Il Tirreno 18 novembre 2016
di Elisabetta Giorgi
Volò senza sosta per salvare gli alluvionati arrampicati sui tetti e lanciar loro i sacchetti di cibo dal cielo. Tutti i giorni gettava giù dall’elicottero – con un febbrile andirivieni attraverso la Maremma – un centinaio di fagottini che la gente afferrava al volo con precisione infallibile.

Andrea Mandanici, 82enne ex motorista elicotterista e maresciallo scelto dell’Aeronautica militare, all’epoca aveva 32 anni. Testimone eccellente della grande alluvione del ’66, con alcuni colleghi effettuò il primo volo di soccorso sulla città allagata salvando centinaia di grossetani con l’elicottero e rifornendoli di cibo nelle case.

Momenti drammatici di cui lui ancor oggi conserva una memoria sorprendentemente lucida in ogni dettaglio, nonostante sia trascorso mezzo secolo. Tanti flash e storie di vita. Migliaia i chilometri macinati sopra strade e campagne alluvionate e colme di fango tra i latrati dei cani impauriti e gli animali affogati, le anziane impaurite e i neonati caricati in elicottero. «Tutti momenti che non dimenticherò mai», racconta Mandanici commosso.

Nato nel 1934 a Castroreale, provincia di Messina, Andrea si era arruolato in Aeronautica nel ’52 e prima di approdare in Maremma aveva lavorato o frequentato corsi altrove: 9 mesi a Caserta a cavallo tra ’52 e ’53, poi la Sardegna, Pratica di mare e infine Grosseto «dove arrivai nel ’59, mi fidanzai e sposai. Mia moglie veniva da Siena». Dal loro amore nacque Monica, oggi dipendente Asl. Mandanici ha sempre fatto il motorista elicotterista nella sua vita, ovvero gestiva la parte meccanica del motore facendo manutenzione a elicotteri e aerei. Quando nel ’66 l’alluvione piegò la città di Grosseto, lui per primo spiccò il volo col pilota trasformandosi – da manutentore – in instancabile soccorritore aereo. All’epoca il Quarto Stormo era dotato di due elicotteri pronti a intervenire in supporto agli F104 in caso di bisogno, ma che rispetto ai mezzi attuali erano attrezzati in maniera ben più spartana.

I ricordi di quel 4 novembre sono tutt’oggi precisi, vivissimi e riportano con commozione a quella tragica mattina, in cui Grosseto fu sorpresa dall’acqua. «Io abitavo con mia moglie e mia figlia in piazza Volturno e alle 5,30 uscii di casa per raggiungere l’aeroporto in auto – racconta lui – In giro c’erano acqua, uno strano vento di scirocco. Un clima strano. Pioveva da un paio di giorni e una certa preoccupazione era palpabile nell’aria, sicché la mia ansia era quella di mettere in salvo la macchina, anche perché l’avevo comprata nuova e dovevo pagare le cambiali».

Avvicinato all’aeroporto, «entrai da una stradina davanti al Querciolo quando vidi una maglia che navigava e mi chiesi: cosa succede? Arrivai nell’hangar che era asciutto, parcheggiai e continuava a piovere, poi venne giù il diluvio. Coi miei colleghi la preoccupazione crebbe a tal punto che ognuno iniziò a interrogarsi su come mettere in sicurezza la macchina, dove piazzarla. Io la metto di qua, io di là». Di fronte all’hangar – sulla strada del Pollino, nel curvone – c’era una casetta dove si vedeva sventolare qualcosa di bianco. «Era un omino a cui l’acqua era arrivata fin sopra i piani alti e che agitava qualcosa. Qualcuno si cominciò a preoccupa. re sul serio: fu quello il primo segnale. Capimmo che lui sventolava un lenzuolo o una tovaglia per farsi notare, affacciato alla finestra di casa. In aeroporto mi dissero: andate a vedere. Così io e Vittorio partimmo in elicottero». Vittorio era il pilota Vittorio Amadeo, sergente maggiore e grande amico con cui Mandanici condivise attimo per attimo il dramma dell’alluvione. «Con il nostro elicottero privo di galleggianti raggiungemmo la casa dove il signore era arrampicato sul tetto. C’erano dentro la moglie e due gemellini, l’acqua era alta».

