio. 
Avevamo al campo un telefonista spagnolo di Bunol, un paese vicino, il giorno dopo mi dice: 
“chi ha perso i pantaloni in volo su Soller?”. Rispondo: 
 “io, perche?” 
 “li hanno trovati, ma deve andare a prenderseli” 
Cosi’ vado a Soller dove distillano un’anice eccezionale e passo delle simpatiche ore. 
Dopo D’Agostinis arriva un nuovo comandante, il capitano Pratelli che vuole vedere i suoi piloti come “volano” e li invita a montare su un CR32 senza munizioni ed esibirsi. I piloti fanno a gara per partire per primi e far vedere quanto sono bravi. 
Io dico a Ferrulli  “ … stai buono, aspetta che si consumi la benzina e che l’aereo diventi leggero …”. Ferrulli va in volo per penultimo ed io per ultimo. 
Quando tocca a me, decollo, vado verso il mare, viro basso, basso, torno sul campo e faccio venti, dico venti, tonneau senza interruzione, uno dietro l’altro. Ovviamente i tonneau dovevano essere per forza perfettamente orizzontali altrimenti avrei toccato per terra. Ero talmente basso che all’ultimo tonneau mi trovai davanti un mulino a vento e lo evitai di un soffio. Alla fine i due piloti scelti da Pratelli saranno Ferrulli e Biffani!. Sono gli unici piloti provenienti da Gorizia!. Le differenze con i piloti provenienti da altri aeroporti, Rimini, Torino, ecc. sono enormi. 
Un esempio: siamo a Gorizia ed un giorno ci vengono assegnati i CR42. Il pomeriggio facciamo il passaggio che consiste in un giro campo, decollo, atterraggio e nient’altro. Altro che ambientamento, stalli, ed altre manovre, o ce l’hai il “manico” o non ce l’hai e cambi mestiere. Al mattino successivo arriva Dentis da Torino che porta altri CR42 nuovi per il 4° Stormo. A mensa ci troviamo allo stesso tavolo, non ci conoscevamo prima ed ad un certo punto esclama: 
“Biffi, questa mattina quando atterravo ho visto un CR42 che faceva un looping rovescio, ma chi era?” 
gli dico: 
“a che ora sei atterrato” 
“alle undici” 
“ero io!” 
“ma quante ore hai?” 
“veramente ho fatto il primo decollo ieri sera” 
Dentis e’ rimasto gelato, di ghiaccio! 
Questo voleva dire essere piloti a Gorizia! CR32 o CR42 cambia il numero, cambia la forma, cambia il motore ma l’aeroplano per aria era lo stesso, identico, anzi il CR42 era qualcosa meglio. 
Torniamo alla Spagna, Baleari. C’e’ un allarme, io non ho un aeroplano disponibile e mi infilo in un rifugio. Subito dopo viene dentro lo specialista addetto all’agganciamento del tubo dell’aria compressa agli aeroplani per l’avviamento del motore e strilla: 
“Un avion es sin piloto!” 
Salto fuori, un pilota, il s.ten. Pallavicini, nella fretta s’era messo il paracadute davanti e non riusciva piu’ a sganciarlo. Tutto questo naturalmente in mezzo alle esplosioni delle bombe che cadevano intorno a noi. Gli strappo il paracadute, lo indosso, metto in moto il CR42 e decollo mentre il campo e’ ancora sotto bombardamento. 
Do tutta manetta, o meglio tutta “tacca”, come si diceva allora. La manetta si tirava indietro per dare potenza, a fondo corsa si arrivava a 2200 giri al minuto, c’era poi la “tacca”, superando questa si aumentava di altri 150 giri al minuto. Questo extra di potenza si poteva usare solo in emergenza e per pochi minuti, si rischiava altrimenti di bruciare il motore. Mentre sono in salita vedo ancora i Martin Bomber, bombardieri veloci, e’ una formazione di 28 aerei. 
“Questi sono partiti da Reus, Barcelona e tornano a Reus” dico tra me. La formazione vira verso Ovest, verso Ibiza “Non mi fregate, voi tornate a Barcelona”. Li abbandono e punto cosi’ verso Barcelona, a Nord, sempre tenendo la massima potenza, “tirando” il motore. Se non regge, dico tra me, chiudo gli occhi, spingo la cloche tutta avanti finche’ mi infilo in mare e tutto e’ finito. Meglio cosi’ che un ammaraggio ed una lunga agonia in prigione. 
