Infanzia, Capua, Ciampino, Ghedi, Campoformido, Gorizia
La mia infanzia
Sono nato a Calvizzano, provincia di Napoli, il 14 marzo 1910 in una modesta casa di campagna ove ho trascorso la mia giovinezza insieme a genitori e numerosi fratelli. Il piu’ anziano di questi ritornerà a casa nel 1918 dopo aver combattuto sul San Michele, a 4 km dall’Aeroporto di Gorizia, intossicato il 29 giugno 1916 dall’attacco con i gas da Cima 4 che lo lascera’ provato per tutta la vita. Della Grande Guerra ricordo ancora con chiarezza un episodio poco noto: un dirigibile austriaco che sorvola senza trovare ostacoli la citta’ di Napoli lanciando alcune bombe sulla citta’ che fanno lievi danni ma provocano panico ed hanno effetto demoralizzante sui cittadini.
L’arruolamento
Terminate le scuole medie inizio ad aiutare mio padre in campagna e all’eta’ di 18 anni, contro la volonta’ dei miei genitori e falsificandone la firma, presento domanda per la selezione al Corso Sottufficiali Piloti. Quando mi presento alla visita medica presso l’Istituto di Medicina Legale di Napoli ho un forte raffreddore. L’ufficiale medico otorinolaringoiatra mi chiede di ripetere le parole che pronuncia alle mie spalle e cosi’ faccio, almeno sono convinto di farlo, poi il medico emette un fischio che non sono in grado di ripetere poiche’non so fischiare. Forse per il raffreddore che limitava le mie capacita’ uditive o forse per il “fischio”, non sono ritenuto idoneo. Dopo circa sei mesi, nel novembre 1929, ostinato nella mia determinazione, ripresento la domanda senza menzionare il precedente esito negativo, altrimenti non mi avrebbero riammesso alla selezione. Incontro lo stesso medico che mi riconosce e che mi chiede: “… ma tu non eri sordo?” e questa volta supero’ la selezione.
Da Capua a Ciampino, Ghedi e Campoformido
Ai primi del gennaio 1930 inizio l’addestramento militare alla Scuola di Capua insieme ad altri 330 ragazzi. Ci insegnano la disciplina militare, a marciare e si studiano le materie correlate al volo: aerodinamica, motori, impianti, ecc. Veniamo alloggiati tutti insieme in un grande hangar. Divisi in plotoni di una cinquantina di allievi, marciamo e ci addestriamo all’uso delle armi. Alla fine del corso mi classifico al 130° posto. Poco dopo veniamo avviati ciascuno a diverse Scuole di Volo: Roma (Littorio), Ponte San Pietro e Portorose , dove inizia l’addestramento per conseguire i brevetti di volo civile di I° grado. Sono destinato all’aeroporto del Littorio (ora aeroporto dell’Urbe) ed il 20 marzo 1930 effettuo il primo volo su AS1 mentre il 28 maggio 1930 decollo da solista dopo poco più di 7 ore di doppio comando.
Il 12 ottobre 1930 inizia il corso per il conseguimento del brevetto di Pilota Militare e veniamo trasferiti alla 2^ Squadriglia Allenamento Caccia di Ghedi, dove voliamo sull’aereo da addestramento militare, il CR1 e poi transitiamo sul CR20 che e’ già’ un velivolo operativo, utilizzato nei Reparti.
A Campoformido inizio l’addestramento operativo vero e proprio, acrobazia, pattuglia, finta caccia ed addestramento bellico. Su questo aeroporto, utilizzato intensamente già’ durante la Prima Guerra Mondiale, sono passati i piu’ famosi piloti. Uno di loro e’ Rino Corso Fougier, convinto sostenitore dell’Acrobazia Collettiva che comanda il 1° Stormo Caccia dal 1928.
