Ghereghereghez – Ghez!
Nei reparti dell’Aeronautica Militare, in occasione di ricorrenze o anniversari si tengono riunioni conviviali solenni alle quali partecipa tutto il personale. Questi pranzi di Corpo, così sono chiamati, sono occasioni nelle quali con la regia del Capo Calotta, un ufficiale subalterno di provate qualità, egli stesso e il Comandante del Reparto prendono la parola con discorsi a contenuto commemorativo, programmatico e talvolta secondo le circostanze, elogiativo o di biasimo diretti a tutti.
Al termine del pranzo il capo calotta, secondo tradizione, invita tutti i presenti a brindare per le fortune del Reparto e per l’ Aeronautica Militare e mentre negli altri reparti viene “urlato” il Ghereghereghez – Ghez!- Ghereghereghez – Ghez! Ghereghereghez – Ghez! – Ghez! Ghez! quasi ad emulare il ringhio delle mitragliatrici dei biplani.
Origini del ghereghereghez
(nota di Robero Bassi)
Da quel poco che si sa il grido sarebbe nato a Campoformido nei ranghi della 76^ Squadriglia Caccia (all’epoca appartenente al 6° Gruppo e distaccata sul campo udinese). Testimone diretto era il comandante di quella Squadriglia che era Plinio Locatelli che ha riversato tutti i suoi ricordi a Rocchi e ai vecchi aviatori udinesi. E’ però altrettanto vero che non esiste libro (nemmeno quello di Rocchi) o documento che lo dica in modo chiaro…quindi da “appassionato storico” non mi sento di ritenerla “pura verità”. in alternativa a Campoformido non resta che Lonate Pozzolo.
…. al 4°Stormo
Al Lupo, al Lupo! Haum!
Intonato dal capo calotta seguito dalla risposta in coro “Ahum! Ahum! Ahum!”
Origine di Al Lupo!
Allorché il 1° Stormo Caccia scelse per i suoi brindisi il celebre «Gheregheghez»! erano in voga al termine delle riunioni conviviali nell’ambito aeronautico altri gridi: il dannunziano «Eia, eia, a-lalà» e gli «Al lupo!» consacrati da tante gloriose imprese. Al Lupo, Al Lupo, venne gridato per la prima volta, presso il 4° Stormo, nel 1932 sotto il col. Porro, secondo la testimonianza dell’allora capocalotta Mario Salvadori che gli attribuisce il significato di «spaventare gli altri». Secondo un’altra testimonianza, quella di Pasquale Gigliarelli, un ottimo sottufficiale pilota dello stormo, assegnato alla 73^ Squadriglia, l’idea del nuovo grido nacque nel corso di una cena di reparto a Moncorona (Cromberg) e prima veniva usato il Gheregheghez, come del resto conferma lo stesso Salvadori, capocalotta a Gorizia nel 1932 quale tenente più anziano del 4° Stormo e del 21° da ricognizione.
Nell’ opuscolo di Rock Potre si dice infine che il 4° Stormo, per non peccare di conformismo, preferì il vecchio grido «Al lupo, al lupo, al lupo» già adottato dalla 91″ Squadriglia durante la la guerra mondiale.
Mentre tutti brindano ma ancora non si è spento l’eco del terzo Ahum!, uno tra i più giovani ufficiali ultimi arrivati al reparto, convinto “spontaneamente” dagli anziani, a gran voce intona “A vitriaria!” guadagnandosi al contempo la notorietà e il diritto di offrire il caffè a tutti i presenti. Il tutto secondo un rituale che riporta alla caccia e alla fortuna dei cacciatori.
Origine di A Vitriaria
Nel 1942, a metà del mese di aprile, il 4° Stormo con i suoi IX e X Gruppo si rischiera in Sicilia per iniziare il suo secondo ciclo di guerra nei cieli di Malta. Il IX Gruppo, agli ordini del Magg. Pil. Antonio Larsimont Pergameni, il giorno 15 completò il proprio trasferimento sull’aeroporto di Castelvetrano e subito dette inizio a un durissimo ciclo operativo. I duelli aerei erano violentissimi; ai Macchi MC202 si opponevano con accanimento Hurricane e Spitfire disegnando nel ciclo dell’isola figure arditissime e caroselli tirati allo spasimo. Le molte nuove vittorie dei nostri cacciatori richiedevano in cambio un pesante tributo e dolorosi sacrifici. I velivoli italiani non disponevano di radioassistenze che li potessero guidare al loro rientro dall’isola così aspramente contesa ma solo una bussola magnetica non sempre attendibile e l’abilità del pilota. Poche anche le semplici radio installate a bordo. Una difficoltà in più per i piloti che dovevano orientarsi nel volo a vista, riconoscendo i luoghi anche in presenza di condizioni di tempo atmosferico e visibilità marginali, guardandosi le spalle da eventuali inseguitori e ormai isolati gli uni dagli altri dopo le capriole per portarsi in posizione di sparo o per sottrarsi alla caccia degli altri, sempre con problemi di scarsità di carburante.
Per loro fortuna i reduci potevano contare su l’aiuto involontario di una vecchia vetreria che sorgeva a pochi chilometri dal campo di Castelvetrano. Le lavorazioni, prima della guerra, erano alimentate da vetri, bottiglie, damigiane e altri materiali vetrosi raccolti come rifiuti e ridotti in minuti pezzi per essere introdotti e nuovamente fusi nelle fornaci. I detriti giacevano ammucchiati vicino ai capannoni industriali in cumuli abbastanza alti che scintillavano al sole e che rendevano il posto individuabile da qualche decina di chilometri. Era diventato normale durante i briefing che si tenevano prima delle missioni e nei quali venivano ripetute in dettaglio le azioni da adottare, le modalità di risoluzione delle emergenze e gli ordini da eseguire, chiudere la riunione dicendo: “al rientro appuntamento e raduno alla vetreria”. È verosimile pensare che i piloti esausti, provati dalle accelerazioni, dal rumore assordante e dai fumi del motore e degli spari, preoccupati dal livello del carburante, addolorati dalla perdita di qualche caro amico visto cadere in combattimento, al primo percepire del brillio che indicava casa, liberassero dal petto un sospiro di sollievo e un grido silenzioso: “la vetreria!”
Ed è verosimile che il radunarsi di tanti velivoli provenienti da più direzioni in un solo punto non fosse un’operazione delle più ordinate e che una volta radunati, con qualche altra ardita manovra, si cercasse di scacciare dall’anima l’oppressione e la tristezza lasciate dall’asprezza dei combattimenti. Che in Aeronautica, si sa, la lingua semiufficiale, più usata dell’italiano, sia il napoletano altro non fece che modificare l’originaria vetreria in vitriaria. II 15 maggio un nuovo ordine di trasferimento inviava il IX e il X Gruppo, insieme, in Africa settentrionale, a Martuba, a sostegno di una nuova offensiva contro l’8a Armata inglese. Da allora, anche se il ciclo di operazioni su Malta durò solo un mese, rimase profondamente impressa nella memoria e nelle tradizioni del Reparto quella vetreria, ” ‘a vitriaria”, come luogo di approdo fortunato, di riflessione e di riposo dopo momenti di sacrificio anche estremo, come anticipazione di un ritorno a casa e ancora, perché no, come momento di liberazione e di gioia, di eccitazione e di esultanza, di goliardia cui dare libero sfogo. In quest’ultima accezione la conclusione del brindisi del 4° ricorda l’analogo grido di buon augurio che chiude il brindisi dei Reparti da caccia Francesi dopo una lunga ed elaborata formulazione: ” A la chasse bourdel!”.