Ad un certo punto li vedo nuovamente, ” … avevo ragione, … bravo Biffi!”. Saranno passati 40 minuti e sto ancora salendo, saranno circa 6.000 metri di quota.  “Ora vi frego” penso. Gli arrivo addosso, loro rimangono fermi in formazione. Forse non mi hanno nemmeno visto arrivare. Sparo ad uno che “va giu’”, sparo ad un altro e poi dico “Basta Biffi, torna a casa, questi hanno la radio, avvertono la caccia io sono da solo, arrivano i Rata e mi fanno fuori!” oltre tutto ero vicino alla costa. 
Verso la fine del ’37 alloggiavamo in una cascina presso l’aeroporto di Son San Juan, vicino alla stazione radiogonometrica. Una sera vado ad osservare il lavoro degli operatori del gonio che si occupano del rientro radioassistito di un SM 81 che aveva effettuato un bombardamento sul continente. Non e’ tempo brutto, forse qualche nube, comunque l’operatore al radiogoniometro entra in contatto radio, inizia con dei rilevamenti QTE e QDM ma quelli non ne tengono alcun conto e vagano per l’area a nord di Mallorca finche’ dopo circa un’ora di vani tentativi dell’operatore addetto al radiogoniometro, quelli tacciono. Sapremo il giorno seguente che avevano fortunosamente preso terra sull’isola di Menorca, in mano ai repubblicani. Tutti prigionieri, e meno male che ebbero salva la vita. 
Dopo tredici mesi alle Baleari rientro in Italia. Pratelli non voleva mandarmi via ma ero debilitato, non stavo piu’ in piedi, tanto che ero svenuto durante il volo riavendomi  mentre l’aereo veniva giu’ in vite. Facevamo una vita da matti. Eravamo una ventina di piloti e si andava in volo all’alba, le missioni erano pesanti ed oltretutto rinunciavamo al riposo per andare a ballare, bere e divertirci. 
Rientrato dalla Spagna, fui assegnato di nuovo a Gorizia, alla 73^ Squadriglia. Mi misero nella Pattuglia Acrobatica di Remondino come gregario di riserva. 
Poi arrivò Botto, per salire sull’aereo lo aiutava Pezzè, poverino, aveva una gamba sola. Costituimmo una pattuglia in nove, ma non ti dico che razza di programma! Ben 45 minuti di programma. Fuori da una figura, dentro nell’altra, in nove! 
Poco dopo inizio’ la guerra e col CR42 fui trasferito a Comiso da dove si operava su Malta. Tutto da ridere, capirai. Quanta acqua c’era pure li’ ! Una volta con un mitragliamento su Alfar  fui colpito sull’alettone sinistro, che mi rimase bloccato in basso. L’aereo si sarebbe messo a fare un tonneau dietro l’altro e allora ho dovuto contrastarlo e continuare a volare con tutto l’alettone destro in basso, cloche a sinistra,  per compensare quell’altro e rimasi solo. I miei colleghi mi lasciarono perchè pensavano che fossi stato abbattuto. Andai a finire a Catania, perche’ l’aereo “la’ voleva andare”, per me dove andava, andava. Atterrai a Catania, me lo misero a posto e tornai a Comiso. 
In luglio fummo trasferiti in Libia. Ero a Bengasi con tutto il Gruppo e dovevamo partire per un’ azione il pomeriggio. Saremmo andati a El Adem (Tobruk) che era la nostra base operativa. Decollammo e subito dopo il mio motore si mise a vibrare. Tra me dico: “Non posso continuare la missione. Sara’ una candela, un magnete. Torno indietro,faccio sistemare, riparto e li raggiungo”.  Atterrai e mi misero a posto il motore. Era infatti una candela che non funzionava e questo causava le vibrazioni. Il maresciallo Turchi aveva una candela sola, mi sistemo’ subito il motore, era bravissimo. 
Botto era rimasto a terra perchè aveva alcune cose da  sistemare. Gli dissi: 
“Comandante, vado via subito. Li raggiungo a El Adem. Faccio in tempo a … 
“No, no, andiamo via insieme. Facciamo insieme l’azione” 
“Comandante … ” 
“Ho detto di no. Andiamo via insieme!” 