Fra i primi che conosco c’e’ il serg. Silvio De Giorgi, uno dei piloti della famosa “Squadriglia Acrobatica di impiego nazionale” comandata da Ariosto Neri. De Giorgi, classe 1906, e’ scomparso nel 2004 a 96 anni e fino all’ultimo era solito ad intervenire a tutte le ricorrenze. Fece parte anche del Reparto Alta Velocita’ di Desenzano. L’acrobazia e’ di casa a Campoformido ma non esiste un addestramento vero e proprio, molte manovre si imparano guardando gli altri o provando e riprovando. Un giorno chiedo ad un collega piu’ anziano come si esegue un tonneau e questi mi risponde: “Semplice, prendi velocita’ poi cabri di circa 30 gradi, dai piede ed alettone e quando sei rovescio centra i comandi”. Convinto di non avere più problemi decollo, mi porto sulla verticale dell’aeroporto a circa 700 metri e provo la manovra ma centrando i comandi l’aereo continua a ruotare, abbassa il muso e scende in verticale, fermo la rotazione a circa 200 – 300 mt da terra, poi cabro per ritornare in quota e ripeto il tutto, ed ogni volta succede lo stesso. Il collega o non sapeva spiegarsi od il tonneau non l’aveva mai fatto! Quando atterro noto che il personale dell’aeroporto è fuori dagli hangar e guarda nella mia direzione: appena spento il motore si avvicina il Comandante di Squadriglia. Penso che voglia sapere cosa e’ successo ed invece mi da’ una bella strigliata e mi affibia una punizione di rigore di 15 giorni. Dopo tre giorni mi chiama l’Aiutante di Campo di Fougier, il magg. Raul Moore, latore di un messaggio del Comandante: ” … Non provare piu’ a bassa quota queste manovre. Hai della stoffa e farai strada. Per questa volta te la cavi con tre giorni di arresti!”.
Il 23 agosto 1931 giunge all’aeroporto di Campoformido il comandante della II Brigata da Caccia, col. Mazzucco, che passa in rassegna il 1° Stormo ed il 4° Stormo, quest’ultimo costituito nel mese di giugno per far fronte alle Grandi Manovre del prossimo agosto. Dalla fine di luglio il IX ed il X Gruppo si allenano per le Grandi Manovre dell’Armata Aerea che prevede la partecipazione di 900 velivoli ed il 24 agosto i CR20 dei due Gruppi si schierano, il IX Gruppo su Modena ed il X Gruppo su Rimini, per poi spostarsi su La Spezia, Milano, Mantova, Ancona, Pisa, Firenze, Terni e Bologna.
La collisione a terra
Nel corso degli allenamenti, il 18 agosto 1931 sono appena atterrato mentre nel frattempo un Ca100 pilotato da un maggiore si appresta a decollare. Mentre sto smaltendo velocita’ mi accorgo che l’altro velivolo “scarroccia”, interessando la mia zona. Tento allora un’azione evasiva ma la mia velocita’ e’ troppo bassa ed oramai l’altro velivolo mi si avvicina velocemente da sinistra con l’elica minacciosa che rischia di maciullarmi. Qualche secondo prima dell’impatto, con una “spedalata”, imbardo cercando di proteggermi presentandogli la coda ma l’elica mi “trita” letteralmente l’aereo fino a pochi centimetri dall’abitacolo: Fortunatamente non c’e’ alcun inizio d’incendio e nessuno rimane ferito. Il maggiore, facendosi forte del suo grado cerca di giustificarsi e vuole incolparmi ma l’inchiesta gli dara’ torto.
Le Grandi manovre dell’ Armata Aerea
Il 31 agosto 1931 ha luogo a Ferrara l’imponente Manifestazione Aerea e l’ingente numero di velivoli partecipanti comporta non pochi problemi ma un solo un incidente.
Il 9 settembre il X Gruppo si trasferisce da Aviano all’aeroporto di Merna – Gorizia e subito dopo, il 28 settembre, anche il IX Gruppo, di cui faccio parte, lo segue da Campoformido.
A Gorizia
L’11 giugno 1932, il col. Amedeo di Savoia duca d’Aosta, figlio del generale Comandante della Terza Armata Emanuele Filiberto che nella zona tra Gorizia e Monfalcone aveva guidato le sue truppe nel conflitto del 1915-1918, assume il comando del 21° Stormo Osservazione Aerea dislocato sull’aeroporto di Gorizia. L’anno successivo, il 1° maggio 1933, il Duca assume il comando del 4° Stormo.
A Gorizia, con l’arrivo del 4° Stormo, continua e cresce lo spirito dell’acrobazia in formazione appreso a Campoformido. Le difficolta’ non sono poche, soprattutto con macchine dai motori poco brillanti. L’effetto della “coppia dell’elica” costringe inoltre ad un continuo uso del timone di direzione. A questo vanno sommate le difficolta’ che incontrano i “gregari” piu’ esterni della formazione che tendono a “sfilarsi” durante le virate poiche’ debbono percorrere una traiettoria piu’ lunga. Una particolarita’ dell’aeroporto di Gorizia e’ che il traffico in decollo ed atterraggio viene separato dividendo l’aeroporto in due zone, una a Nord, riservata alla Ricognizione ed una a Sud, riservata alla Caccia. Queste due zone sono a loro volta divise in altre due, una per gli atterraggi (al centro aeroporto) ed una per i decolli (all’esterno) e possono essere utilizzate per atterraggi e decolli in entrambi i sensi. Considerando la mole non indifferente di velivoli che si possono trovare contemporaneamente a circuitare sull’aeroporto (non c’era la radio), si comprende l’attenzione richiesta. Fortunatamente a Gorizia il comandante dello Stormo col. Felice Porro e’ favorevole alle iniziative dei piloti che “provano” nuove figure acrobatiche. Insieme al serg. Enzo Callegari proviamo il looping in coppia. Gli altri colleghi da terra ci osservavano per poi a loro volta imitarci. Callegari perira’ il 28 gennaio 1933 in un incidente durante le esercitazioni a fuoco al poligono di Aviano, impattando il terreno poco prima del bersaglio, a causa del complicato collimatore del CR20, un tubo con un oculare sistemato davanti al viso del pilota che riduceva la visuale.