L’elicottero di Mandanici e del pilota, fermo in volo, si appoggiò allo spigolo di un muro creando un buco nelle tegole; non fu facile farci passare la donna ma andò bene. I quattro alluvionati furono messi in salvo e portati al piazzale 10, unica zona rimasta asciutta della città sulla Castiglionese. Da lì poi iniziò una sequenza interminabile di soccorsi, coordinati dal colonnello Giovanni Cola in Prefettura e messi in atto in condizioni di fortuna, finché non arrivò un elicottero più attrezzato giunto da Pratica di mare. «Il primo intervento col nuovo mezzo fu al Casalone dove c’era un bus di linea che doveva andare a Marina ed era in difficoltà. Le persone uscivano dai finestrini: alcune le portammo al piazzale 10 e nel tempo che tornammo l’autobus era stato trascinato 30 metri oltre. Impressionante». Fu tutto un via vai di recuperi, in giro per le campagne grossetane. Squartapaglia, Cernaia. In una giornata furono portate in salvo in elicottero 60-70 persone.

«C’era una vecchietta a Barbaruta che non voleva salire sulla “macchina infernale”, come la chiamò lei, perché aveva paura. Pensava: ora dove mi portano? La tenni stretta e abbracciata finché non la portai su; loro in elicottero la chiapparono forte e la portarono dentro». Nei poderi la gente era spaventata perché non era mai stata in volo. «Un ragazzino ebbe paura e gli dissi: ora chiudi gli occhi, stringi le mani e basta. Lui mi guardò impaurito e montò su. Parecchia gente saliva in piedi nei trattori e qualcuno per attirare la nostra attenzione sparava fucilate, dato che il motore dell’elicottero copriva i rumori. Altri si sbracciavano accanto a montagne di fieno. Le mucche si arrampicavano nelle scale dei poderi per non morire affogate e le galline saltavano sui tavoli delle cucine. Di bestie ne sono scomparse tantissime, in quei giorni. Molte erano legate nelle stalle e non ebbero scampo. In quel primo giorno di soccorsi, ci fu pure un salvataggio nella zona di Squartapaglia dove – in attesa che i colleghi tornassero a riprendermi – rimasi sopra un ballatoio insieme a una mucca, alle galline e a un cane che, a ogni mio movimento impercettibile, ringhiava. Rimasi fermo e infreddolito per ore, con questo cane che mi stava di fronte a latrare, io immobile, finché i colleghi non si accorsero che mancavo e tornarono a riprendermi».

Intanto il piazzale 10 era diventato il punto di raccolta dei generi alimentari: ogni giorno «prendevamo 15-20 sacchetti con pasta, pane, acqua minerale, zucchero o cioccolata e partivamo. Quando arrivavamo vicini alle case c’era la gente già pronta sul ballatoio che aspettava il lancio dei sacchetti dall’alto: ce li davano già legati con un cordino lungo 10 metri, questi pacchi, e a un certo punto tagliavamo il filo a facevamo cadere giù il sacchetto. La gente era diventata esperta e afferrava tutto al volo dopo che avevamo tagliato lo spago». Furono 9 giorni di soccorsi frenetici e senza sosta. «Dopodiché mi beccai la bronchite e rimasi 14 giorni malato…».

Oggi, a 50 anni dall’alluvione, Mandanici ha un unico piccolo rammarico, se possiamo chiamarlo tale. «Forse mi sarebbe piaciuto che qualche volta qualcuno si fosse ricordato di noi», cioè di questi elicotteristi che con i pochi mezzi allora a disposizione fecero un’impresa davvero straordinaria, lavorando senza tregua giorno e notte.