“Va bene” 
Siamo cosi’ partiti il pomeriggio e quando siamo arrivati a El Adem i colleghi avevano gia’ portato a compimento l’azione ed erano rientrati. Sette dei nostri erano stati abbattuti. Sette della 73^! Io sarei stato tra costoro senz’altro. Ho avuto fortuna. 
Il 9 dicembre 1940 sono stato fatto prigioniero. Per me la guerra era finita!. E’ stata la mia salvezza. Siamo partiti in 78 piloti ed alla fine della guerra abbiamo avuto 83 morti. Com’e’ possibile? Per ogni pilota che “andava di sotto” ne arrivava un altro. Abbiamo avuto cinque prigionieri. Io ero uno dei cinque. 
Hai sentito parlare di Sergio Stauble? Era di Venezia ed eravamo molto amici, gli facevo dei dispetti madornali, di tutti i colori, pero’ mi voleva bene ed io gli volevo bene e lo stimavo moltissimo. E’ morto al largo della Sicilia durante un volo di trasferimento in Africa. A proposito potresti sentire che fine ha fatto la sorella che dopo la sua morte abitava a Gorizia . [A seguito di ricerche ho accertato che dopo la morte di Stauble, la sorella si era riunita alla famiglia a Venezia e negli anni ’40, durante un bombardamento su Mestre, mentre si trovava in un bunker, e’ morta insieme ad un altra sorella ed i genitori. E’ sopravvissuto solamente un fratello]. 
Dicevo, il 9 dicembre … la sera prima Botto ci aveva detto: 
“Domani mattina verso le 09.00 si parte”. 
Eravamo ad El Adem in Libia nella stessa tenda io e Stauble. Al mattino sveglio Sergio: 
“Dai, Sergio, via che c’e’ l’azione, dai c’e’ l’azione …. e va in malora!”. 
Non riuscivo a buttarlo giu’ dal letto era come morto: 
“Va all’inferno!”. 
Monto sul pullman e andiamo in linea. Botto mi fa: 
“… e Stauble?” 
“Non s’e’ voluto alzare” 
“Va beh, vieni tu” 
“Vengo io!” 
Siamo andati in volo e sono ritornato in Italia 63 mesi dopo. 
Torniamo indietro prima di quel 9 dicembre: come pilota ero in un certo qual modo considerato, quindi stimato:non andavo male e pertanto non avevo usurpato niente. Cosi’, quando arrivavano da Roma capitani, maggiori, colonelli per fare quattro o cinque missioni tanto per dire ” … ho fatto la guerra dammi la promozione”, li assegnavano al sottoscritto come gregari. Quindi avevo questa zavorra da portarmi appresso. Quelli sapevano appena stare in volo, avevano fatto un passaggio ordinario sul CR42, quindi avranno avuto un’esperienza di volo di10 ore, … ma quali 10 ore, 5 ore di volo massimo. 
Quel fatidico 9 dicembre avevo come gregario il sottotenente Querci che poi si e’ ammalato, tumore, si è suicidato. Mentre siamo in quota mi fa un gesto indicando dietro (non c’era la radio). Sempre a gesti gli rispondo: 
“Dove? Dove sono?” 
“Oh!, porca miseria. Allora ci sono veramente!” dico tra me “Ma dove? non li vedo”. Querci da tutto motore e si sfila, si va mettere in mezzo agli altri, sotto le ali della chioccia. 
E allora sparo per avvertire Botto. Alla prima raffica vedo Botto che accenna un rovesciamento. Io tiro subito su e mentre sono con il  muso in alto, vedo passare tre “Hurricane”. Dunque non li vedevo perchè li avevo proprio sotto la pancia e quasi sicuramente mi aveva già collimato. Mi sono passati avanti, quindi saranno stati forse a 200 metri, a 300 metri al massimo. 
Vado su, in candela, e vedo la 73^ Squadriglia avanti, questi tre Hurricane in mezzo e dietro a loro la 96^ Sq. e la 97^ Sq. Tutta una candela che andava fino a terra.Mentre sono nella mischia, vedo che un Hurricane taglia la corda. Evidentemente deve essersi guardato alle spalle e vista quella fila di musi ha pensato di squagliarsela.”Non si fanno queste cose, ora (mo’) te sistemo io!” 
Continuo a salire, ero il più alto di tutti, poi mi butto giù con tutto motore, … gli arrivo addosso … riduco motore e metto i giri entro i 1850 e i 2250 perchè altrimenti ti tagliavi l’elica, come successe a Gon e come successe ad altri. 