Nel febbraio del 1932 vengono consegnati i nuovi CR Asso. “Asso” era il nome del nuovo motore della Isotta Fraschini, installato sul CR 20. Volerò quasi esclusivamente su questa macchina dalle prestazioni superiori fino al maggio del 1935. Transito per un breve periodo alla 90^ Squadriglia, poi alla 84^ e dal 3 giugno 1932 sono assegnato definitivamente alla 91^, la Squadriglia di Francesco Baracca che da lui ha ereditato il nome. Il 28 marzo 1934 il Duca d’Aosta e’ nominato generale di Brigata ed assume il comando del 1° Stormo di Campoformido e del 4° Stormo di Gorizia.
Il 3 maggio 1935 effettuo il primo volo, da Torino a Gorizia, su un CR32 nuovo di fabbrica consegnatomi dalla Fiat. Col passare del tempo miglioro le mie doti di pilotaggio il che, unito ad equilibrio e senso della disciplina, mi evitano probabilmente di seguire le sorti di quell’innumerevole numero di piloti che proprio a Gorizia persero la vita per incidenti di volo. Quando giunge a Gorizia il s.ten. Giuseppe D’Agostinis, di Cervignano, fresco d’Accademia, mi chiede consigli su come si eseguono certe manovre, consigli che gli sono utili nel migliorare le prestazioni della pattuglia acrobatica. Molti anni dopo, il 17 maggio 1975, ad un raduno al Castello di Gorizia nel ristorante “La Lanterna d’Oro”, abitualmente frequentato dai piloti del 4°, l’allora generale mi confida: “… Chianese, da te ho imparato tanto …”. Considerata la grande stima che ho sempre avuto per D’Agostinis, e’ stato uno dei piu’ graditi complimenti ricevuti durante la mia carriera.
Gli incidenti di volo e la “ribellione” dei piloti
Uno dei pochi testimoni sopravvissuti di quei tempi, il sottufficiale specialista Enzo Vosca, ricorda che la media dei funerali a Gorizia nei periodi di massima attivita’, era di uno alla settimana. Le salme dei piloti venivano trasportate all’Ospedale Militare di via Ristori, oggi adibito ad alloggi per le famiglie, si officiava la cerimonia funebre ed infine le bare prendevano la via del paese di provenienza della vittima. Gli incidenti a Gorizia raggiungono una frequenza tale che nell’aeroporto e nelle localita’ limitrofe non e’ raro incontrare cippi e lapidi che ricordano eventi nefasti.
Gli incidenti poi hanno un picco in primavera quando, dopo un periodo di ridotta attivita’ dovuto alle condizioni atmosferiche avverse, si riprende il normale ritmo di volo e la triste media di un funerale alla settimana a volte viene superata. Ma anche al lunedi’, quando ancora non si sono completamente smaltiti i postumi dei bagordi domenicali, gli incidenti aumentano ed un certo giorno il Comandante di Stormo sospende tutti i voli in quella giornata, ma dobbiamo comunque restare in serivzio. Questo provoca una sommossa. Non dovendo piu’ volare accogliamo malvolentieri la disposizione di essere costretti a rimanere in aeroporto al lunedi e chiediamo ai superiori di estendere il permesso almeno fino a mezzogiorno. Non veniamo accontentati ed il malcontento dilaga al punto che viene escogitata una protesta insolita, organizzata dal serg. Renzo Castelletti. Alla esibizione del 10 luglio 1935, alla presenza del gen. Francesco Pricolo, comandante della II Z.A.T. ed altre autorita’, ci accordiamo per volare in formazione “larga”. Non il solito metro o metro e mezzo tra velivolo e velivolo bensi’ 5-6 metri. Il X Gruppo aderisce alla protesta mentre il IX Gruppo sfila in formazione compatta. Le autorita’ ed il pubblico, nemmeno lo notano ma il Comandante di Gruppo ed i Comandanti di Squadriglia vanno su tutte le furie. Castelletti inoltre, dopo il decollo, raggiunta la formazione, si stacca e rientra in aeroporto simulando un malfunzionamento del motore. Castelletti paghera’ cara la sua iniziativa! Viene punito e alla prima occasione verrà trasferito al 6° Stormo. Una trentina di piloti sono consegnati ma un effetto comunque viene conseguito e dopo alcuni giorni le punizioni sono sospese e le richieste dei piloti accolte.
