Si dice che i piloti da caccia siano abili acrobati ma pessimi navigatori e forse è quasi vero visto lo spirito libero che li anima e la poca sopportazione delle limitazioni imposte dai percorsi obbligati come aerovie, punti di riporto ed altre amenità del genere. Nel periodo in cui volavo come istruttore presso il 20° Gruppo di Grosseto mi è capitato di dover fare un lungo volo di trasferimento da Grosseto a Bodo (Norvegia) in compagnia di un amico ingegnere. Il volo era impegnativo per uno scarso “navigatore” come potevo essere io, quindi mi ero preparato minuziosamente tutte le carte necessarie. Avevo previsto una sosta ad Aalborg (Danimarca) per riposare e fare l’ultima impegnativa tratta con tutte le cautele del caso. Bisogna considerare che il biposto TF-104 non ha autopilota e la sua autonomia è molto inferiore a quella del monoposto. Partiti da Aalborg in direzione nord tutto sembrava andare per il meglio, c’era il sole e a Bodo mi avevano previsto una situazione decente con nubi ma buona visibilità. Ma quando tutto sembra andare bene c’è sempre qualche sorpresa in agguato. Infatti a circa metà percorso mi sono accorto che le indicazioni dello strumento principale per la navigazione inerziale (PHI) erano troppo statiche, troppo perfette per essere vere. Un controllo radar svedese mi confermava i dubbi e mi forni’ le correzioni adatte a riportarmi sulla rotta. Si era verificata l’avaria più subdola possibile: blocco del sistema senza avviso di avaria. Rimessa a posto la rotta bisognava decidere se proseguire o tornare ad Aalborg. Dopo un rapido consulto con il mio passeggero decisi di proseguire. Il radar di bordo era efficiente, vedevo la costa norvegese che avrei dovuto seguire fino a destinazione, qualche problema sarebbe nato per la procedura di attcrraggio ma con la guidava del radar locale me la sarei cavata egregiamente. Giunti a circa quattrocento miglia da Bodo chiesi l’intervento di un aereo che mi facesse da guida, mi vennero incontro due e si affiancarono per qualche minuto, mi salutarono e se ne andarono comunicandomi per radio che “stavo andando benissimo”. Non ci eravamo capiti! Proseguii pensando di fare la stessa richiesta una volta giunto nelle vicinanze della base norvegese. Intanto il tetto di nubi continuava a salire e ad essere più compatto. Le cattive notizie, non tardarono ad arrivare: il radar di Bodo era fuori servizio e non c’era possibilità di mandare un aereo ad aiutarmi perché erano tutti a terra a causa di un’ordinanza tecnica. Come incoraggiamento mi comunicavano che le nubi arrivavano fino a trecento metri dal suolo, c’era pioggia continua e la visibilità era di un chilometro; mi offrirono l’unica assistenza possibile, un VDF che mi avrebbe dato dei rilevamenti “goniometrici” da terra durante la discesa. Era un’offerta che non potevo rifiutare. Erano trascorsi diciotto anni da quando, volando con il T-6, avevo utilizzato il VDF. Pensai che in fondo qualcosa mi era rimasto: un orologio, un orizzonte artificiale e la radio. Dovevo attraversare circa novemila metri di nubi grigie per trovare la pista che avrei visto solo quando “sopra”. Non era molto per un aereo che viaggiava a trecento nodi, con una bussola magnetica pressoché inservibile a quelle latitudini. Il carburante, circa mille libbre, sarebbe bastato per una procedura ed un eventuale circuito stretto. Eseguii la procedura che nel frattempo mi ero disegnata su un foglietto. Tra un QDR e l’altro correggevo la rotta con virate di dieci gradi per dieci secondi. A quindicimila piedi invertii la prua e, tra un QDM e l’altro, continuai con le correzioni. Gli ultimi trecento metri di quota furono i piu’ sofferti ma alla fine uscii dalle nubi e intravidi l’Atlantico. A ottocento piedi avvistai la costa ed estesi il carrello ed i flap. La pista, con le luci accese, era alquanto spostata a destra ma per un pilota da caccia non era un problema. Rivolsi un grato pensiero al VDF e a chi mi aveva a suo tempo insegnato ad usarlo e, sceso dall’aereo, rabbrividivo non solo per il freddo.