Si, perchè l’elica andava fuori sincronizzazione,e il colpo partiva quando la pala dell’elica passava davanti alle armi. Eh i nostri tecnici, … grandissimi, sai? Il meccanismo di sincronizzazione delle mitragliatrici che sparano attraverso l’elica è semplicissimo, è elementare ma dico io non potevano montare le armi sulle ali come tutti gli altri? E allora andate all’inferno! Avete vinto tutti i record, battuto tutto, conquistato tutto quello che c’era da conquistare per aria e ci mandate senza radio, senza corazza, il serbatoio della benzina sotto il sedere. Ma noi andavamo su tranquilli, sereni e quando rientrava la formazione, il pilota che era rimasto a terra, successe a me più di una volta, tirava moccoli e pugni perchè in quel combattimento lui non c’era. 
Uno del quale non faccio il nome, della 73^ Squadriglia che tu hai conosciuto anche di persona, mi diceva: 
“Biffi, questa guerra la perdiamo. Biffi, non possiamo, non possiamo combattere contro questi. I nostri aeroplani sono inferiori” 
Un bel giorno dissi: 
“Senti, o la pianti o ti denuncio, perchè questo non devi dirlo a me” 
Come dicevo … quando gli sono addosso apro il fuoco. Collimo, vedo i proiettili esplosivi che scoppiano nell’ala. Non succede nulla, perchè? Non c’è benzina? Nell’altra ala la stessa cosa, scoppiano, nulla. Sparo nel motore, nulla. Le vedo bene le traccianti e poi non era la prima volta che sparo. 
A Gorizia prendevo il palloncino che innalzavano con 10 colpi. 
Nel frattempo perdo velocità. Quello con tutto motore si sfila “… va beh arrivederci!”. 
Viro per riportarmi verso ovest e tornare verso El Adem. Poi guardo indietro, vedo che sta tirando su e virando anche lui. Quindi non gli ho fatto niente. Ma come, gli scoppiavano i proiettili addosso! Allora dico “… dai Biffi, tira su”. 
E tira su anche lui e cosi’ ci troviamo appiccicati per aria. Sai, li’ è un istante. Se prendi la decisione giusta bene, senno’ sono guai seri. Somma le due velocità ed arrivi in un istante alla distanza di tiro, saremmo stati alla fine della virata a circa 500 – 600 metri l’uno dall’altro. Prima che questo mi prenda in coda, dico tra me, gli sparo di muso. Sparo di corsa, senza guardare il collimatore. 
Vedo le traccianti che gli arrivano addosso. Un bel momento le sue semiali si illuminano e contemporaneamente il mio aeroplano prende fuoco. E’ stato un attimo!. Mi sono arrivati addosso, capirai, i proiettili di otto armi contemporaneamente, quattro su ogni semiala, calibro piccolo tant’e’ che collimavano sui 300 metri. Otto armi che collimano in un punto fanno un disastro! 
A quel punto mi sono rovesciato. Io ero solito fare una manovra, il looping “rovescio”. Nel fare questa manovra esce la benzina e prende fuoco il motore. Allora prima di iniziare chiudevo la benzina e toglievo contatto e poi “rovesciavo”. Quando ero sopra, riaprivo la benzina e ridavo il contatto. Fu una fortuna per me perchè questa mano istintivamente ha tolto contatto e chiuso la benzina. Con mia sorpresa l’incendio si e’ spento. 
Nel frattempo pero’ mi ero rovesciato e sciolto per lanciarmi. “No!” dico “non mi lancio perchè quello mi spara”. Infatti la RAF sparava addosso al paracadute, l’aeroplano lo trascurava. Hanno cominciato prima gli americani, poi anche gli inglesi o meglio, non so se fossero inglesi o neozelandesi ma erano della RAF. Quindi era un ordine che avevano ricevuto. Un nostro aereo, non era del 4° Stormo, atterro’ vicino a Bardia perche’ colpito, l’ Hurricane gli ando’ appresso, non sparo’ sull’aeroplano, sparo’ sul pilota che correva per allontanarsi. 