L’ incidente di Cicillo
In quegli anni ci si poteva prendere qualche liberta’ che oggi sarebbe impensabile: il territorio non era densamente abitato, la popolazione della zona si era abituata a vedere tutti giorni aerei in volo ed a volte assisteva con compiacimento ai voli a bassa quota od alle esibizioni. Per i piloti invece il rischio maggiore era essere individuati dai carabinieri che prontamente passavano il nominativo del velivolo al Comando d’aeroporto. Capitava cosi’ di assistere a Gorizia, sulla verticale di Piazza della Vittoria, alle acrobazie di un CR Asso od un CR32 e qualche volta perfino di una pattuglia che assordavano la tranquilla cittadina quando il regime dei motori era al massimo. Un incidente conclusosi felicemente accade nell’aprile 1936 ad un giovane ed inesperto sottufficiale pilota di origini napoletane, il serg. Luigi Iaccarino, soprannominato Cicillo, da poco allo Stormo. In un volo da “solista” su CR Asso, nell’effettuare un tonneau iniziato probabilmente con il muso troppo basso sull’orizzonte, mette l’aereo in posizione inusuale e non sapendone uscire sceglie di lanciarsi con il paracadute, atterra nei pressi dell’Isonzo mentre l’aereo va a schiantarsi sopra un casolare della periferia. Il Duca Amedeo d’Aosta, venuto a conoscenza dell’insolito incidente, un aereo perfettamente funzionante andato distrutto, convoca Cicillo e gli chiede spiegazioni. Quest’ultimo che ancora non si rende conto della gravita’ dell’accaduto risponde con la tipica cadenza partenopea: “Altezza, ho preso paura e mi sono lanciato. La Fiat fa’ un aereoal giorno, la mia mamma di Cicillo ne ha fatto uno solo!”. Il 18 febbraio un altro incidente insolito interessa un CR20 Asso che finisce sul tetto della casa di Tommasi e Cernigoj in via Duca d’Aosta n.28. Il pilota atterra con il paracadute, presso l’incrocio tra via Duca d’Aosta e via Trieste, sul tetto della panetteria Viatori.
Il Duca d’Aosta
A proposito del Duca, ricordo che aveva un CR 32 a sua disposizione custodito dalla 73^ o dalla 91^ Squadriglia. Quando decideva di andare in volo, l’Aiutante di Volo, ten. Aldo Tait, telefonava alla Squadriglia per preparare il velivolo. Il Duca arrivava fino sotto l’aereo con la macchina, non voleva “gente” intorno ma solamente il motorista. I comandanti di Squadriglia, cap. Giuseppe D’Agostinis e cap. Vincenzo Dequal, lo osservavano da lontano. Il serg. Enzo Vosca che era addetto al suo velivolo nel 1937, mi raccontava che, mentre lo aiutava ad imbragarsi e sistemarsi nell’obitacolo, il Duca era solito dirgli: “Vosca guarda, guarda come mi controllano. Non si fidano!”. Era un buon pilota, compatibilmente con le poche ore che poteva fare a causa degli innumerevoli impegni burocratici che lo assillavano. Appena arrivato allo Stormo, il Duca aveva chiesto al comandante di Stormo, t.col. Augusto Bonola, un pilota “esperto” per effettuare un paio di voli in coppia e fui incaricato io. Dopo un briefing nel quale avevamo discusso le manovre da eseguire, siamo andati in volo ed abbiamo fatto un po’ di acrobazia, lui da leader ed io da gregario. Quando siamo atterrati mi domandò: “Chianese, come sono andato?”. Era una persona umile e carismatica. Quando qualcuno lo chiamava cerimoniosamente “Altezza”, lui rispondeva “Un metro e novantaotto!”.