Come ti dicevo mi ero rovesciato per lanciarmi, mi tenevo con i piedi sul seggiolino attaccato al parabrezza,. Quanto tempo ci vuole per rovesciarti? Un secondo? In quel secondo avevo fatto tre cose: contatto, benzina e sciolte le bretelle. E m’ero dato uno slancio. In quell’istante, l’incendio si e’ spento. Decido di rientrare. Eh si, e’ una parola. Mettiti un po’ sottosopra con l’aeroplano e rientra. Sono rientrato. Non lo so come, ma sono rientrato. 
Per fortuna l’aereo continuava a volare rovescio senza imbarcarsi nonostante avessi mollato la cloche. A quel punto dovevo andar giù a candela ed avvicinarmi al mare. Sotto c’era il deserto, chi mi avrebbe trovato?. Mentre scendevo continuavo a guardarmi intorno per cercare l’inglese finche’ l’ho visto con una scia di fumo che perdeva quota. Arrivato per terra è esploso. “Pigliatela in saccoccia!” 
“Beh,” dico “allora cerca di andare più vicino che puoi alla strada, sfrutta la quota”. Ho provato a riaprire la benzina e mettere il contatto. Fuoco! Basta, non se ne parli più! Usciva la benzina, quindi mi avra’ colpito i tubi vicini al convogliatore di scarico. No, il serbatoio non era colpito, mi aveva sparato di muso, il serbatoio era protetto dal motore. 
Atterro in mezzo ai carri armati inglesi. Mi mettono su una camionetta e viaggiamo tutta la notte. La mattina arriviamo all’aeroporto di Marsamatruk dove c’e un concentramento di prigionieri italiani. Mi fanno scendere, mi consegnano, resto in attesa col caschetto e le mani nelle tasche, capirai quanto ero allegro! 
Mi si avvicina un individuo in uniforme. Lo guardo e penso: “ha il distintivo con l’aquila, questo è un pilota!”. Mi viene vicino, mi fa: 
“Buongiorno, che è successo?” 
Parla italiano, anzi fiorentino. 
“Ieri ho avuto un combattimento ed eccomi qua. Lei conosceva il signore inglese che ho abbattuto, era un suo collega?” 
“No, no, lui comunque è rientrato”. 
Evidentemente s’era lanciato, il paracadute non l’ho visto perche’ è rimasto sopra, io guardavo sotto. 
Dunque gli faccio: 
“Lei è molto tempo che è qui?” 
“Si, dall’inizio della guerra”. 
Era dicembre, erano trascorsi sei mesi, volava sui Blenheim. 
“Da dove viene lei?” 
“C’è scritto sull’aeroplano: 4° Stormo” 
“Dov’è il 4° Stormo?” 
“El Adem” 
“Ah la!, ieri ve l’abbiamo date eh?” 
“Ah, lei era uno di quei tre Blenheim?” 
“Si!”. 
Al mattino avevamo avuto ordine tassativo di non decollare neppure se ci avessero bombardato. Verso le 10, “Allarme, allarme, allarme!” Passano tre Blenheim, sganciano le bombe, fanno una gran cagnara ma nessun danno, son cadute fra gli hangar e gli edifici, la mensa … tutte le bombe in fila, non han fatto nemmeno un buco nelle lamiere degli hangar. 
“Si, ci avete bombardato, ma non avete fatto niente assolutamente perchè … ” gli faccio uno schizzo sulla sabbia ” … qua, qua, qua …siete passati ma senza danneggiare nulla. Pero’ se doveste tornare, qui c’è un edificio, all’ingresso dell’aeroporto” 
“Si, si” 
“Bene, quello salvatelo” 
“E perchè?” 
“Perchè dentro ci sono le donne” 
“Come sarebbe a dire?” 
“Le donne, le donne … parliamo d’altro … Lei allora che è tanto tempo che è qua, sa qualcosa dei miei colleghi che non  sono rientrati?” 
“Mi dica, mi dica i nomi” 
“Bir El Gobi, Renzi” 
“Abbiamo trovato il suo cadavere nei rottami dell’aeroplano”. 
Era Norino Renzi!, L’avevano già trovato, subito e nessuno di noi lo sapeva. Loro avevano i mezzi che giravano nel deserto, le camionette, la facevano seriamente la guerra, noi no! Dei venditori di vasetti come siamo stati noi. Non noi, che combattevamo. Continuo ad elencare i nomi dei colleghi: 
“il colonello Piraggino” 
“Prigioniero” 
“il tenente Lanfranco” 
“Prigioniero” 
“Corsi” 
“Ah, quello ci è costato caro!” proprio, credimi, fece: “Ahh!” 