Sotto i ponti
In questo clima quasi goliardico ad alcuni piloti piu “audaci” viene in mente di passare sotto i ponti. I ponti sull’isonzo non si prestano molto a questo rischioso esercizio. Qualcuno infatti tenta di passare sotto il ponte in pietra ad arcata unica di Salcano, ora in Slovenia, tra il Monte Sabotino ed il San Gabriele, ma il fatto di essere disposto obliquamente all’Isonzo ed in una gola chiusa, rende alquanto rischiosa la manovra e, per quello che so io, desistono. Qualcun altro “ci prova” sul Tagliamento ma non sempre i tentativi hanno successo. Un giorno volo in coppia con un collega, di cui non ricordo piu’ il nome, quando con un cenno della mano, non esisteva la radio, mi indica un ponte. Si allontana, si abbassa a pelo del fiume e passa sotto l’arcata ma, non soddisfatto, cabra quasi in verticale, vira di 180° per ripetere il passaggio. Quando e’ con un assetto di 45° a picchiare si accorge che la manovra e’ impostata male. Tenta a questo punto di passare “sopra” il ponte ma l’aereo non ha abbastanza velocita’, comincia a “spanciare” e sfiora il ponte passando con la coda a circa un metro il parapetto del ponte e per un soffio non si schianta. Purtroppo non sarà così per il serg. Tommaso Diamare. Il 18 gennaio 1932, una pattuglia condotta dal ten. Ernesto Sanzin rientra a Campoformido dopo avere effettuato esercitazioni di tiro al poligono di Vivaro. Giunti all’altezza di Sequals, Diamare si stacca dalla formazione, passa sotto l’arcata centrale del ponte di Sequals, un ponte a tre arcate, effettua un looping, torna indietro lungo il letto del torrente Meduna e ripassa sotto l’arcata centrale, la più larga delle tre. Effettua un altro looping e si appresta a passare sotto l’arcata di destra, di luce alquanto ridotta rispetto a quella centrale. Fatalita’ vuole che un cavo di una linea telefonica, pendente dal’arcata, agganci il delicato compensatore fisso che sporge di una quindicina di centimetri sopra l’alettone destro e, spostandolo, comanda una violenta ed incontrollabile rotazione del velivolo che si schianta sulla sponda sopraelevata di destra. Diamare, dotato di innegabili doti professionali, aveva rappresentato lo Stormo in numerosi meeting all’estero, con la Pattuglia Acrobatica del ten. Ariosto Neri. Le ripercussioni dell’incidente pesarono significativamente sul 1° Stormo. A Roma lo Stato Maggiore, che non apprezzava l’operato Fougier, punisce gli “acrobati” dello Stormo, costituendo a Bresso il Nucleo Alta Acrobazia e negando a Campoformido il titolo di rappresentanza fino ad allora detenuto. Ho conosciuto Diamare a Campoformido, aveva un’eccezionale padronanza del velivolo. Con il CR20, puntava gli hangar scendendo a poco piu’ di un metro da terra per poi cabrare e sfiorare la sommita’ della costruzione. Con l’aereo in salita effettuava tre quarti di tonneau che terminava alla velocita’ minima e poi, abbassando il muso, in scivolata, virava di 180° sorvolando nuovamente l’hangar.
L’acrobazia a Gorizia
Un giorno il serg. Vittorio Romandini effettua un volo in coppia e sull’altro velivolo c’e’ un allievo ai primi voli da “solista”. Terminata la missione in quota l’accompagna all’atterraggio provenendo da Ovest, dal lato della ferrovia. L’allievo e’ un po’ alto ed inoltre dopo la toccata si sposta verso Romandini, quest’ultimo dà motore per portarsi avanti e non farsi investire dall’allievo ma cosi’ facendo allunga la corsa di atterraggio. Sarebbe ancora in tempo per dare tutto motore e riattaccare ma pensa: “Ce la faccio!”. Invece “non ce la fa”, il velivolo supera la fine del campo, travolge la siepe, attraversa il vialetto sussultando paurosamente e si ferma con il muso appoggiato alla parete della palazzina degli Uffici Amministrativi, situata 150 mt. a Sud dell’attuale ingresso, in mezzo ad una nube di polvere. Romandini si slaccia le bretelle, scende, sposta i rami della siepe che il velivolo ha trascinato nella sua corsa e che gli impediscono il passaggio, si toglie la polvere di dosso e avanza verso l’ingresso della palazzina e, rivolto al personale accorso nel frattempo dal gran fragore, ad alta voce esclama: “Sono venuto a ritirare lo stipendio. E’ pronto?”. La coppia inseparabile Romandini-Renzi e’ un mito del 4° Stormo. I due sono scatenati, se ne inventano di tutti i colori e la loro fantasia nel fare scherzi o organizzare baldorie non ha limiti. Sono inseparabili, al punto che si fidanzano e sposano con due ragazze dello stesso paese: San Lorenzo. Anche la morte li cogliera’ a breve distanza l’uno dall’altro. Renzi in Africa e Romandini poco dopo nei pressi di Chioggia. Con il passare del tempo anch’io comincio a destreggiarmi bene con l’acrobazia ed una manovra e’ il mio forte. Solo io riesco ad eseguirla con destrezza: il volo “a coltello”. Questa manovra consiste nel volare, a pochi metri da terra, con un’inclinazione di 90°, su una traiettoria rettilinea. Non essendo l’ala in questa fase portante, il volo puo’ essere