“Perchè?” 
“Quello ci è costato caro” 
“Perchè, come ando’ il combattimento?” 
“Si e’ trovato da solo in mezzo a cinque Hurricane e ne ha abbattuto tre!”. 
Me lo disse in inglese questo. 
Di Ugo Corsi nessuno ne ha mai parlato. Io ho cercato di contattare, di trovare notizie attraverso l’Ambasciata, attraverso l’Addetto Aeronautico inglese, non ci sono riuscito. Perchè non è giusto che Corsi sia caduto nel dimenticatoio. Tanto era una persona a postissimo, bell’uomo, simpatico, pilota unico. “Quello ci è costato caro. Da solo in mezzo a cinque Hurricane, ne ha abbattuti tre, … da solo ne ha abbattuti tre!”. Poi è stato sopraffatto dagli ultimi due. Mettiti un po’ da solo in mezzo a cinque Hurricane con un CR42, te lo immagini? Questo me l’ha detto l’inglese eh? Lo sapevamo già noi, perchè da Bardia era stato visto il combattimento, quindi si sapeva. Dall’aeroporto di Bardia, li’ nel golfo di Sollum, li vedi gli aeroplani. 
Ugo Corsi di Pirano d’Istria. Torno’ dalla prigionia nel ’38. Raccontava che appena catturato ci fu una visita della “Pasionaria” una famosa comunista: 
“estos quien son?” 
“pilotos italianos” 
“y che esperais a matarlos?”. 
(Questi chi sono? Piloti italiani. Che aspettate ad ammazzarli?). 
Dal giorno dopo, la mattina li bendavano, li portavano in un certo posto, una scarica di fucileria. Sparavano per aria. Perchè questo? Li liberarono grazie ad uno scambio con piloti rossi. Erano preziosi, altrimenti li avrebbero uccisi tutti. 
La prigionia: Prima in Egitto, a Ismailia, poi in Palestina, Latrun. La fame, la fame !. Poi in India a Dehra Dun, a Yol c’erano gli ufficiali. 
Dopo un  anno o due, ci trasferirono a sud di Bombay, a Bophal. Dopo l’otto di settembre del ’44 decisi di “cooperare”, come tanti di noi, … seguendo l’esempio del Re (!). 
Partiti dall’India con il  caldo, arrivammo in Inghilterra, a Glasgow che c’era la neve, era gennaio. Sono rimasto in Inghilterra fino al rimpatrio avvenuto nel ’45 o ’46. Dopo un mese di licenza premio e ho chiesto di rientrare al Reparto e son tornato cosi’ a Lecce al 4° Stormo ed  ho ripreso a volare naturalmente dopo un po’ di “doppio comando.” 
Anche dopo Lecce son rimasto al 4° Stormo poi sono stato trasferito a Napoli, a Capodichino. 
Li’ c’erano i Mustang, bei aeroplani … il piu’ bell’ aeroplano e’ stato pero’ il Lightning. Una meraviglia. 
Quando mori’ mio padre, per ragioni di famiglia, rimasi a disposizione a Torino. Superato questo periodo, tornai in servizio come avevo chiesto e mi mandarono alla DAT, Difesa Aerea Territoriale. 
Andai poi a Parigi a frequentare il corso per istruttore di GCA Ground Controlled Approach (Avvicinamento Controllato da Terra con il radar). Tornato nuovamente a Torino avevo due aeroplani a disposizione, un Savoia Marchetti 102 ed un C45 e con questi volavo ed facevo l’istruttore di procedure GCA. 
Il 4° Stormo da Capodichino si trasferi’ a Pratica di Mare, quindi a due passi da Ostia. Chiesi ed ottenni cosi’ di andare là, sempre quale operatore GCA. 
Al Colonnello Verrengia dissi: 
“Comandante, io voglio volare sull’aeroplano sul quale volate voi” 
“Sul F86?. Va buono, va buono!” 
Era un napoletano, una persona carissima. 
Volai anche sul T33 ed il Vampire. 
Andai in pensione dall’Aeronautica Militare nel ’60 e dopo poco tempo incontrai, o meglio mi cerco’, il comandante Staffieri. Mi disse: 
“Noi stiamo costituendo una Società, ti interesserebbe?” 