protratto solo per pochi secondi e con la pedaliera a fondo corsa per sostenere il muso. La manovra riesce se e’ iniziata con la velocita’ piu’ alta possibile in modo da sfruttare quel poco di portanza generata dalla fusoliera ed appena la velocita’ comincia a diminuire bisogna subito ruotare e livellare le ali. Se viene commesso anche un piccolo errore c’e’ il rischio di “scivolare” e toccare il suolo con le immaginabili conseguenze. Sebbene altri abbiano piu’ volte tentato di imitarmi, solamente il collaudatore della FIAT e pilota del 1° Stormo, Guido Carestiato, vi riuscira’ qualche anno piu’ tardi ma con macchine dalle prestazioni piu’ brillanti. Il primo pilota del 4° Stormo ad effettuare invece il tonneau lento il linea di volo e’ il ferrarese serg. Romolo Cantelli che dopo la guerra si trasferirà in Venezuela e perdera’ la vita in un incidente automobilistico. Tra me e lui nasce uno spirito di emulazione. Anch’io provo e riprovo i tonneau orizzontali, migliorandone l’esecuzione e poi provo farli in salita ed infine in “candela” (verticali). Prendendo molta velocita’ e mettendo l’aereo perfettamente verticale ne riesco a fare un paio, prima di “sfogare” in una virata. Un giorno, mentre da terra il ten. Mario Salvadori mi osserva, invece di uscire con una virata sfogata, mi capita che il velivolo sprofonda di coda su se stesso, sempre verticale, per poi effettuare una “scampanata”. Salvadori dopo l’atterraggio mi chiama, entusiasta della manovra che avevo eseguito e mi chiede di ripeterla, cosa che non mi riusci’ piu’. Oggi questa e’ una manovra caratteristica della PAN. La preparazione teorica e’ molto superficiale e l’addestramento e’ basato principalmente sulle capacita’ dell’istruttore nel trasmettere la propria esperienza all’allievo, cosa poco frequente. Non esiste un addestramento standard e tutto si impara sulla propria “pelle” ed i migliori sono quelli che sopravvivono. Assisto un giorno ad un incidente rimastomi impresso per la sua drammaticita’. All’estremita’ Sud Ovest dell’aeroporto, in direzione dell’Isonzo, cinque CR20 stanno effettuando acrobazie ed improvvisamente, mentre sono alla sommita’ di un looping, il gregario esterno di destra entra in collisione con quello interno. Si vedono subito i due velivoli precipitare in fiamme. Uno dei due si schianta al suolo con il pilota probabilmente impossibilitato ad uscire perche’ ferito o bloccato nell’abitacolo. Dall’altro si vede il pilota che si lancia ed il paracadute si apre a circa 500 metri. Per fortuna sembra che almeno lui si salvi. Alcuni piloti e specialisti stanno osservando le acrobazie della formazione ed assistono all’incidente dal piazzale antistante gli hangar. Nonostante la perdita di uno dei due piloti, osservano con sollievo che almeno l’altro e’ riuscito a lanciarsi ma improvvisamente trasaliscono. Il paracadute del superstite e’ a circa 300 metri da terra quando si notano le funicelle che bruciano. E’ questione di pochi secondi e tutti sperano che il paracadute tenga ed invece a meno di 100 metri lo sfortunato pilota si sfila dal paracadute e si schianta a terra proprio quando oramai era ad un palmo dalla salvezza.
Il sergente Ugo Corsi
Molti incidenti avvengono per spirito di emulazione di chi sottovaluta le proprie doti e tenta di imitare i piloti piu’ esperti che dimostrano un particolare istinto per il volo e che eseguono con naturalezza anche le manovre piu’ difficili. Fra questi ultimi c’e’ il serg. Ugo Corsi, soprannominato “Fufo” per il suo volto da ragazzino. Ha un istinto innato per il volo. Di lui si dice che sia stato il miglior pilota acrobatico del 4° Stormo e forse il migliore di tutta l’Aeronautica. Ha fatto parte, nel ’33 e ’34, della squadriglia di “Alta Acrobazia” del ten. Tessore che utilizzava i Breda 19, velivolo dotato di “doppio” carburatore ed idoneo al volo rovescio. Era abilissimo nel controllare il velivolo alle basse velocita’. Con il Br 19, appena staccato da terra riduceva il motore e con il muso alto “razzolava” per il campo ad un metro dal suolo. Poi si allontanava, faceva quota e, picchiando in volo rovescio fino a pochi metri da terra, cabrava, effettuava un mezzo looping ed al culmine completava la manovra con un tonneau. Infine planava e si portava all’atterraggio con una serie di scivolate d’ala che gli facevano perdere quota rapidamente. Fu’ il pilota piu’ abile ma anche il piu’ sfortunato del 4° Stormo. Poco dopo essere giunto in Spagna cade prigioniero e trascorre un durissimo periodo in prigionia. Al “primo” combattimento in Africa, da solo contro 5 Hurricane ne abbatte 3 e poi a sua volta viene abbattuto precipitando in mare. Il suo aereo ed il suo corpo, nonostante le ricerche, non verra’ mai ritrovato. Cosi’ lo descrive … Luigi Monti: … sembrava nato con l’aeroplano, solista acrobatico da lasciare col fiato sospeso, … In pattuglia mi stava così vicino da sporcare l’ogiva della sua elica con la vernice rossa del tricolore della mia coda!.