“Come no?” 
Conseguii cosi’ anche il brevetto di Terzo Grado e di Ufficiale di Rotta e venni assunto dalla SAM dove volai con il DC6 e col Caravelle. Rimasi alla SAM finchè chiuse e poi mi assorbi’ l’Alitalia dove continuai a volare sul Caravelle. 
Non avrei potuto fare il comandante in quanto non avevo il titolo di studio di scuola superiore. Il comandante Rambaldi, un amico, un bolognese, parlo’ con Rech il nostro Capo Pilota. Mi mise in addestramento al Comando con un certo Mucci sul DC 6. Un mese circa assieme, non mi disse mai una parola: “tu hai sbagliato, avresti dovuto fare … “hai fatto bene, hai fatto male”. Mai niente, io facevo quello che facevo di solito. Un bel giorno vado in linea, dovevo fare un altro volo con Mucci ma viene il Capo Pilota e mi dice: 
“Facciamo un controllo, Biffani” 
Andiamo in volo ed arrivati su Ciampino, il Controllore del Traffico Aereo ci mette in holding ed io stupidamente, ero nel pallone completo, entrai in holding con virata a destra. Era invece con virata a sinistra. 
Lui disse: 
“Basta, basta!” 
Mi tolse i comandi dalle mani e andammo a terra. Non mi fece abile al Comando. Avevo 13.400 ore di volo, non erano da buttare via e cosi’ andai a volare in Libia. 
Erano gli anni ’78 – ’79 e mi mandaronoa a Gat, avevo 62 – 63 anni. Non ero poi da  buttar via come pilota. 
Un giorno ero in volo con l’allievo nella mia area e vedo avanzare da Nord verso Sud un banco di ghibli formidabile che non avevo mai visto. Avverto la torre e dico: 
“Fate rientrare immediatamente tutti perchè si chiude l’aeroporto”. 
Tornai subito sul radiofaro, mi misi sopra a tutti e aspettai che l’ultimo avesse atterrato ma nel frattempo si era chiuso l’aeroporto. Chiuso di brutto. 
Dissi all’allievo: 
“Adesso ti faccio vedere un avvicinamento senza visibilità. Stai bene attento a quello che faccio”. 
Non credo che abbia capito molto quello che stavo facendo, era un allievo alle prime armi. 
Lascio il radiofaro in allontanamento e comincio a scendere per iniziare la procedura strumentale di avvicinamento. Risorvolo il radiofaro alla quota prevista per l’avvicinamento finale, ho il radiofaro in coda, la lancetta e’ spostata un po’ sulla destra rispetto al valore previsto. “Voglio stare tra la pista e il raccordo” dico tra me “Se non vedo uno, vedo l’altro”, giusto?. Scendo, un bel momento vedo sulla sinistra il bordo del raccordo, accosto a destra e mi poso. Chiudo il motore e chiamo la torre: 
“Mandatemi il follow-me, non posso rullare, non ci vedo!”. 
Insomma un avvicinamento con visibilità bassissima! Credimi, quando arrivava la sabbia eran dolori. Non potevi neanche rullare per andare al parcheggio. 
Arrivato al parcheggio c’era un colonnello, una brava persona, che mi disse: 
“Lei li fa fuori tutti, questi qua!”. 
“Questi qua”. Non li classifico’ diversamente. Dico: “In Compagnia hanno speso milioni per addestrarci, se non abbiamo capito niente siamo proprio dei deficienti!”. 
Insomma, rientrai e Salvaneschi, che era il nostro comandante, una bravissima persona, mi disse: 
“Biffi, che fai adesso?. Vuoi venire con noi?” 
Avevano appena fondato una Compagnia Aerea a Bologna o Parma, non mi ricordo. Avevano due o tre Caravelle ma non disponevano di piloti qualificati. Mi disse: 
“Con i secondi che ci sono, non ci posso volare. Dai, vieni tu!” 
Feci alcuni voli con loro come secondo pilota. 
Un giorno mi scadeva il brevetto di volo ed andai all’ufficio brevetti di Bologna, da Belleu per rinnovarlo. Lui lo guardo’ e disse: 
“Ma lei non puo’ mica portare passeggeri a pagamento!” 
“E perchè?” 
“Sopra i 60 anni non puo’!” 
E va beh, e allora dico: 
“Basta, finisce cosi’!”.