Il capitano Mario Rossi
Chi comandava la Squadriglia doveva essere un ufficiale, un capitano e spesso veniva scelto non a Gorizia ma al Ministero a Roma, dove di acrobazia aerea non erano certamente esperti come a Gorizia. Poteva capitare pertanto che la scelta cadesse su un pilota che proveniva dai bombardieri. Ricordo alcuni episodi divertenti vissuti con il cap. Mario Rossi, leader della mia Squadriglia, che per la sua provenienza dai bombardieri non eccelleva nell’acrobazia: durante il volo in formazione, quando “tiravamo” un looping, nel momento in cui l’aereo era con il muso in verticale, si trovava spesso in difficolta’, rimaneva “appeso”, ed allora ero io o Castelletti che con una leggera oscillazione di alettoni o d’equilibratore gli indicavamo come manovrare. Il cap. Rossi con la coda dell’occhio notava i nostri “segnali” ed obbediva e la Squadriglia comunque faceva la sua bella figura senza che alcuno da terra se ne accorgesse. A volte, insieme a Castelletti ci divertivamo a “stringerlo” nella formazione e Castelletti con la punta dell’ala gli “toccava” volutamente gli alettoni. Il cap. Rossi, irrigidito sui comandi, imprecava e giunti a terra si infuriava e ci inquadrava ma tutto finiva li.
La 4^ Giornata dell’Ala
Il 28 marzo 1936 e’ prevista la nostra partecipazione alla “4^ Giornata dell’Ala” sull’aeroporto del Littorio. Decolliamo il 25 marzo da Merna per Roma con scalo a Rimini. Siamo due squadriglie di CR 32, la 73^ comandata dal cap. Antonio Moscatelli e la 91^ dal cap. Mario Rossi. Nei pressi di Fabriano incontriamo condizioni meteorologiche sfavorevoli e la formazione si viene a trovare davanti a due strati di nuvole, uno basso ed uno piu’ alto. I velivoli non sono dotati di strumenti idonei alla navigazione strumentale ne tanto meno di impianti antighiaccio. Il cap. Moscatelli scende di quota, riesce a passare sotto le nubi e continua il volo per Roma. Il cap. Rossi che guida la mia Squadriglia, comincia invece a salire ed entra nello strato di nubi superiori. Improvvisamente non vediamo piu’ nulla, sembra di volare dentro una nebbia fittissima. Ci stringiamo ancora di piu’ al capo formazione. Dopo alcune decine di secondi tutti i velivoli finiscono in perdita di velocita’ e cominciano a perdere quota. Mi rendo conto che sto scendendo velocemente dall’altimetro che gira vorticosamente e dal variometro a fondo scala a scendere. Mentre continuo a perdere quota il pensiero va al rischio di una collisione con gli altri velivoli che devono essere intorno a me ma che non vedo. C’e’ inoltre il rischio di “spiaccicarmi” da un momento all’altro sulla cima di una montagna. Sempre dentro le nubi, intravedo per un attimo un altro velivolo a circa una quindicina di metri che pure lui gira su se stesso (poi verro’ a sapere che era Romandini) ed istintivamente “tiro” violentemente per non investirlo con il risultato di entrare in vite. Rimettersi da una vite in nube e con l’ausilio della sola “pallina e paletta” non e’ una cosa facile ed infatti riesco a rimettermi un paio di volte per entrarvi subito dopo dalla parte opposta. Nel frattempo ho perso piu’ di 2000 metri ed e’ solo una questione di secondi, il terreno e’ vicino. Abbandono i comandi e comincio a slacciarmi le bretelle per lanciarmi. Quasi contemporaneamente l’aereo esce dalla vite, la nuvolaglia si rarefà e sotto di me appare una vallata. Un brivido mi corre lungo la schiena nel vedere che sono uscito vicino ad una montagna la cui cima, piu’ alta di me, scompare minacciosa fra le nubi. Pure Romandini finisce in una vallata ma vi si trova intrappolato perche’ le nubi non gli permettono alcuna via di uscita ed alla fine e’ costretto ad un atterraggio di fortuna. Il velivolo si distrugge completamente nell’impatto ma lui ne esce incolume. Quello che ci fa comprendere il rischio corso e’ che, dopo la nostra mancata collisione, con i velivoli fuori controllo ed in caduta verticale, io sono uscito in una vallata e Romandini in un’altra. Potevamo finire entrambi sulla cima della montagna! Alla fine dopo una bella dose di “strizza”, usciti dalla maledetta nube, tutti i velivoli della mia squadriglia riescono, uno alla volta, a ricongiungersi e dirigere su Roma, salvo Romandini che tornera’ in treno a Gorizia. Il 28 marzo, la nostra esibizione a Roma, con i CR 32 nuovi fiammanti consegnatici da pochi mesi, ottiene un grande successo. Oltre a Mussolini sono presenti il Duca d’Aosta , il Primo Ministro ungherese, il corpo diplomatico accreditato, autorita’ civili e militari ed un folto pubblico.
La Manifestazione aerea a Budapest
Dal 25 maggio cominciamo ad allenarci quasi tutti i giorni in previsione della manifestazione aerea che si svolgera’ a Budapest il 14 giugno 1936. La pattuglia acrobatica e’ composta da due squadriglie di CR 32. La prima con il cap. Mario Viola (73^Sq), s.ten. Vittorio Pezze’ (73^Sq), serg.m. Alberto Montanari (73^Sq), serg.m. Norino Renzi (73^Sq), serg.m. Ugo Corsi (90^Sq) e la seconda con il cap. Mario Rossi (91^Sq), ten. Ernesto Monico (84^Sq), serg.m. Raffaele Chianese (91^Sq), serg.m. Vittorio Romandini (91^Sq), serg.m. Alberto Carini (91^Sq). Sono tutti voli abbastanza impegnativi di circa 40 minuti che si svolgono in genere sull’aeroporto di Ronchi. L’11 giugno partiamo da Gorizia e dopo 1 ora e 10 minuti siamo a Szombathely. Il giorno dopo proseguiamo per Budapest dove arriviamo in 40 minuti di volo. Il 13 giugno effettuiamo le prove sul campo di Matyasfold ed il giorno successivo, ha luogo la manifestazione. Il successo e’ enorme e l’accoglienza riservataci e’ splendida. Conservo ancora il portasigarette d’argento che in tale occasione ci fu donato. Il 18 giugno rientriamo a Gorizia facendo nuovamente scalo a Szombathely.
La consegna dei C.R. 32 all’Ungheria
Il Governo ungherese, convinto della validita’ del CR32, ordina un certo numero di esemplari ed effettuo cosi’ alcuni voli di consegna con la pattuglia incaricata del trasferimento. Decollati da Gorizia, sorvoliamo la catena alpina, imbocchiamo la vallata austriaca ed improvvisamente la visibilita’ inizia a ridursi. Il cap. Rossi che guida la formazione, invece di invertire la rotta, scende. La visibilita’ continua ad abbassarsi e cosi’ pure il tetto delle nubi che ci costringono a volare raso terra. Improvvisamente sfioro una casa a circa sette metri alla mia sinistra ed alla stessa altezza. A questo punto decido di mollare gli altri, do’ tutta manetta ed inizio una rapida salita dentro le nubi con il terrore di andare a sbattere da un momento all’altro contro le pareti di una montagna. Dopo un lungo minuto durante il quale credo di non aver respirato, foro le nubi e sono finalmente “fuori”. Passano non piu’ di trenta secondi e vedo schizzare dalla sommita’ delle nubi tutti gli altri velivoli. Anche per questa volta e’ andata bene!. Ci riportiamo in formazione e proseguiamo per la nostra destinazione. “Questo Capitano Rossi ce ne combina sempre una nuova!” impreco tra me e me. Un giorno il cap. Rossi viene richiamato a Campoformido e ci abbandona e qui, ai primi voli in formazione, senza l’assistenza dei due fidi gregari di Gorizia, comincia a trapelare la verita’. E’ una sorpresa per tutti poiche’ e’ un pilota proveniente dalla Scuola d’Acrobazia di Gorizia e leader di una Squadriglia Acrobatica. Qualche tempo dopo venni a sapere che alla domanda: “Chi ti ha insegnato a fare l’acrobazia?” la sua risposta fu: “Chianese e Castelletti“. Il cap. Rossi perira’ durante il Secondo Conflitto Mondiale in un incidente aereo occorso sullo Stromboli mentre rientrava in licenza dall’Africa con un volo di linea.